domenica 2 novembre 2008

Cossiga e le rivelazioni libiche

"Il Corriere della Sera" venerdì 31 ottobre ha pubblicato un'intervista a Francesco Cossiga rilasciata a Lorenzo Fuccaro, intitolata «Ma quando il colonnello colpì Lampedusa fui io a fermare la reazione di Bettino»

Le rivelazioni del ministro degli Esteri libico Shalgam (nel 1986 l'allora capo del governo Bettino Craxi avvertì Gheddafi che gli americani avevano programmato un raid per ucciderlo) non giungono inaspettate al senatore a vita Francesco Cossiga. «Una "gola profonda" dei servizi me ne parlò. E io, a mia volta, informai lo staff del Quirinale». Nel 1986 Cossiga era presidente della Repubblica e oggi rivela al Corriere una circostanza inedita: «Quando ci fu il lancio dei missili libici contro Lampedusa, Craxi se la prese come se fosse stata un'offesa personale. E diede ordine al Capo di Stato Maggiore della Difesa di preparare un'incursione aero-navale contro la Libia. L'incursione consisteva nell'invio di un consistente gruppo di forze speciali che sarebbero dovute sbarcare sulla spiaggia di Bengasi».
Perché non se ne fece nulla? «Gli suggerii di lasciare stare. Fu davvero duro convincerlo. Bettino si inquietò molto dopo tutto quello che aveva fatto per salvare la vita al colonnello Gheddafi. Però alla fine ci riuscii».
Come? «Gli fu spiegato che i missili non affondarono al largo di Lampedusa per un caso. Fu una scelta deliberata a seguito dei suggerimenti dei consiglieri militari sovietici all'epoca presenti in Libia. Ai sovietici dava molto fastidio che Lampedusa ospitasse la cosiddetta stazione aeronavale della Coast Guard americana che governava tutto il traffico della flotta statunitense nel Mediterraneo. Il lancio dei missili, quindi, fu un avvertimento rivolto all'amministrazione americana e non una ritorsione nei confronti dell'Italia».
Torniamo alla «gola profonda» dei servizi segreti. Che cosa le disse esattamente? «Fui informato che gli Stati Uniti avevano fatto levare in volo, dalle basi britanniche in Scozia, alcuni bombardieri. La rotta più diretta sarebbe stata Germania-Italia e da qui puntare sulla Libia. Fu quindi dato avviso di sorvolo - come prevedono gli accordi militari - ma Craxi diede ordine di rifiutare. Rifiutarono anche Francia e Spagna. E allora i bombardieri americani dovettero volare al largo del Portogallo, tanto da essere riforniti in volo da aerei-cisterna partiti dalla base di Torremolinos. In tempo reale il nostro servizio segreto informò il governo libico dell'imminente attacco. Tuttavia la notizia non fu creduta del tutto, tanto è vero che Gheddafi si mise in salvo ma non la figlia adottiva che restò uccisa. Da allora, però il colonnello non ha più una dimora fissa».
Come spiega il comportamento di Craxi? «Con il fatto, come ha osservato un acuto commentatore di politica internazionale qual è Sergio Romano, che tutto ciò avveniva nel quadro di alcune libertà che l'Italia si prendeva rispetto alla politica dell'Alleanza atlantica, in particolare di quella americana. Non potendo certo mettersi in contrasto con gli Stati Uniti e con la Nato, Moro, Andreotti e Craxi si prendevano la libertà di praticare una politica filo-araba e anti-israeliana. Del resto, lo stesso Moro mise a punto un "lodo" che porta il suo nome e che consisteva in un'intesa in base alla quale i palestinesi potevano scorrazzare liberamente per il nostro territorio senza però compiere attentati. E un'autorevole conferma dell'esistenza di questo patto segreto è giunta proprio dal leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina Bassam Abu Sharif intervistato ad agosto dal Corriere».
In ogni caso dal suo osservatorio, al Quirinale, le saranno giunte le reazioni americane? «Certo e furono molto violente. A chi si lamentava feci presente che il bombardamento sulla Libia non era un'operazione Nato. Spiegai che noi italiani siamo confinanti, per via del Mediterraneo, con la Libia. E poi tagliai corto obiettando che la politica estera e quella militare la faceva il governo e non il presidente della Repubblica, il quale tutt'al più si limitava a fare da portavoce».

En passant riporto una nota di agenzia del 31 scorso che informa che il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga è stato ascoltato, come persona informata sui fatti, al Palazzo di Giustizia di Roma sulla strage di Bologna dell'agosto del 1980. Ad interrogare Cossiga erano i magistrati bolognesi che si occupano del caso.

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