giovedì 6 novembre 2008

Attribuire a Obama un ruolo messianico è da perdenti

“Festeggiando Obama il Pd cura anche le proprie frustrazioni” è un articolo di Stefano Folli nella sua rubrica “Il Punto” su “Il Sole 24 Ore” di oggi. “Ma il timore che sia Berlusconi a giovarsi del rapporto col nuovo presidente” è il sottotitolo che evidenzia la realtà delle cose al di là delle favolette per i propri militanti che Veltroni racconta oggi su “Repubblica”, come riportato nel precedente post. È difficile il mestiere scelto dal segretario del Pd, quello di cercare di appropriarsi dei giocattoli in cui si imbatte nel suo tortuoso percorso di crescere come partito riformista in bilico sull’abisso della propria volontà di egemonia. Soprattutto tenendo conto della lotta politica interna nascosta dalle quinte che costruiscono la scena dove si recita il teatrino della metamorfosi degli ex ds. Scrive Folli:
Non c`è nulla di strano nel fatto che il Partito Democratico abbia voluto manifestare nelle strade di Roma la sua gioia per la vittoria di Barak Obama. Buona parte del mondo gioisce, perché non dovrebbe farlo il principale partito italiano di centro-sinistra? Tanto più che Walter Veltroni può rivendicare a buon diritto di aver spiegato per primo agli italiani il personaggio Obama, con la prefazione al libro «L’audacia della speranza». E se oggi si diffonde come un’onda d`urto la moda del presidente nero, il segretario del Pd può compiacersi con se stesso per l’intuizione iniziale. Non solo. Il successo di Obama è un balsamo per le frustrazioni del centro-sinistra. È la speranza che «il vento sia girato», come dice lo stesso Veltroni. Speranza legittima.
Se è accaduto al di là dell’Atlantico, può accadere anche altrove. E quindi è normale che i capi e i simpatizzanti del Pd celebrino «la vittoria dell’America che amiamo», contrapposta - è evidente – all’altra America, quella di Bush. Pazienza se poi le due Americhe non sono così separate, di qui il bene di là il male, come crede qualcuno. Spesso sono intrecciate e sovrapposte, come si conviene a una grande potenza. E l’Obama presidente, dal prossimo 20 gennaio, potrebbe rivelarsi alquanto diverso dall’Obama candidato, portatore di un sogno planetario.
Si vedrà. Per ora è giusto che ognuno reagisca come ritiene più opportuno alla svolta storica negli Stati Uniti. Anche coltivando qualche illusione. Veltroni immagina una soluzione «globale» di tutti i problemi mondiali: dal clima alle guerre irrisolte. È la critica alla strategia unilaterale di Bush portata alle estreme conseguenze. Ma è tutto da dimostrare che Obama sia in grado di introdurre da subito tante radicali novità nella politica americana, rovesciandola da capo a piedi. È più probabile un approccio morbido, un’apparente continuità corretta da tanti piccoli strappi rispetto agli otto anni repubblicani. Ma il vero timore di Veltroni è un altro.
Ed è che nel tracciare una prospettiva «globale», cioè multilaterale, Obama finisca per tessere ottimi rapporti con Berlusconi e con gli altri governanti - europei o mondiali - che vorranno seguirlo. Su questo punto il segretario del Pd dovrebbe contenere la sua irritazione. È fatale che il neopresidente discuta con chi è al governo e si scambi qualche pacca sulle spalle con personaggi estroversi e pragmatici come Sarkozy e Berlusconi. Il fatto che il Pd sia stato contrario alle politiche di Bush, mentre il centro-destra le ha appoggiate, diventa irrilevante nella logica delle relazioni fra Stati. A maggior ragione se si pensa che l’Italia è un alleato fedele e affidabile degli Stati Uniti, come si vede nel capitolo delle missioni all’estero: dall’Afghanistan alla Bosnia. Obama candidato era un critico spietato delle scelte di Bush; Obama presidente sarà lieto di trovare a Roma un governo (di centro-destra o di centro-sinistra, non importa) che onora i suoi impegni ed è leale agli Stati Uniti.
È la logica della politica. A Veltroni appare «assurdo e grottesco» che Berlusconi si dichiari amico di Obama dopo esserlo stato di Bush. Ma il primo a non esserne scandalizzato, c’è da esserne certi, è proprio il nuovo presidente americano. All’opposizione, viceversa, conviene lavorare con pazienza e tenacia affinché «il vento giri» prima o poi anche in Italia. Senza scorciatoie e senza voler attribuire a Obama un ruolo messianico che egli non può e non vuole sostenere.

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