martedì 11 novembre 2008

Rimettere mano alla storia d'Italia

È luogo comune che la storia sia scritta dai vincitori, da chi è stato portato dallo svolgersi degli eventi al potere dopo una discontinuità rispetto al passato. Chi è al potere controlla l’istruzione e l’informazione, i mezzi di formazione dell’opinione e delle credenze, lo stipendio, la carriera e la fama degli imbonitori sociali, che nelle aule universitarie e scolastiche formano i giovani, o che attraverso i media erudiscono il popolino e ne plasmano la coscienza ed il comune sentire che lo amalgama e fa di esso un corpo sociale. Se, insomma, l’evento è neutro, tale non è il giudizio su di esso che ha formato il racconto del suo accadere nella memoria collettiva, che altro non fa se non tramandare senza possibilità di appello una visione di parte della vicenda. Un giudizio sui fatti che si consolida e si perpetua grazie ai meccanismi di divulgazione del sapere, fondati generalmente sulla ripetizione di opinioni ed interpretazioni degli avvenimenti validate dalla consuetudine culturale. Solo l’approssimarsi di un nuovo punto di discontinuità, favorito da condizioni di difficoltà e rottura o di trasformazione ed evoluzione del potere dominante, permette il dubbio e rende socialmente possibili tentativi dialettici di revisione storica degli eventi originari.
Oggi siamo in prossimità di una discontinuità nella storia del nostro paese. L’Unione europea, la moneta unica, la globalizzazione hanno chiuso irreversibilmente l’epoca del nazionalismo inteso come aspirazione ad una “patria” italica, costruzione fantastica del pensiero risorgimentale. E nonostante a livello politico oggi ci si arrabatti ancora a propagandare il mito del Risorgimento, frasi o locuzioni che si trovano ancora nei testi scolastici, usate per narrare l’infelicità d’un paese smembrato e maltrattato dalla dominazione straniera o per raccontare con suoni di mille trombe l’epopea risorgimentale fino all’unità d’Italia e poi ancora fino alla conquista delle terre “irredente” e ancora la resistenza, la nascita della repubblica, l’antifascismo perseverante, non entusiasmano più il lettore, anzi nell’evidenza dell’enfasi stonata quasi irritano, semplicemente perché non sono più in sintonia col sentire attuale.
Di questi tempi si sente spesso parlare di una necessità di revisionare i testi scolastici, con riferimento particolare agli ultimi sessanta/settanta anni della nostra storia. Ma questo è solo l’ultimo periodo dell’epoca risorgimentale italiana. Bisogna, dunque, andare più in là nel tempo se si vuole scrivere o raccontare una controstoria o un’antistoria dell’Italia unita.

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