Dalla due giorni della fiducia è uscita sconfitta la posse contro il Cavaliere. Chi contava di disarcionarlo usando Fini come lancia è rimasto deluso. Va detto per sgombrare ogni dubbio, di quelli che ancora oggi molta carta stampata continua a «vomitare» come se non fosse successo nulla. Quanto durerà il governo ancora o se si andrà alle elezioni in primavera, questi sono problemi altri, che non devono distogliere la riflessione sul fatto stabilito dal voto alla Camera e da quello, il giorno dopo, al Senato. Che cioè al governo Berlusconi ora e ad un governo Berlusconi domani, se si andasse alle elezioni anticipate, non c'è alternativa, anche ma non soprattutto perché i suoi avversari, i tanti Di Pietro, i tanti Bersani e i tanti Casini, sono nient'altro che una colorata armata Brancaleone, non certo una macchina da guerra, né tanto meno gioiosa visti gli isterismi esternati negli interventi in Parlamento, dopo aver capito che il principe nero «straniero» era tutt'altro che il messia strombazzato ai militanti rincoglioniti da una propaganda asfissiante della propria certa vittoria, la sconfitta del Caimano.
Diciamocelo: la scelta di continuare a dipingere un governo in piena crisi non fa che rafforzare la sensazione che sia solo un machiavello per nascondere la pochezza politica in termini di idee e di progetto da parte di un'opposizione «che non c'è» di cui si è prodi bravi, scudieri e palafrenieri. Non c'è niente di più aleatorio dei numeri, ma se si smette per un momento l'abitudine mentale di scambiare i propri desiderata per realtà, non si può non riconoscere un dato indubitabile, che cioè, alla Camera il governo ha finito col portare a casa più voti di quelli incassati il giorno del suo insediamento e che la differenza tra sì e no al Senato è ben ampia, 45 voti, un risultato quest'ultimo, come osserva Mario Sechi sul Tempo, che azzera qualsiasi possibilità di ribaltone. Siamo ben lontani, per dirla con Sechi, dal governo Prodi, quando «il Professore dipendeva dal voto dei senatori a vita e dalle bizze caudillesche del senatore italo-argentino Domenico Pallaro».
Bossi e Berlusconi, dunque, hanno oggi i numeri per continuare a governare e, ciò che forse più conta hanno i numeri per andare dritti alle elezioni in caso di pesanti intoppi lungo la strada nel prosieguo della legislatura da parte dei finiani. Questa è una corretta lettura dei fatti, dopodiché ci si può buttare a fare la curva sud, come l'opposizione finora ha fatto, sognando l'Ibrahimovic di turno.
Su Libero Belpietro ha scritto: «Non so voi, ma io ho la sensazione che anche questa volta, nella fretta di dare il benservito al Cavaliere, qualcuno abbia fatto i conti senza l'oste, che in questo caso sono gli elettori». E a sostegno riporta un sondaggio di Piepoli, «sondaggista non tenero con il presidente del Consiglio», che «in caso di elezioni, dava per scontata la vittoria del Pdl e della Lega, la disfatta del Pd e cifre da sopravvivenza per il centrino di Fini, Casini e Cicciobelli vari». Ora che si è messa una pietra tombale sul «ribaltone tecnico» c'è veramente il «rischio» che si arrivi alla fine naturale della legislatura. In fin dei conti a Fini può bastare il risultato minimo ottenuto, quello di aver dimostrato di essere oggi una forza «parlamentare», ma è troppo politico navigato per riconoscere ai suoi pasdaran di essere pure una forza «elettorale». Fini, insomma, necessita di tempo per non sparire dalla scena politica e porre le fondamenta del suo nuovo partito, quando deciderà di fondarlo. Oltretutto il ruolo istituzionale non lo aiuta. E, dunque, la sua è quella che Vittorio Feltri chiama una condanna a stare insieme a Berlusconi, più a lungo possibile.
La delusione del popolo democrat, che già sognava il suo bel governicchio tecnico con la benedizione di Napolitano, è tutta racchiusa ed evidenziata nelle parole che Mario Adinolfi affidava a Twitter poco dopo le sedici del giorno del voto alla Camera: «Adesso di Fini non parlateci più». Che dire poi dell'isterismo che traspare da queste dichiarazioni di Dario Franceschini a commento del discorso del premier, rilasciate alla stampa e riportate anche sul suo blog: «È il discorso tragicomico di un uomo che ha fallito come capo del governo e come capo del suo partito. Dopo due anni in cui ha mostrato la sua natura da Mr Hyde, tenta di rimettersi il volto del dott. Jekill che aveva usato all'inizio della legislatura. Ma la natura è più forte di lui quindi questa immagine durerà poche ore. Il resto è soltanto un elenco di promesse come se arrivasse dalla Luna: tutto proiettato sul futuro vista l'impossibilità di rivendicare risultati. Aggiungo che i numeri di oggi pomeriggio dimostreranno che con questo discorso inizia una seconda parte della legislatura in cui il suo governicchio sarà nelle mani di Fini e del suo gruppo parlamentare». Più un pio desiderio che una previsione ponderata d'uno scenario, perché come stringatamente ha evidenziato Bossi: «I finiani sono indispensabili sulla carta, ma hanno paura di andare al voto», e si sa, la paura fa novanta. Almeno per il momento, tant'è che ci viene detto dal capogruppo filino al Senato Viespoli che il nuovo partito non nasce martedì - come pareva d'aver sentito dire da Fini - ma al massimo prenderà forma «un coordinamento politico-culturale».
Certo, non ci rimane che aspettarci, visto il nulla propositivo, che il nostro quotidiano andar per rassegne stampa sia infarcito, così come la visione dei tg, sempre più di «scoop» su dichiarazioni «imbarazzanti» come quella di Bossi subito cavalcata - per poi cogliere al volo le scuse per non offrire un casus belli al Cavaliere per buttarsi subito sulla strada delle urne - o il video rubato, lo «scandalo» che nulla aggiunge a ciò che è stato già detto da Berlusconi in diverse occasioni. Tutto condito con i frizzi di Bersani, tipo «l'epoca gloriosa del ghe pensi mi» o «i cinque punti di ribollita» o «la fiducia del cerino», per dirne qualcuno, e frasi: «Non veniteci a dire che abbiamo paura delle elezioni, ve le siete rimesse in tasca voi le elezioni, non noi, attenzione» o il massimo: «Oggi qui non si apre una pagina nuova, qui si comincia a chiudere una pagina vecchia. La pagina nuova la apriamo noi», peccato che il segretario non abbia aggiunto quando, una data, lasciando così solo la speranza a noi mortali di partecipare un giorno all'evento. forse.
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