giovedì 31 luglio 2008

Federalismo contro lo sceriffo di Nottingham

Riprendo da "Il Sole 24 Ore" di oggi un articolo di Guido Tabellini sul federalismo. A parte le osservazioni sull’Ici, solo in parte condivisibili perché non bisogna dimenticare che l’imposta iniqua era ed è sugli immobili su cui è rimasta una seconda tassa sulla casa, visto che si paga anche l’IRPEF, l’articolo è interessante perché mette a nudo una realtà, ben nota particolarmente ai miei lettori brembiesi: l’irresponsabilità attuale degli amministratori locali di fronte alla pressione fiscale.

Imposte trasparenti per misurare i politici

Secondo il Governo, l’attuazione del federalismo fiscale sarà l’occasione per ridurre finalmente le imposte che gravano su famiglie e imprese. Non è un’ipotesi irragionevole: in molti Paesi a struttura federale la spesa pubblica è complessivamente più bassa che negli Stati unitari allo stesso livello di sviluppo economico.
Eppure, in Italia sembra essere accaduto il contrario: negli ultimi anni la spesa dei governi locali è cresciuta più rapidamente di quella dell’amministrazione centrale. Ciò non è casuale, ma è il risultato di come è stato concepito finora il federalismo fiscale nel nostro Paese.
I governi locali hanno visto aumentare le loro responsabilità di spesa. Ma il finanziamento della spesa locale è sostanzialmente basato su trasferimenti statali, o su basi imponibili poco visibili agli elettori e sulle quali i governi locali hanno limitati margini di autonomia nella determinazione delle aliquote.
Questi rapporti finanziari tra centro e periferia hanno incentivi perversi: se i politici locali spendono di più, essi riscuotono maggiori consensi presso gli elettori perché, a torto o a ragione, i costi del finanziamento non sono percepiti a carico della comunità locale.
Il federalismo fiscale può diventare davvero l’occasione per facilitare il contenimento della spesa e delle imposte solo se riesce a cambiare radicalmente questi incentivi. Il politico locale deve subire un costo se non riesce a contenere la spesa.
Perché questo succeda, deve esservi un legame diretto e trasparente tra spesa e prelievo, e il ruolo dei trasferimenti statali deve essere quasi esclusivamente finalizzato alla perequazione tra Regioni ricche e povere.
I governi locali devono avere ampi margini nella scelta delle aliquote. E le basi imponibili locali devono essere il più possibile visibili ai cittadini e mobili sul territorio. La visibilità consente agli elettori di fare confronti tra amministrazioni più o meno efficienti; e la mobilità induce concorrenza fiscale e scoraggia un’amministrazione dal fissare aliquote più alte del vicino.
L’Ici era "odiosa" proprio perché ben visibile ai cittadini.
Per questo sopprimerla è stato un passo indietro. Occorrerà porvi rimedio con qualche altra imposta ben visibile e altrettanto "odiosa" sugli immobili locali. Ma il prelievo sugli immobili non può bastare a finanziare tutta la spesa locale.
Bisognerebbe riservare alle regioni una quota rilevante della base imponibile Irpef, che è ben visibile e mobile, su cui il governo regionale abbia piena autonomia nella scelta delle aliquote, e con modalità di prelievo e versamento che rendano trasparente la sua responsabilità.
Il federalismo fiscale ha due aspetti: il decentramento della spesa e l’autonomia finanziaria dei governi locali. Finora in Italia si è pensato solo al primo aspetto. Ma è il secondo che è di gran lunga il più importante.
A seconda di come sarà realizzato, la promessa di ridurre l’imposizione complessiva potrà essere mantenuta oppure no.
Se il Governo cercherà di rinforzare la concorrenza fiscale tra Regioni e se i governi locali dovranno finanziarsi con tributi "odiosi" ai cittadini, allora possiamo aver fiducia che scenderà la pressione fiscale.
Se invece sentiremo parlare di trasferimenti statali o di compartecipazione al gettito erariale per finanziare la spesa locale, allora sapremo che l’impegno di minori imposte sarà solo una promessa da marinaio.

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