Qualche settimana fa Luca Zaia spiegava su La Padania la nuova Carta fondamentale del Veneto, uno statuto incentrato su due parole d'ordine: federalismo e identità. Nell'intervista di Alvise Schiavon, il governatore veneto rispondeva alle polemiche suscitate dalla bozza del documento preparata da Pdl-Lega Nord, particolarmente legate a indicazioni che avvantaggerebbero chi dimostra un particolare legame con il territorio. A tali critiche, Zaia rispondeva: «Ci siamo presentati in campagna elettorale con un programma ben preciso. Anzi, lo slogan che ci rendeva riconoscibili dagli altri candidati era, appunto, "Prima il Veneto". Perché avremmo dovuto deludere le aspettative dei cittadini che ci hanno votato - oltre il sessanta per cento degli elettori veneti - cambiando le carte in tavola? Poi, mi sembra che l'indicazione di principio contenuta in quella frase sia di assoluto buon senso. Sfido chiunque a non voler portare avanti gli interessi del proprio territorio e di chi lo abita e contribuisce al suo sviluppo. Questo vale per la Campania di Caldoro o l'Emilia Romagna di Errani. La Puglia, tanto per citare, aveva previsto il finanziamento di master all'estero per i giovani, a patto però che questi tornassero per mettere a frutto le competenze acquisite a vantaggio della propria terra. Non è una posizione egoistica, ma il riconoscimento che non può esistere un territorio senza una comunità che lo animi e lo faccia crescere. E infatti nella bozza c'è scritto: "Il Veneto è costituito dal popolo veneto e dal suo territorio". Quindi quella comunità va aiutata e sostenuta».
A chi accusa lo statuto di razzismo e discriminazione, Zaia ricorda la terza parte dell'articolo 4: «La Regione, in conformità con la tradizione storico-culturale cristiana del suo popolo, con le proprie tradizioni di libertà di scienza e di pensiero e di laicità ispira la propria azione ai principi di eguaglianza e di solidarietà nei confronti di ogni persona di qualunque provenienza, cultura e religione. Promuove processi di partecipazione e di integrazione nei diritti e nei doveri, rifiutando pregiudizi e discriminazioni e considerando come valore fondamentale la pacifica convivenza dei popoli».
Ma c'è un'altra parte dell'intervista pubblicata da La Padania, che risulta interessante da annotare e riguarda il progetto delle «piccole patrie». Dice Zaia: «Ricordo una battuta dello studioso di autonomismo Gilberto Oneto, chiarissima e molto efficace: "Quando si vuole costruire una matrioska si deve per forza partire dal pezzo più piccolo". Questo significa avere il coraggio della visione, immaginando un progetto europeo alternativo a quello perseguito fino ad oggi. Un progetto che si fondi, appunto, sul principio delle piccole patrie ridefinendo in modo graduale gli assetti internazionali che hanno prevalso finora. È in questo modo che potremo costruire una alternativa allo sradicamento e alla mondializzazione in atto a livello globale, ed anche a livello europeo, evitando al contempo quei fenomeni di nazionalismo che hanno portato in passato a conflitti sanguinosi. Credo che un percorso diverso dal centralismo degli Stati-nazione sia non solo possibile ma necessario. Ecco il perché del mio riferimento [ampio nell'intervista] alla Catalogna e a tutte le autonomie che, nei diversi paesi europei, hanno ormai una storia antica e solida e che contribuiscono, con la loro identità, allo sviluppo di tutta la nazione. Il Veneto può diventare veramente, ed è questo lo spirito della bozza di Statuto, l'avamposto di modernità dell'Italia intera». E, dunque, un occhio di riguardo va riservato al Veneto, regione che vuole essere l'avanguardia di quell'Europa dei popoli che è il nostro futuro.
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