Un articolo di Repubblica riassumeva il comizio di chiusura di Bersani alla Festa nazionale democrat di Torino con una frase dello stesso segretario: «Siamo un partito di governo momentaneamente all'opposizione». Un «momentaneamente» certamente ottimista come il virgolettato nel titolo: «Guideremo il risveglio italiano». Chi? I democrat? Proponendo cosa oggi se non la richiesta di un governo di transizione che vari una nuova legge elettorale, il progetto della speranza, un meccanismo elettorale che, sopperendo all'assenza di un programma concreto di sviluppo del Paese, riporti il Pd al governo.
«Opposizione durissima a qualunque governicchio», grida Bersani ai militanti, chiamandoli «compagni» - «applaudono quando pronuncia la parola», annota il cronista di Repubblica. Cronista che aggiunge «A Bersani si capisce bene, non dispiacciono affatto i riti antichi come il comizio di chiusura, il palco con il gruppo dirigente schierato alle ali secondo uno stile che può ricordare il politburo. Una visione condivisa anche da Sallusti sul fronte del Giornale, che scrive: «Il leader dell'opposizione moderata e riformista torna alle sue origini comuniste, e lo fa con l'orgoglio di chi resta saldamente legato a quella ideologia, messa formalmente da parte non per convinzione ma per spirito di sopravvivenza. E del comunismo, il leader del Pd nel suo discorso rispolvera tutta la retorica, la tristezza, il grigiore, la noiosità, soprattutto l'utopia». E più avanti, quando polemizzando sul «governicchio» scrive annotando che le risorse non sono infinite, ma hanno un limite ben preciso oltre il quale c'è solo la bancarotta: «Il compagno Bersani questo lo dovrebbe sapere bene. Il Pci, infatti, ha co-governato con la Dc l'Italia per cinquant'anni, approvando (e votando) il settanta per cento delle decisioni, soprattutto quelle più sciagurate che hanno fatto esplodere il debito pubblico, elevato la tassazione, consegnato il mondo del lavoro nelle mani dei sindacalisti. Ma non solo. Negli ultimi 18 anni, cioè dalla nascita della cosiddetta Seconda Repubblica, la sinistra ha governato in prima persona 10 anni contro gli 8 di Berlusconi e alleati. Non si capisce bene, dati alla mano, perché Bersani non processi se stesso invece che Berlusconi, al quale tutto può essere rinfacciato meno che di aver portato i conti pubblici in zona a rischio».
All'antiberlusconismo si associa l'antileghismo: «Il premier e la Lega hanno tolto al Paese un'idea di futuro, gli hanno rubato l'orizzonte» e alla gioiosa macchina da guerra la possibilità di governare. E, dunque mettendosi a parlare col palazzo di fronte, quello della Regione Piemonte: «Può darsi che Cota mi senta. La Lega fa il sottovaso di Berlusconi, parla di Roma ladrona ma poi regge il sacco ai quattro ladroni di Roma. La loro è una commedia vergognosa». Che «opposizione durissima» ai «federalisti del week end», come li chiama, che a furia di stare accanto alle cricche e ai corrotti hanno perso la «tensione morale e popolare». E poi, vuoi mettere: «Il Carroccio non ha portato una cosa nuova all'Italia. Le ronde, forse. Niente di paragonabile agli asili nido, ai servizi per gli anziani, alle aree artigianali, all'urbanistica. Abbiamo inventato tutto noi. Loro niente». Perbacco, e questi pd non li si fa governare. E non manca la battuta: «Non siamo snob, parliamo chiaro. Attenzione: chi va troppo ad Arcore ci lascia la canottiera». E poi i dati drammatici della crisi sociale, l'apocalisse: «C'è una fibrillazione nel Paese. Se il governo continua a soffiare sul fuoco, a dividere il mondo del lavoro poi chi spegnerà i roghi?». Succede di tutto, un tripudio di bandiere, piovono applausi, fino a due malori in piazza provocati dal sole caldo e impietoso. E lo stesso Bersani si asciuga con un fazzoletto bianco il copioso sudore che inonda la fronte, ampia come sottolinea il cronista di Repubblica. Per fortuna non piove, se no apriti cielo, quanto altro avrebbe portato a casa il governo su cui rimuginare. Scrive Sallusti sul Giornale: «Crisi, disoccupazione, povertà, sacrifici: c'è da toccarsi ogni volta che parla. Soprattutto perché dall'altra parte, il leader del centrodestra, oltre che una visione liberale della vita e della società, ha anche il dono dell'ottimismo, e alle iatture di Bersani contrappone obiettivi difficili ma di altro genere. Tipo: vi abbasserò le tasse, sconfiggeremo il cancro e vivremo fino a 120 anni, tenete duro che grazie a voi la crisi passerà, viva le belle donne, chi si impegna ce la farà a fare carriera, sappiate sorridere e ridere che fa bene e porta buono e altre cose simili».
E Sallusti si chiede: «Ora, se escludiamo il pugno di intellettuali e qualche moralista pubblico, secondo voi, la nazione a chi si dovrebbe affidare? A un becchino o a un Cavaliere, mettiamo pure sognatore?». Scriveva il consigliere provinciale lodigiano Luca Canova del Pd nel suo blog qualche giorno fa: «All'italiano medio, sbaglierò ma non credo, non interessa il futuro della scuola, dell'università, del welfare; è più interessato a sapere se quello fra Fini e Tulliani fu vero amore, se Noemi era o meno vergine, se Silvio regalerà lo scudetto, se è possibile sgarrare senza danni, se è possibile convivere con la mafia. Insomma se si può rimanere italiani, un po' cialtroni e un po' furbastri, un po' mattoidi e un po' seri, un po' genialoidi e un po' delinquenti nel mondo che avanza, dove anche i più poveri sono diventati, con metodo e tenacia, seri e credibili e non fanno sconti a nessuno, figurarsi all'Italietta di Silvio Berlusconi». Insomma, la realtà per Canova è che «alla maggioranza del ceto medio italiano, inutile illudersi, piace quest'ominicchio che ne legittima la volgarità, l'arroganza, l'ignoranza di fondo». Un'Italia fatta «in gran parte di sudditi, non di protagonisti. Di Cicchitti, di Gasparri, di La Russa e di Brambille e non di Falcone, di Borsellino, di insegnanti che tirano avanti con i denti, di medici che sclerano nelle corsie d'ospedale. Fa male dirlo, ma noi siamo fatti in maggioranza così». Per Canova è sbagliata «la strategia di fondo del Pd», perché basata su un'equivoco su cui il partito rischia di schiantarsi.
«La gente ha bisogno di sogni, possibilmente di vittoria. Parola, quest'ultima, assente dal discorso di Bersani, che non osa pronunciarla neppure accostata al nome del suo partito», continua Sallusti. «Tanto che come soluzioni dei problemi non ha detto: dai ragazzi, facciamo cadere Berlusconi che andiamo a votare e vinciamo. No, ha detto (sintetizzo): speriamo che Fini riesca nella sua azione di mandare in crisi la maggioranza, così andiamo dal compagno Napolitano e ci facciamo fare un bel governo tecnico insieme a chiunque ci sta». Ecco, dice Sallusti: «Ma se non ci crede lui che la sinistra può essere una grande forza alternativa al centrodestra, chi diavolo vuole convincere?».
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