giovedì 31 luglio 2008

Il partito dei pompieri

C’è in Italia un “partito” che dalla secolare tradizione culturale che contraddistingue la nostra penisola ha tratto alcune verità “ideologiche” vincenti come il vecchio detto “in media re est veritas”. Così oggi su Il Corriere della Sera Massimo Franco ci ammonisce ad essere per così dire più realisti del re riguardo all’Europa. Nell’epoca di Internet e dei viaggi low cost è difficile raccontare fiabe. Sappiamo benissimo quanto precario sia negli altri paesi l’equilibrio tra Europa ed interessi interni, non solo nella testa di chi governa ma anche e soprattutto della gente – come bocciature ancora recenti insegnano. Dare a noi italiani, da sempre geneticamente esterofili lezioni su cosa sia o cosa non sia conveniente come atteggiamento nei riguardi dell’Europa è quantomeno cosa politicamente scorretta. Ma noi italiani siamo bravi a piangerci addosso, a farci venire sensi di colpa per questioni futili o inesistenti. Per questo siamo diventati i giullari del mondo - se questa sensazione ha un senso e non è solo altra paranoia strumentalizzata dalla politica dei rema contro. Sarebbe ora di buttare nel cestino o nel cesso una volta per tutte quel “ma anche”, che ci caratterizza così bene tanto da essere stato sfruttato recentemente dalla comicità di sinistra come spot elettorale pro-Veltroni. Si dice una cosa ma anche subito dopo quantomeno la si smorza la si addolcisce, si fa una cosa ma anche subito qualcosa per raffreddarne gli effetti. Non c’è una congiura europea contro l’Italia, c’è però un luogo comune che imperversa e che gli sfascisti nostrani alimentano, per cui se vai in Austria sei il solito italiano casinista, in Francia il giudizio è più o meno lo stesso e così via in tutta l’Europa. Calarsi le brache serve soltanto a consolidare il giudizio. Dobbiamo smetterla in Europa di fare i bambini che si vergognano dei propri “genitori”. Dobbiamo smetterla di considerarci l’ombelico del mondo – non siamo ragazzine che sculettano per richiamare l’attenzione: siamo un Paese che ha una grande storia e dignità che va per la sua strada con la testa alta e non ha nulla, chiunque lo guidi, che gli suggerisca o lo costringa a procedere sgattaiolando nei cantoni delle case. Una convinzione che manca. Una mancanza nazionale ben peggiore e grave di un estemporaneo “insulto” all’inno di Mameli. Comunque leggiamoci l’articolo:

I CONTRASTI CON L’ITALIA
IN DIFESA DELL’EUROPA

Un tempo si diceva che gli italiani erano europeisti ma non europei. Adesso, sembrerebbe che il nostro amore per il Vecchio Continente si stia progressivamente raffreddando; e che le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo, alle quali si guardava come fonte di sostegno e perfino di identità, siano diventate distanti e ostili: il sospetto dichiarato del governo è che stiano congiurando contro il Bel Paese berlusconiano.
Il risultato è una sorta di braccio di ferro permanente fra Roma e Ue. Si tratti di Parlamento, Commissione o Consiglio d’Europa, che pure non ha legami istituzionali con i primi due e si occupa di diritti umani, lo scontro è garantito.
Da quando il centrodestra è tornato al potere in Italia, sta calando una coltre di diffidenza reciproca alimentata dai primi provvedimenti in materia di immigrazione e di sicurezza.
In passato, anche con la coalizione di Romano Prodi, i scontrasti si consumavano in prevalenza sui temi economici.
Ora si registrano su un piano più delicato e scivoloso perché mettono in discussione il livello di democrazia del nostro Paese.
A volte, le critiche riflettono un buon tasso di pregiudizio. Vengono suggerite e gonfiate da alcuni settori della sinistra, che brandiscono l`antiberlusconismo come una bandiera della libertà. Ma liquidare il problema così sarebbe miope.
Anche perché le reazioni indignate del governo italiano alla reprimenda del Consiglio d’Europa sul trattamento riservato ai rom si sono indirizzate subito ai «burocrati di Bruxelles». Che si tratti della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Commissione o del Parlamento, evidentemente basta la parola «Europa» a far scattare nella maggioranza una reazione che finisce per risultare pregiudiziale almeno quanto alcune delle critiche rivolte al governo di Roma. E come se l’Italia fosse convinta di essere diventata una sorta di capro espiatorio continentale.
Forse nelle file dell’opposizione qualcuno vede in questo pericoloso avvitamento una prospettiva da incoraggiare: la quarantena italiana sarebbe la conferma del «male» rappresentato dal Cavaliere.
E chissà, magari un calcolo simile viene fatto anche in settori della maggioranza: si pensa che fomentare l’ostilità contro l’Europa serva a costruire un’identità conflittuale con un potere sovranazionale ritenuto incombente e impopolare. Ma di tensione in tensione, si perde la dimensione europea dei problemi. Si pratica un’autarchia legislativa che ha come unico referente e giudice il consenso elettorale.
Il risultato è che lo status di Paese «sorvegliato speciale» viene alimentato proprio dal modo sbrigativo col quale è rifiutato dal governo italiano.
Pochi sembrano consapevoli che uno scontro del genere può delegittimare l’Europa; ma indebolisce soprattutto l’Italia, non riducendo ma dilatando la percezione di una nostra «anomalia». Per questo, conviene ancorarsi all’Ue nonostante le difficoltà vistose; e tentare di ricucire strappi politici e insieme culturali, figli di stereotipi inaccettabili ma anche di scelte discutibili che non si possono difendere solo con l’idea del complotto antiitaliano. Altrimenti, si risponde ad un’immagine falsata dell’Italia con luoghi comuni speculari.

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