In agosto, per la precisione il dieci, il Riformista ha pubblicato una conversazione con Ugo Sposetti, il deputato ultimo tesoriere dei Democratici di sinistra, l'uomo che gestisce da nove anni il patrimonio che fu del Partito comunista. Un patrimonio, come ha spiegato Sposetti, «che è frutto soprattutto del lavoro di autofinanziamento e di qualche lascito. Centinaia di migliaia di militanti hanno creduto in una storia, in un'idea».
Va detto subito che al momento della nascita del Pd, con il matrimonio «d'amore, ma con separazione dei beni» dei Ds con la Margherita, l'uomo della vendita della sede storica di Via Botteghe Oscure è un tesoriere senza partito e come tale ha intrapreso un lungo percorso di «archiviazione» di tutto il patrimonio che fu della Quercia, dagli immobili, ai verbali dei congressi, ai debiti. Già, perché come vedremo ci sono anche quelli. Scrive Serenella Mattera, l'autrice del pezzo sul Riformista: «Un lavoro "molto complicato", confessa, soprattutto "perché non ci sono esperienze precedenti cui fare riferimento"». Ed evidentemente, al contrario di quanto in quei giorni avveniva per An, il «sistema» di Sposetti di gestione del patrimonio dei Democratici di sinistra «"finora ha funzionato" grazie ad una struttura fatta di fondazioni, ma soprattutto a un ferreo rispetto delle regole».
Già le regole. Il problema risiede tutto lì per Sposetti, sia per i partiti vivi, sia per quelli estinti: «Bisogna avere regole certe, valide per tutti. E invece i partiti italiani sono ancora associazioni non riconosciute. Se il legislatore avesse attuato l'articolo 49 della Costituzione [sulla libertà di associarsi in partiti] forse alcune discussioni di questi ultimi anni non ci sarebbero state». Ma i Ds? Che differenza c'è tra l'essere il tesoriere di un partito che ha degli elettori cui rendere conto o esserlo di un partito che non c'è più e Sposetti risponde: «Gli elettori ci sono stati: i Ds sono vivi. E poi c'è il rispetto della storia, di quelli che non esistono più». I Ds sono vivi e, dunque, «solo le regole che ci siamo dati, di partecipazione e controllo democratico, possono mettere al riparo anche il tesoriere della più piccola organizzazione territoriale».
Ma vediamo cosa cosa riferisce il Riformista di quanto Sposetti racconta nel colloquio telefonico avuto: «Il perno del sistema ideato da Sposetti per gestire l'enorme patrimonio dei Ds (2.400 solo gli immobili) sono le fondazioni. Una forma giuridica attorno alla quale si è iniziato a ragionare già nel 2003-2004, quando il tesoriere ha posto alla Quercia la questione di una "separazione tra la politica e l'amministrazione, vista l'esperienza che ci aveva portato a sacrificare il patrimonio per risanare i debiti accumulati a causa di scelte politiche. All'inizio del 2000, in particolare - racconta - si era fatto ricorso alla vendita di immobili di pregio come Botteghe Oscure e le Frattocchie. Un sacrificio che fu non solo un dolore finanziario, ma un dolore denso di storia, di passioni, di simboli". Un momento, quello, che Sposetti ricorda come il più difficile della sua lunga esperienza di tesoriere: "In quelle decisioni non puoi non essere solo. Era una scelta che toccava a me e nessun altro la voleva prendere"».
È andata, dunque, così, scrive il Riformista: «Al momento della nascita del Pd, l'eredità dei Ds si è deciso di affidarla a decine di fondazioni sparse sul territorio. Queste fondazioni hanno "autonomia patrimoniale" (spetta ad esempio a loro la vendita degli immobili). E ogni tesoriere è sottoposto a "una vigilanza molto stretta del comitato di tesoreria, composto da persone rappresentative di quella realtà territoriale, per storia e sensibilità politiche". Il risultato è un «sistema in cui c'è una partecipazione e un controllo democratico». Le fondazioni si occupano anche del patrimonio immateriale, dagli elenchi degli iscritti, ai loghi e le bandiere.
Resta ancora un aspetto evidenziato nell'articolo: il debito di 180 milioni che ancora grava sul partito. Dichiara Sposetti: «Il debito è una battaglia tra me e le banche, che sono i creditori. E allora, lunga vita al debitore».
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