sabato 8 novembre 2008

L’Obama della politica, l’Obama della gente

Antonio Polito intitola il suo editoriale su “Il Riformista” “Quella voglia di rifugiarsi in America”. Condivisibile nei contenuti, un po’ meno nel fatto che sia poi vero che tutta l’Italia della strada altro non faccia che parlare di Obama. Questo gran chiacchiericcio, queste ciacole almeno in questa parte del paese non le sento. Una leggenda metropolitana, dunque, anche questa, utile a fare del nuovo mito un possibile business su cui in tanti, a partire dalla carta stampata, si sono buttati. Ma torniamo all’articolo:
Una lettrice, che vuole restare anonima mi ha scritto: «Caro direttore, l’elezione di Obama ha rafforzato in me una decisione: farò di tutto per convincere mia figlia, oggi neanche quattordicenne, a lasciare l’Italia al più presto possibile, a fare l’università all’estero, a vivere in un mondo dove si può essere padroni del proprio destino, contare sul proprio talento, dove nulla sia impossibile, nemmeno la ricerca della felicità, come nel film di Muccino e nella Costituzione americana, dove il successo dipenda dai sacrifici che sei disposto a fare e non dalla famiglia che hai alle spalle o dal deputato che conosci. È triste, lo so, e lei non sarà d’accordo, ma a me questo ha fatto pensare l’elezione di Obama». Non ho avuto il coraggio di darle torto. Però ho pensato a tutti quelli che la figlia a studiare all’estero non ce la possono mandare.
La verità è che tutta l’Italia, quella vera, parla di Obama. È uno di quei casi in cui una storia diventa un paradigma, o se volete un simbolo, o meglio ancora una favola. La vicenda di Obama è vita vera, dunque interessa la gente vera. Nel bar sotto casa, dove faccio colazione, i lettori della free press parlano di Obama. Lo pronunciano come un mantra: ora che c`è Obama, speriamo che ci pensi Obama, ma che combinerà stò Obama, Oh...bama, come ha titolato la
Gazzetta dello Sport.
Tutta l’Italia politica (e quella dei giornali) parla invece d’altro: a chi assomiglia Obama, sarà più amico di Berlusconi o di Veltroni, dire che è abbronzato è razzismo o no, Gasparri va messo al muro per reato di lesa obamità o condonato. Ecco un caso in cui paese reale e paese supposto legale divergono. Ed è un peccato, perché e anche uno di quei rari casi in cui la politica si fa carne e sangue, vita reale, ci fa interrogare sulla nostra vita e su quella della nostra comunità.
Penso che abbia ragione il mio amico Piero Ostellino: «State sbagliando tutto: la storia non è che l’America è una grande democrazia perché ha eletto Obama, la storia e che Obama è stato eletto perché l’America è una grande democrazia». Di conseguenza, ciò di cui dovremmo occuparci e di come diventare una grande democrazia anche noi.
Obama non cambierà il mondo. Ma ha detto che in un paese davvero libero «nulla è impossibile». In un paese libero i comportamenti individuali di ognuno possono cambiare il destino individuale di ognuno, e dunque anche quello collettivo. Questo è il punto. Di questo dovremmo parlare in Italia, parlando di Obama. Di come funziona il nostro ascensore sociale, di quanti soffitti di cristallo dobbiamo spezzare, del perché in Italia il figlio di un operaio ha molte più probabilità che in America di fare anche lui l’operaio, del perché parlamento, aziende, banche (e giornali) sono pieni di figli di, del perché da quindici anni abbiamo sempre gli stessi quindici politici, e del perché un uomo a 47 anni da noi e considerato una giovane promessa e in America è già presidente. Del perché, da noi, non tutto è possibile. Allora, davvero, Obama potrebbe cambiarci un po’ la vita.

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