A tenere banco nel teatrino politico di fine settimana, oltre all'epistolario democratico, c'era anche l'editoriale di Beppe Del Colle su Famiglia Cristiana. Un articolo che è parso subito incentrato sul difficile rapporto di Berlusconi con la Costituzione, argomento affrontato con «rigida» osservanza dei canoni della vulgata propagandata dagli agit-prop del centrosinistra. Tanto che il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi si affrettava a commentare: «Famiglia Cristiana sembra diventata la fotocopia de Il Fatto e de L'Unità, e non mi pare che questa sia la caratteristica di un settimanale cattolico». E per contro le «lodi» del senatore Pd Giovanpaolo: «Famiglia Cristiana coglie il senso di un partito mai nato che nega in essenza l'articolo 49 della Costituzione. Il partito-azienda creato da Berlusconi nel 1994 prima con funzionari Fininvest e transfughi del Caf prosegue sotto altre forme nel Pdl».
La frase incriminata, per così dire, che ha scatenato la bagarre è l'incipit dell'articolo, dove Beppe Del Colle scrive: «Berlusconi ha detto chiaro e tondo che nel cammino verso le elezioni anticipate - qualora il piano dei "cinque punti" non riceva rapidamente la fiducia del Parlamento - non si farà incantare da nessuno, tantomeno dai "formalismi costituzionali". Così lo sappiamo dalla sua viva voce: in Italia comanda solo lui, grazie alla "sovranità popolare" che finora lo ha votato. La Costituzione in realtà dice: "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Berlusconi si ferma a metà della frase, il resto non gli interessa, è puro "formalismo"». Sarebbe fin troppo facile ribaltare il ragionamento dell'editorialista, annotando che specularmente gli «altri», il Pd in primis, salta a piè pari la prima parte per gongolarsi dell'esistenza della seconda, perché ben sanno che in tempi brevi difficilmente possono avere il popolo dalla loro parte, che gesuiticamente continua a premiare Berlusconi. Cioè, ad ogni vittoria del Cavaliere, invece di preoccuparsi di preparare l'eventuale successo elettorale alla prossima tornata, ci si butta a disarcionarlo sperando in una ammucchiata parlamentare antipopolare. Curioso che nessuno ricordi mai il fatto che il parlamentare è eletto senza vincoli di mandato. Già, perché dichiararli liberi da Berlusconi, e quindi dal voto popolare, torna comodo; liberarli del tutto, anche dalle proprie segreterie, no, proprio no, non va bene.
Ma, come spesso accade, l'aspetto più sconcertante dell'editoriale di Beppe Del Colle è un altro, poco colto tanto che del solo Buttiglione si cita una frase in merito tra i pochi immediati ritagli che ho scorso. Ad un certo punto dell'editoriale si viene insomma al dunque: «La discesa in campo di Berlusconi ha avuto come risultato quello che nessun politico nel mezzo secolo precedente aveva sperato: di spaccare in due il voto cattolico (o, per meglio dire, il voto democristiano)». La precisazione inserita fra parentesi, correggendosi Del Colle di fatto, esplicita la realtà innanzitutto dell'inesistenza d'un voto cattolico, la cui essenza, se accettata e accertata la consistenza, per iperbole rimanderebbe il pensiero ad un accostamento coll'integralismo islamico. Ciò che preme è il voto reale, concreto, quello che la Democrazia Cristiana attraeva, voto di cattolici, ma non solo, così ben strumentalizzato nella prima repubblica dalle gerarchie ecclesiali come voto cattolico. Per chiedere e chiedersi quale delle due fette in cui la torta democristiana è stata suddivisa con la discesa in campo deve fare abiura: «Quale delle due metà deve fare "autocritica": quella che ha scelto il Cavaliere, o quella che si è divisa fra il Centro e la sinistra, piena di magoni sui temi "non negoziabili" sui quali la chiesa insiste in questi anni?», scrive Del Colle. Ma la domanda giusta era un'altra: esiste ancora, caratterizzabile, quel voto? Così come il vecchio voto comunista, che si dice che va in gran parte oggi alla Lega. C'è da chiedersi se esista ancora un elettorato attento a propaganda del tipo "nel segreto dell'urna Dio ti vede, Stalin no", e la risposta non può che essere negativa. Solo il gerontocomio dei porporati può ancora illudersi di pilotare come un tempo veniva fatto un popolo formalmente cattolico ma concretamente laico nella sua generalità.
Beppe Del Colle, dopo la doverosa quanto ovvia citazione del filosofo e sociologo Ivan Illich, non ha dubbi su chi deve abiurare: «Il berlusconismo sembra averne fatto una regola: se promette alla Chiesa di appassionarsi (soprattutto con i suoi atei-devoti) all'embrione e a tutto il resto, con la vita quotidiana degli altri non ha esitazioni: il "metodo Boffo" (chi dissente va distrutto) è fatto apposta». Poiché è dalla sua discesa in campo che Berlusconi è combattuto a prescindere con una sorta di metodo Boffo ante-litteram, vien da chiedersi da chi abbia dissentito tanto, da meritarsi, giusto o non giusto, la persecuzione della gioiosa macchina da guerra.
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