martedì 11 novembre 2008

L’eccezione che conferma la regola

«Riforma seria, sinistra populista» è il pezzo di oggi di Luigi Sant’Ambrogio su “Libero”. Utile per una seria riflessione sul tema “stampa democratica” e riforma della scuola.

C’è un giudice anche a Repubblica. Beh, sarà poco originale come inizio, però è tutto vero. Un giudice che ha l’età (anni 83) del saggio. Ma soprattutto la verve di un’analista lucido e coraggioso. E non vuole avere nulla a che fare con le fandonie sulla scuola diffuse dal suo quotidiano, una volta di Scalfari e ora della sinistra del bon ton e del bon vivre. Il giudice si chiama Mario Pirani, ed è un maestro del giornalismo economico e politico. Una grande firma, ma non solo: anche un intellettuale della sinistra che seppe fare la scelta giusta mentre molti si ostinavano a fare i compagni che sbagliano. Militante comunista, dopo la repressione della rivoluzione democratica ungherese schiacciata nel sangue da Mosca, uscì dal Pci e dall’Unità di cui dirigeva le pagine economiche. Figuriamoci se uno così poteva allinearsi alle scempiaggini studentesche e mauro-veltroniane.
Sasso nello stagno dei rospi
Magnifico Pirani, lui sì che la sa lunga, mica quei Rettori che fingono di far cagnara con gli studentelli. Sulla sua amata Repubblica, il maestro giornalista scrive un contro-editoriale che già dalle prime righe ha già bello che demolito le barricate di carta confezionate alla catena di montaggio dal quotidiano cheap and chic. L’incipit di Pirani è storico: racconta di una sconosciuta partoriente di Venezia che, agli albori del Novecento, scatenò, inconsapevole e suo malgrado il, primo sciopero generale nella storia della Serenissima. La donna fu costretta a partorire senza cure né assistenza sui gradini dell’Ospedale Maggiore: questo dramma scatenò l’ira dei veneziani. Bene, il ministro Mariastella Gelmini e il suo decreto di riforma, dice Pirani, sono simili a quella innocente puerpera: soltanto la miccia di un incendio senza ragioni, abusato per scopi che con la scuola c’entrano nulla.
Fantasie politiche di una inesistente Grande Rivolta giovanile, anzi di un’Onda così grande da affogare pure l’inaffondabile Sessantotto. Ma non fateci ridere, dice Pirani ai colleghi infoiati: il decreto Gelmini «non conteneva minacce tanto dirompenti da giustificarne il crucifige». Semmai, nota l’illustre, qualcuno l’ha usato per scopi falsi e sediziosi. Strumentalizzazioni che Pirani non esita a definire «confuse populiste». Oibò, che derapata da brivido, madame la Repubblica un’inversione a U in piena velocità e sulla corsia di sorpasso. Si stenta a credere, leggendo l’articolo che prosegue in una intera pagina interna (in prima, il rimando dell’articolo è indicato a pagina 37. Ma è sbagliato: infantile tentativo di mettere uno stuzzicadente tra le ruote dei lettori).
Eppure il dottor Pirani scrive proprio così: la «proteiforme nebulosa protestataria» è stata assunta acriticamente e senza beneficio di inventario, compresi i «suoi slogan inconsistenti». Altro che Onda della malora.
Per giorni gli assaltatori di Repubblica hanno menato il torrone e inzuppato le loro penne-biscotto in questa brodaglia per intortare i lettori con miti, leggende e fiabe sul nuovo movimento della Rivolta. Ci voleva `sta sassata nello stagno dei farlocchi. Poi, il saggio di Repubblica si imbatte in Veltroni e son subito fuochi d’artificio: «Veltroni ha preferito la deriva populista di facile presa ma scarsa prospettiva, ribadendo un no preclusivo a tutti i tagli e annunciando un discutibilissimo referendum anti-Gelmini, peraltro improponibile in materia finanziaria». Beh, citate qualcun altro, se ve lo ricordate, che da sinistra abbia cantato così fuori dal coro dei rospi della rive gauche. Non è finita. Sostiene Pirani che il decreto Gelmini, «nel suo impianto globale si muoveva esplicitamente lungo il solco della correzione di rotta già impresso da Fioroni e Bastico, ministro e viceministro del governo Prodi, per riportare in minino d’ordine e serietà negli studi».
Incredibile ma vero: il quotidiano della piazza urlante e okkupante, scrive che la Mariastella si è mossa nel solco prodiano per far tornare ordine e serietà nella scuola. Ehi, ragazzi, avete capito bene? E voi, giovani pischelli scalfariani, che ne dite di questo arzillo Mario detto il Piraña? Lui continua senza pietà e passa ad elencare i fondamenti positivi della riforma: il voto di condotta, la media del 6 per la promozione, le misure antibullismo e contro il caro libri. Certo, sul ritorno al maestro unico, Pirani ha dei dubbi, ma con altrettanta chiarezza afferma che i moduli a tre vennero introdotti «non da valutazioni educative», ma dalla paura che il calo degli alunni decurtasse il numero degli insegnanti. Così, i moduli ingessarono «la riforma in una gabbia burocratica e aumentò l’organico oltre il necessario». Al bacio.
II direttore abbronzato
Le sorprese, tuttavia, continuano e vanno fino in fondo all’articolo: con un consiglio alla sinistra ragionante e riformista. Chiede Pirani: «Se invece di compiacersi del gran casino, l’opposizione riformista volesse avanzare delle controproposte in materia di tagli, perché non affrontare la possibilità di abolire, come in tutti i Paesi europei, il quinto anno delle Superiori e permettere ai giovani italiani il diploma a 17, anni, come francesi, tedeschi e inglesi». Bella domanda, chissà se qualcuno risponderà. Sospettiamo, però, che quella di Mario Pirani, resti un’intemerata senza seguito, quell’una tantum che il principe illuminato concede ai brontoloni di corte. È il rispetto che si deve agli autorevoli padri fondatori. Saggi, ma anche un po’ rimbambiti. Non è certo il caso di Pirani: il suo lungo pezzo è quanto di più lucido e ragionevole si potesse scrivere da un pulpito come quello.
C’è un giudice a Repubblica: e forse, da oggi, anche un direttore un tantino incazzato e abbronzato. Si arrangi: lunga vita a Pirani.

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