martedì 7 settembre 2010

Padania e Terronia

Parlando dell'on. Gianfranco Fini e delle ultime vicende che scuotono la politica italiana, non si può far finta che la vicenda della casa di Montecarlo non esista, forse non tanto per il fatto in sé, che se confermato non sarebbe altro che un malaffare dei tanti della politica nostrana, quanto per il modo con cui è stata ed è, ancora martedì nell'intervista rilasciata a Mentana, gestita. Sprezzante soprattutto verso quella sovranità popolare di cui ci si erge a baluardo, che ha tutto il diritto di avere da chi ha votato una parola chiara subito e non alle calende greche della magistratura. Non si può far finta che non esista, ma chiudiamola lì con le parole di Luciano Sardelli, deputato di Noi Sud che in un'intervista di quasi un mese fa, rilasciata a Il Giornale, lapidariamente sintetizzava: «No. Non ha chiarito un bel nulla. La storia fa acqua dall'inizio alla fine. Viene venduto un appartamento a Montecarlo, ma viene venduto a una società offshore. chi c'è dietro questa società? E come mai il prezzo è così basso? E perché An rifiuta offerte ben più allettanti? E poi non credo proprio che Fini non sapesse nulla della destinazione finale della casa. Ci abita il cognato e lui casca dalle nuvole. Imbarazzante». Una situazione «più grave di quella che ha portato Scajola alle dimissioni per la casa al Colosseo. Qui c'è un'operazione ben più complessa», aggiunge Sardelli, che nel 1996 fu schierato da Pinuccio Tatarella per contrastare Massimo D'Alema nell'inespugnabile Gallipoli e ci andò vicino con il 45 per cento dei voti.
L'evocazione del deputato di Noi Sud non è a caso, soprattutto per una frase dell'intervista, «Fini non ci rappresenta più», che se ha nel contesto un riferimento al suo ruolo istituzionale, può, vista la connotazione politica dell'onorevole Sardelli, offrire lo spunto per una sua estensione più ampia, per così dire, territoriale. Nel discorso di Mirabello, a leggerlo attentamente, risulta evidente che Fini si propone come leader di una sorta di Lega Sud contrapposta a Bossi. Del resto già, per così dire, in tempi non sospetti, ai primi di agosto, Gaetano Quagliarello, vicepresidente dei senatori Pdl, in un'intervista al Sole 24 Ore, evidenziava l'evidente: «È chiaro che un centro autonomo cercherà di configurarsi come partito del Sud. Perché lì l'elettorato è più mobile, dunque, è un terreno di sfida che vale molto. E loro cercheranno di schiacciarci sulle posizioni della Lega per accreditarsi come i nuovi interlocutori, in nome dell'unità nazionale». Quagliarello dichiarava quindi la volontà del Pdl di non essere la vittima sacrificale di tutta la vicenda, «Ma non ci faremo scippare questa battaglia. Solo il Pdl ha una connotazione nazionale», ed elencava le difficoltà della battaglia: «Certo, dovremo calibrare la giusta richiesta di una parte dell'opinione pubblica del Nord, insofferente a un abuso di spesa pubblica, con un cambiamento del Sud. Ma non si può fare con un colpo di bacchetta magica: la spesa usata come ammortizzatore sociale, spesso si è trasformata in diritti che è difficile eliminare. Dovremo lavorare su politiche contrattuali territoriali, fiscalità di vantaggio».
Un disegno, quello paventato, ormai alla luce del sole. Sud contro Nord, la troica Fini-Rutelli-Casini contro Bossi sul cadavere di Berlusconi? Fantapolitica, anche se ha il fascino di uno sviluppo possibile. Si andrà al voto. Quando parla di patto di legislatura, Fini non è credibile, lo stesso tono della voce lo tradisce, a Mirabello, da Mentana al Tg de La7. Si sente che è finto, recitato, per far credere alla gente, che lo ha votato come cofondatore del Pdl, un «non vi manco di rispetto, non sono io il primo che ha tirato il sasso». Ma se dal voto, che con molta probabilità ci sarà, uscisse un Senato come quello che ha affondato Prodi? Il Partito della Libertà è l'unico partito dello Stivale realmente nazionale ed unificante. Morto, che succederà? Si festeggeranno i centocinquanta anni di unità ritornando ai confini del dopo 1943, cancellati dalla vittoria alleata? Spaccando definitivamente l'Italia in due? Padania e Terronia? Così come la sta mettendo Fini, il campione senza valore dell'unità nazionale, è una prospettiva che si sta materializzando all'orizzonte, una nebbiolina impalpabile che può all'improvviso diventare consistente. Ma certamente, diciamolo per tranquillizzare, se si ha fiducia nella gente italica, che mostra di sapersi «governare» molto meglio di quanto sanno fare i suoi politici, si possono dormire sonni tranquilli, e classificare simili ipotesi come mere fantasie.

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