venerdì 18 aprile 2008

Le mani sul 25 Aprile

Il revanscismo è una “brutta bestia”. Nella sua accezione normale rappresenta una volontà nazionalistica di rivalsa nel confronti di altri Stati dopo una sconfitta bellica. Così è stato in Italia dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, quando la destra fascista espulsa dalla vita politica costituzionale del Paese ha cavalcato quella parte delle tragedie avvenute sul confine orientale, utile per tentare una rivincita sulla storia che la condannava. E alla fine riuscendovi grazie ad una legge che permette al presidente della Repubblica di medagliare persone coinvolte con il passato regime oppressore. Ma questo è altro discorso.
Qui volevo dire che non posso esimermi – dopo aver fustigato in qualche maniera nei miei libri (“Il pozzo e le parole” e “Controinformazione foibe”, nonché il prossimo dal titolo significativo “Le mani sulle foibe” in uscita tra qualche mese) il conformismo revanscista che ha intaccato come un virus anche parte cospicua della ex sinistra (gli ex Ds) e frange della sinistra – di segnalare il pericolo del nuovo revanscismo che si sta formando in questi giorni. In questo caso politico, scatenato dalla bruciante sconfitta elettorale del Pd veltroniano.
L’annuncio d’un “governo ombra” è il primo atto di arroganza della compagine post-diessina. Per dirla in soldoni si può parafrasarla così: gli italiani ci hanno negato il governo del Paese e noi ce lo facciamo lo stesso alla faccia di tutti e delle regole del gioco democratico. Perché l’intento della casta che vegeta attorno a Veltroni non sembra dimostrare un onesto interesse per il bene della gente, quanto invece fa trasparire un ben disegnato proposito di abbattere il nemico Berlusconi, per il quale obiettivo non ci si è fatti mancare lo stomaco per cannibalizzare, con un’azione mirata in campagna elettorale, la Sinistra. Abbattere l’usurpatore, il guastafeste della seconda repubblica, degli Occhetto, dei Rutelli ed oggi di Veltroni, ad ogni costo. Perché solo col potere – che è ciò che conta – si può partecipare del business del potere.
Tra pochi giorni ci sarà la ricorrenza della Liberazione dall’oppressione nazifascista. E l’impressione è che sarà un’occasione da strumentalizzare nel senso detto. Almeno in ambito locale. L’impressione è che si cercherà di sfruttare la data per cominciare a dire che ci troviamo di nuovo in una situazione di oppressione, di preparare il terreno per una sotterranea operazione “disfattista” (che magari prepari di nuovo un clima di “opposti estremismi” – le vecchie ricette funzionano sempre). Non è a caso che nonostante il Popolo della libertà si definisca di “centro” e la Destra quale notaio confermi l’ultimo stadio ormai post-postfascista dell’evoluzione della componente An, i “pidini” continuino ostinatamente a qualificare Berlusca e gli interclassisti padani come la destra nazionale.
La mia non è un’ipotesi buttata là, peregrina. Da “sempre” ormai ho notato – poiché l’originalità è merce assai rara – che quanto avviene nel proprio ambito locale per forza dei diesse oggi “pidini”, è frutto di tattiche e strategie pensate altrove. E ieri sera, partecipando in biblioteca alla riunione della commissione chiamata a preparare con le scuole un contorno celebrativo della ricorrenza – ero l’unico, con la maestra e la bibliotecaria verbalizzante, non pd dei presenti – ho avuto la sensazione piena che quello detto sarà «l’uso sotterraneo» che verrà fatto, almeno qui, della manifestazione.
E dire, e in questo sì la storia andrebbe corretta, che il 25 Aprile è la festa della liberazione dei popoli del Nord dal giogo nazifascista della Repubblica Sociale, gente che ha saputo reagire e combattere per quegli alti ideali che si sono sì concretizzati nella Carta costituzionale, ma che sono andati per lo più disattesi per l’occupazione della burocrazia e dell’apparato statale da parte dei servitori della monarchia imperialista sabauda, sostenitrice del fascismo fino all’approssimarsi netto dell’incombente sconfitta, una casta che si andata ricostituendo e riformando mentre al Nord si combatteva il fascismo. L’impressione insomma è che non si voglia ammettere che quel popolo che allora aveva saputo prendere le armi e combattere per gli ideali di libertà, oggi non possa aver scelto una volta ancora ciò che riteneva meglio per il proprio bene, il proprio interesse, il proprio progresso e sviluppo.

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