Ora che si è superata la boa della fiducia, si possono analizzare le dichiarazioni di quei giorni con il distacco necessario per capire l'evento. O meglio per capire i protagonisti, il loro spessore salvifico per questo paese che, nonostante cassandre e uccelli del malaugurio variopinti, continua a navigare imperterrito tra i marosi d'un epoca globale di vacche magre. E a proposito di pingitori di apocalissi intendo qui ripercorrere l'intervento della pasionaria Rosy Bindi, alle cronache oggi più per una barzelletta che per le sue appassionate quanto catastrofiche descrizioni di un Italia sull'orlo di un abisso senza fondo. Che a toccarsi non si fa peccato.
Già l'incipit prometteva bene, si fa per dire ovviamente: «Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, il Governo e la maggioranza ci avevano promesso un gesto di chiarezza. Ne dubitavamo ma oggi ne abbiamo avuto la certezza: questo non è un gesto di chiarezza ma l'ennesima prova della debolezza di questo Governo e di questa maggioranza. Questa fiducia è il frutto di una malriuscita manovra trasformistica, con la quale la si voleva evitare, ma nasconde sotto il tappeto della fiducia la debolezza e l'inaffidabilità di tutta la maggioranza e di tutto il Governo. Lo sfregio della legalità e la questione morale sono la cifra di un voto, che forse darà un po' di respiro all'Esecutivo ma di certo toglierà altro ossigeno ad un Paese sfibrato». È il preannuncio dell'apocalisse che verrà descritta dopo aver fantasticato, con una sorta di isterismo che traspare anche dalle righe dello stenografico, una situazione della compagine di maggioranza alla canna del gas, irreale, soprattutto se propagandata da chi, quanto ad alternativa, è presidente del nulla.
Così la Bindi: «La crisi politica è sotto gli occhi di tutti da tempo, ma avete avuto paura di affrontarne le conseguenze. Per settimane avete agitato la minaccia del ricorso alle urne e le elezioni sono state invocate in modo persino irrispettoso nei confronti delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica. Oggi abbiamo capito che si trattava di una finta, come è una finzione la fiducia che chiedete oggi: il Presidente del Consiglio, soprattutto, ha bisogno di andare ancora avanti perché l'impianto legislativo costruito per i suoi interessi non è ancora completo». È l'ira di Achille, senza essere Achille. Un risputare continuo di argomentazioni trite e ritrite che hanno dimostrato più e più volte la loro inutilità pratica, livorose quanto impotenti. E continua: «Provate a tappare la falla: mettete a tacere il dissenso interno e una "pezza" sui vostri rancori e reciproci sospetti. Abbiate però il pudore di non chiamarla stabilità, e neppure un modo serio ed autorevole di governare. Siamo all'ennesima dimostrazione della vostra debolezza, la prova che non avete un progetto condiviso, che state insieme solo in virtù di un patto di potere realizzato grazie ad una legge elettorale incostituzionale. Non si è semplificato alcun sistema politico, caro Presidente del Consiglio: abbiamo solo assistito ad un bipolarismo coatto, di cui oggi pagate le conseguenze. Questa legge ha portato in Parlamento dei nominati, sottraendo ai cittadini il diritto di eleggere i propri rappresentanti, producendo coalizioni disomogenee e minoritarie. E per quello a cui abbiamo assistito, alla compravendita dei parlamentari (altro che appello ai moderati), che giustamente il segretario del mio partito ha definito un sintomo di corruzione, avete dimostrato anche che questa legge non mette assolutamente al sicuro dal ribaltone: avete tentato di farlo, e non vi è riuscito». Quel definire «bipolarismo coatto» la risposta data alla semplificazione imposta da Veltroni per togliersi dai marroni la sinistra radicale è la cifra del livore: l'aver «rubato» la vittoria elettorale all'Obama nostrano. Imperdonabile. Soprattutto imperdonabile perché la scelta berlusconiana di «vincere facile» ha affondato la zattera del Pd, partito democratico-cristiano, sognato dalla Bindi e compagnia bella, nel guado fangoso senza domani dove i diesse sguazzano da tempo incapaci ad uscirne. La rabbia per non essere capace d'un gesto come quello di Rutelli, o della Binetti: giocarsi l'ingiocabile. La marginalità utile. E dimenticando Prodi, minoranza nel paese, maggioranza al governo, miseramente poi caduta, oppure freudianamente evocandolo, attribuendo a Berlusconi la sua debolezza: «Il vostro vantaggio è frutto solo di un premio di maggioranza, attribuito da questa legge incostituzionale, mentre siete sempre di più minoranza nel Paese: lo ha dimostrato la Confindustria in questi giorni, il sindacato, lo dimostrano le università in subbuglio, e persino la Chiesa, nei confronti della quale non sono serviti i proclami di questi anni, ripetuti in Aula anche questa mattina».
Ed ecco il tempo dell'Apocalisse Italia s.p.a.: «Chiarezza non era possibile, forse un po' di onestà sì. Presidente, se lo lasci chiedere: lei crede davvero che si possa pensare che in questi due anni avete ottenuto dei risultati? Non avete avuto una sola idea per lo sviluppo e la crescita, la più grave recessione mondiale del dopoguerra è stata affrontata con un misto di cinismo e di sufficienza; si è allargato il divario tra il nostro Paese e i Paesi più forti dell'Europa. Perché mai dovremmo paragonarci alla Grecia, e non alla Germania o alla Francia, o ai Paesi forti, con i quali abbiamo sempre condiviso la crescita dell'Europa? Non ci accontentiamo di non essere diventati la Grecia; anche perché non siamo sicuri di non diventarlo a breve, se le cose continuano così. Il debito pubblico è cresciuto: ve l'abbiamo lasciato al 105 per cento, oggi non ha avuto il coraggio di dire che è al 118 per cento. Questi sono i dati. Con il debito pubblico che aumenta si annuncia un nuovo autunno di cassa integrazione e di disoccupazione, e non abbiamo sentito come intenderete finanziare ancora gli ammortizzatori sociali. Ormai la disoccupazione sta diventando un fatto strutturale, e lo è soprattutto per i giovani e per i giovani del Mezzogiorno: abbiamo bruciato un'intera generazione, e ci prepariamo a bruciarne un'altra. Il lavoro per donne è quasi impossibile in questo Paese. Oggi sentiamo riparlare di quoziente familiare: sì, ne abbiamo sentito riparlare, ma non ho ancora capito come verrà finanziato, perché non ce l'ha detto, Presidente. Possiamo discutere sulle forme di vantaggio fiscale alle famiglie. Questa non ci ha mai convinto, ma avremmo voluto sentire il modo con il quale verrà finanziata. Avete compromesso in questi anni il futuro dei nostri ragazzi: la scuola italiana è stata impoverita ed umiliata, e le università sono al collasso. Per fortuna, oggi ci ha risparmiato il capitolo sulle emergenze, perché sarei stata curiosa di sentire che cosa avrebbe detto dei rifiuti di Napoli e della ricostruzione de L'Aquila: l'emblema della politica del fare, che in realtà è diventata la prova della chiacchiera, della propaganda e della scorribanda vergognosa di chi ha praticato la corruzione sopra i disastri delle persone. Avete assecondato le paure e alimentato le divisioni sociali e territoriali». Mamma mia. Qualcuno diceva «I have a dream» e radunava folle. Ma qui siamo ad un «I have a nightmare» che non porta lontano, ad un 25 per cento mantenuto da uno zoccolo duro che non si è ancora tolto gli occhiali del Pci.
E non finisce qui la Bindi, ma continua quella che ritiene la demolizione del satana di Arcore, con l'immigrazione: «Non ci si venga a fare il bilancio sull'immigrazione clandestina citando solo gli sbarchi nei porti della Sicilia, non citando quello che sta succedendo in altri porti, non citando quello che succede alle altre frontiere del Paese. E soprattutto non ci si dimentichi mai di dire che cosa ci è costato in termini di credibilità internazionale e che cosa ci è costato e costa in termini di vite umane, con tutte quelle persone che muoiono adesso in un'altra parte del Mediterraneo e sicuramente nel deserto ai confini con la Libia. Questa è la situazione». E continuerebbe se i tempi alla Camera non fossero ristretti. Così si avvia alle conclusioni.
«C'è un bilancio fallimentare, e adesso si viene qui e si propongono cinque punti. Mi chiedo se la Lega si accontenti dell'ennesima definizione del federalismo. Perché mai, Presidente, si è dimenticato di chiedere al Ministro dell'economia e delle finanze i conti per attuare il federalismo fiscale? Ancora una volta abbiamo sentito interloquire con Cattaneo. Certo ci fa piacere. Ricordiamo che noi abbiamo modificato il Titolo V della Costituzione, ma dove sono i conti per attuare un federalismo fiscale che faccia pagare la siringa nello stesso modo in Calabria e in Lombardia ma assicuri i servizi essenziali di assistenza a tutto il popolo italiano? Possiamo credere che quei 100 miliardi del Mezzogiorno, che continuano a ballare di mese in mese, possano andare a realizzare un'infrastrutturazione della quale abbiamo sentito ancora una volta un lungo elenco senza un affidamento vero di capitoli di finanziamento?». C'è, a questo punto, veramente da chiedersi cosa s'aspettasse la Bindi da Berlusconi, perché prosegue: «Questa è la situazione, signor Presidente, e ci dispiace dover constatare che assistiamo all'ennesima perdita di opportunità». Opportunità? Già, opportunità: «Il suo discorso non può servire al rilancio né del Governo, né della maggioranza, men che meno del Paese, e soprattutto non copre quello spettacolo desolante al quale abbiamo assistito in questi mesi». E proprio vero che chi esiste per le parole fa delle parole il suo mondo. Il fare, i fatti è altro.
E tanto per concludere in uno scenario così delineato un pizzico di moralismo non guasta, e allora ecco la citazione: «Voglio ricordare le parole del cardinal Bagnasco: discordie personali, diventate presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili, diventati a loro volta pretesto per bloccare i pensieri di un'intera nazione, quasi non ci fossero altre preoccupazioni ed altri affanni». Tutto bello. Se si fosse campioni di una reale alternativa, si avesse «a dream», non si fosse dimostratrici di un «nightmarish habit of mind».
E chiude: «Questa è la situazione: un Paese incapace di uscire dalla sua situazione perché ha un Governo che non lo sa governare, che è fermo sugli affari propri. Penso, signor Presidente, che lei debba prendere atto che la fiducia che gli verrà rinnovata tra qualche ora è una fiducia «finta». Si dimetta, passi la mano ad un Governo di transizione che dia al Paese una nuova legge elettorale, e in primavera si vada a votare perché l'Italia ha bisogno di essere governata da un'alternativa democratica e autenticamente riformista». Conclusione scontata ma semplicemente politicamente ridicola. E il tragico è il non accorgersene. E poi, quella «fiducia "finta"», suvvia! La raccontava secoli fa Esopo la storiella. La volpe e l'uva.
Nessun commento:
Posta un commento