Sul Manifesto, martedì 5 è comparsa una intervista ad Antonio Di Pietro, leader dell'Idv. Due aspetti la rendono interessante per la riflessione politica. Innanzitutto il netto giudizio sulla legge elettorale e sulla sua manfrina tenuta viva dal Partito democratico.
Dice Di Pietro: «Mettiamo una cosa in chiaro: io a quel tavolo non mi sono seduto», intendendo il tavolo virtuale attorno al quale si starebbe coagulando una maggioranza su una legge elettorale da proporre in sostituzione della «porcata» di Calderoli. E spiega: «Per una ragione: temo che la nuova legge elettorale sia una scusa per procrastinare per i prossimi tre anni un governo non eletto». Più chiaro di così, Di Pietro svela gli altarini di Bersani e della sua cricca incapace di attirare quel consenso che sarebbe necessario in caso di elezioni per ribaltare la maggioranza al governo. Insomma governare «per grazia divina» o, per non mescolare il sacro col profano, per grazia del «compagno» Napolitano. Speranza spesso tradita, che mostra un pensiero distorto sulla presidenza della Repubblica non quale garante di tutti, ma degli affini. Un pensiero purtroppo che, mutatis mutandis, si ritrova nella forza egemone del centrosinistra ad ogni livello amministrativo.
E perché non vi siano fraintendimenti Di Pietro specifica: «Sono favorevole alla modifica della legge elettorale, e a farlo in questa legislatura, se ce ne sono le condizioni. E se la legge proposta non è peggio di quella attuale». Già, nessuno lo dice, ma c'è anche questo pericolo da non trascurare. E sottolinea le condizioni: «Se cadesse Berlusconi, e se dovesse nascere una nuova maggioranza con questo solo scopo tecnico. Ma sia chiaro: un governo a tempo, 90 giorni, con la garanzia del capo dello stato». E non solo questo: «Alleanza [con i finiani]? Per noi non c'è nessuna alleanza. Io in questo governo non ci andrei. Non tradisco i miei elettori». Rispetto dell'elettorato, dunque, in Di Pietro ed idee chiare se votarla o no: «Sono pronto a valutare in parlamento l'eventuale proposta. Se vogliono i nostri voti, il premier incaricato deve prima dire quale legge vuole fare. A scatola chiusa non votiamo niente. Tanto senza i nostri voti una nuova maggioranza in parlamento non c'è». Una evidente raccomandata con ricevuta di ritorno per Bersani e la sua mania di egemonismo nel centrosinistra.
La giornalista del Manifesto, Daniela Preziosi, a questo punto, chiede a Di Pietro se un ritorno al mattarellum potrebbe essere una possibile soluzione del problema sollevato dai democrat: «Può essere una soluzione, è meglio del porcellum. Noi preferiamo il maggioritario a doppio turno, ma ci rendiamo conto che è un'idea minoritaria. Così come il proporzionale alla tedesca. Ma siccome li conosco, aspetto la proposta concreta. E prima di dire sì ci penserò due volte». Tanto per ribadire il concetto indirettamente, che Fini può sì disarcionare il Cavaliere, ma che Bersani dia per scontato da Di Pietro un massonico «obbedisco» come quello di Garibaldi, passato alla storia, ce ne corre, e tanto.
La seconda questione rilevante riguarda l'Udc, il partito di Casini. Introdotta da questa considerazione della giornalista: «L'Udc continua a dire che lei è funzionale a Berlusconi», con la risposta di Di Pietro: «È la volpe che non arriva all'uva». Per il leader dell'Idv, l'ipotesi di una alleanza con l'Udc «è una discussione inutile». E spiega: «Bersani mi ascolti: quelli dell'Udc a tutto pensano tranne che al Pd. Il Pd corre appresso alla luna. Io con loro non voglio fare la figura del beccamorto che corre dietro a una bella donna. Il Pd non sa quale erba del prato brucare: se la nostra o quella dell'Udc. Farà la fine dell'asino di Buridano. Morirà di fame».
Interloquendo con la giornalista, Di Pietro esprime il suo giudizio su molti temi riguardanti l'Udc, da Cuffaro, alla Sicilia, all'alleanza «modello Marche» che piace ad Enrico Letta. Così Di Pietro: «Guardi, Cuffaro mi ha fatto una causa civile perché ho detto che lui ha qualche problema con la mafia. Oggi l'Udc si è liberata di questo problema. Domani chissà. Anche perché ha scaricato Cuffaro, ma si è alleato con altri non da meno. Voglio dire Lombardo. Lombardo sta con loro [il Pd] in Sicilia e con Berlusconi a Roma. Bella roba. [E sulle Marche, l'alleanza Pd, Udc, Idv:] è una storia incredibile. Se non ci sto mi dite che faccio perdere il centrosinistra. Se ci sto mi dite che sto con l'Udc. Nelle Marche non volevamo stare con questi. Poi il Pd ha insistito e abbiamo raggiunto questo lodo: il rapporto con l'Udc se lo gestisce il presidente della regione, noi con loro neanche un caffè. Per evitare di consegnare un'altra regione al Pdl, vedi Calabria». E quanto all'ipotesi di fare del modello Marche un modello nazionale: «Credo di no. L'Udc ormai sta facendo un'operazione al termine della quale il Pd rischia di sparire. Creerà il terzo polo, gli ex dc romperanno». E aggiunge poi che quelli che oggi nel Pd vogliono l'alleanza solo con Casini, come Letta, Boccia, Fioroni e parecchi altri, alla fine confluiranno nel terzo polo. Requiem, dunque, per il partito democrat. Del resto, parlando poi del popolo viola, tra l'altro dice: «C'è una prateria di elettori in fuga dai partiti tradizionali. Ce n'è per tutti. Tranne che per il Pd, se continua così». E per chi non avesse orecchie per intendere, un'ultima ripetizione, non si sa mai che suoni la sveglia: «Questa [l'accusa di forzare il popolo viola verso l'Idv] è come la Bresso che dice: ho perso perché i grillini non mi hanno votato. Ma se dopo cinque anni fai scappare gli elettori, guardati allo specchio e prenditi a schiaffi». Già, qualche guancia rossa in giro non guasterebbe.
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