Da “Il Mattino” di ieri, martedì 2 dicembre, riporto l’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, titolo: “La coesione del Paese interesse nazionale”.
Dopo i molti, lunghi mesi durante i quali il nome di Napoli è stato associato - nell’opinione diffusa e nella polemica politica - alla penosissima emergenza rifiuti, una vicenda il cui epilogo tragico oggi ci turba e scuote umanamente, è giusto, ora, accendere i riflettori su tutte le forme di operosità e di capacità realizzatrice - spinte ed energie sane - di cui sono ricche questa città e questa regione. Realtà produttive, nel senso più ampio dell’espressione. Centri di ricerca scientifica e tecnologica, realtà culturali e iniziative volte a valorizzarle: si possano riassumere nella parola «eccellenze» o vadano molto al di là di ciò, sono, tutte, esperienze e presenze, nel segno di un corretto rapporto con le istituzioni e del pieno rispetto della legalità, che valgono a bilanciare rappresentazioni negative, unilaterali e spesso ingiuste. Di qui quella fiducia nell’avvenire di Napoli che due anni e mezzo fa - poco dopo essere stato chiamato ad assumere la più alta magistratura della Repubblica - volli, fuor di retorica, riaffermare (nell’incontro che si tenne in Palazzo Reale) e da cui trassi l’appello a «un forte investimento materiale e di fiducia da parte delle classi dirigenti e dello Stato».
Non nascosi, tuttavia, in quella occasione, le pesanti criticità che offuscavano l’immagine e la prospettiva di sviluppo di Napoli e della Campania. E indicai come gravi la lentezza di realizzazione di alcuni progetti fondamentali da tempo annunciati; la sempre inquietante pressione della criminalità organizzata e della criminalità diffusa; la questione irrisolta dei rifiuti che - aggiunsi - «richiede un’azione risoluta contro cieche resistenze a decisioni improrogabili e contro palesi illegalismi». Quell’azione risoluta è poi finalmente giunta: per quel che riguarda la questione rifiuti, i risultati di sforzi concentrati ed energici non sono mancati, vediamo ora le condizioni per procedere verso soluzioni esaurienti e durevoli.
Ma il quadro complessivo resta segnato da luci e ombre, da potenzialità e contraddizioni, da volontà di rilancio e ostacoli vecchi e nuovi. Facciamo comunque leva sulle energie sane e valide, sui fattori di intraprendenza e dinamismo che emergono: questa è la priorità. E perciò ben vengano i riconoscimenti cui sono oggi felice di presenziare - per imprese che hanno mostrato di saper eccellere, anche e in particolare nella competizione globale del nostro tempo.
È una bella, importante iniziativa, che si colloca in continuità con quella della Federazione Cavalieri del Lavoro-Mezzogiorno dello scorso luglio e con l’Assemblea dell’Unione Industriali di Napoli dello scorso ottobre. Ne viene un esempio per tutto il Mezzogiorno, un esempio di valore nazionale.
E vorrei a questo punto allargare il discorso proprio all’intero Mezzogiorno, anche perché - pur non sottovalutando le diversità che presenta il panorama meridionale - pesano sullo sviluppo di tutta l’area difficoltà e problemi con cui ci si deve misurare.
I dati in cui si riassume il divario leggermente attenuatosi nella seconda metà degli anni ’90 e nuovamente aggravatosi negli ultimi anni - tra il tasso di crescita del Centro Nord e quello del Mezzogiorno, sono troppo noti, non occorre richiamarli, sono stati certificati anche dalla Banca d’Italia. Tali dati riguardano sia la crescita del Pil, sia quella dell’occupazione, specie femminile, e della disoccupazione, al netto di una ripresa di flusso migratorio dal Sud verso il Centro Nord; essi riguardano anche il grado di efficienza di servizi e prestazioni fondamentali.
Non si può non trarre da ciò materia di seria riflessione sulla validità delle politiche portate avanti nell’ultimo quindicennio dallo Stato e dalle istituzioni regionali e locali rispetto all’obbiettivo di una riduzione del divario tra Nord e Sud e di un’efficace promozione dello sviluppo del Mezzogiorno. Tale riflessione dovrebbe condurre a nuove determinazioni, partendo da un presupposto che si tende invece a trascurare: il presupposto formulato così dal Governatore Draghi, in occasione dell’ultima Assemblea della Banca d’Italia - «Gli spazi di crescita sono molto più ampi al Sud che al Nord. Azioni volte a sfruttarli possono dare un contributo decisivo al rilancio di tutta l’economia italiana». Si tratta dunque di un concreto interesse nazionale, oltre che di un imperativo storico e politico, quello della coesione del paese.
Credo di poter dire - senza entrare nel merito di alcuna disputa politica - che in questo momento, e già da tempo, assai basso è il grado di attenzione che tutte le forze rappresentative del paese dedicano al problema del Mezzogiorno e del rapporto tra Mezzogiorno e sviluppo nazionale. Si può ritenere che non ci si possa attendere una maggiore attenzione in quella direzione vista la grave e delicatissima crisi finanziaria e la incombente recessione economica con cui il mondo, e l’Italia, stanno facendo e debbono fare i conti. Ma se è vero che s’impone un grande sforzo comune per sostenere la crescita economica del paese, può questo obbiettivo generale essere perseguito senza tener conto dei limiti e delle potenzialità che il Mezzogiorno rappresenta, e rinviando a non si sa quale «dopo» azioni specificamente rivolte a far leva sugli «spazi di crescita» che ci sono al Sud? Non dovrebbe ogni intervento pubblico anti-crisi mirare anche e in particolare al Mezzogiorno, che già soffre di condizioni di persistente arretratezza e le cui popolazioni soffrono di un più forte disagio sociale? Mi auguro che questo interrogativo venga nelle prossime settimane raccolto e sciolto responsabilmente. Me lo auguro anche pensando a fenomeni di recessione e quindi di aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, che incombono su già precari equilibri economici e sociali a Napoli e nelle regioni meridionali.
Si è detto, in tempi recenti e a ragione, che per il Mezzogiorno è importante un discorso non solo e non tanto di quantità di risorse, ma di qualità dell’azione pubblica e di miglioramento del contesto generale al fini di un impiego più produttivo, più efficace delle risorse disponibili. Questo è senza dubbio vero, ma egualmente non si può fare a meno di rilevare l’evoluzione in corso nell’attribuzione di risorse a politiche di riequilibrio territoriale. È in atto una sensibile riduzione non parlo nemmeno degli stanziamenti ordinari - del Fondo per le Aree Sottoutilizzate; riduzione nel periodo 2007-2013 di oltre 11 miliardi, 10 per il Mezzogiorno.
Dallo stesso Fondo il decreto appena approvato dal Consiglio dei Ministri preleva ulteriori risorse, destinandole al «Fondo per le infrastrutture prioritarie»: e a questo punto diventa essenziale che il Parlamento e le Regioni vigilino perché sia mantenuta ferma, per tutti i campi d’intervento, la distribuzione territoriale - che lo stesso nuovo decreto ribadisce in linea di principio - nella misura dell’85 per cento a favore delle Regioni meridionali. Ciò vale in particolare di fronte al grave deficit di infrastrutture che presenta il Sud.
Fermandomi a questa sola considerazione per ciò che riguarda l’aspetto della quantità di risorse da garantire al Mezzogiorno, non posso non toccare l’altro aspetto, quello dell’efficienza e della qualità dell’impiego delle risorse disponibili. E qui non poche sono le note dolenti, che chiamano in causa molteplici responsabilità, in gran parte, non possiamo nasconderlo, interne al Mezzogiorno.
Note dolenti, in particolare e soprattutto, a proposito dell’impiego di assai cospicui fondi europei. Perché dall’Europa vengono non solo vincoli, come talvolta si dice, ma politiche di coesione e sostegni strutturali. E i fondi destinati al Mezzogiorno sono stati negli ultimi anni una riserva, ripeto, cospicua. Ma ritardi nell’utilizzazione, scelte dispersive, insufficienze progettuali e ripiegamenti fuorvianti su cosiddetti progetti sponda, hanno condotto al rischio di perdere una grande occasione. E dunque assolutamente indispensabile che cambino i comportamenti di tutti i soggetti, pubblici e privati, che condizionano negativamente il miglior uso, secondo l’interesse generale, delle risorse disponibili per il Mezzogiorno.
Valgono a questo proposito le osservazioni mosse dal professor Barucci, oggi e in una precedente occasione sempre a Napoli, sulla debolezza delle logiche di mercato, sul peso gravissimo di quelle che egli chiama «intermediazioni improprie», che possono ricondursi a molteplici forme di corruzione e clientelismo, di interferenza e manipolazione rispetto a un lineare e corretto impiego delle risorse pubbliche, e che si traducono in crescita dell’economia illegale.
Bisogna riconoscere che accanto al potenziamento dell’azione già notevole dello Stato contro la criminalità organizzata specie nella sua dimensione di potenza economica, occorre mettere in discussione la qualità della politica, l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, e anche l’impegno ad elevare il grado complessivo di coscienza civica, la cui insufficienza moltiplica le difficoltà e favorisce le degenerazioni.
Affrontare senza impacci e ipocrisie queste questioni dall’interno del Mezzogiorno, è condizione essenziale per porre con maggiore forza anche il tema cruciale del rapporto tra il provvedimento di cui si discute in attuazione del federalismo fiscale ovvero dell’articolo 119 della Costituzione, e lo sviluppo di adeguate politiche per il Mezzogiorno.
Va in questo quadro chiarito e garantito il livello effettivo dei necessari trasferimenti tra il Nord e il Sud del paese, anche in funzione di una parità nel godimento di diritti fondamentali: senza, nello stesso tempo, sottrarsi a un doveroso esercizio di responsabilità, nel Mezzogiorno, per quel che riguarda, ripeto ancora una volta, l’impiego oculato delle risorse pubbliche destinate al Sud e per quel che riguarda, in particolare, costi e qualità dei servizi da prestare a carico della finanza pubblica.
Non c’è bisogno di dire quanto questo esercizio di responsabilità nella finalizzazione e nel controllo della spesa pubblica nel Mezzogiorno si imponga nelle condizioni di bilancio che caratterizzano l’Italia: dovendosi sul piano generale intervenire per impedire che la crisi finanziaria si trasmetta ancor più pesantemente all’economia reale ma nello stesso tempo mantenere la fiducia nei titoli del nostro debito pubblico, che resta ingente.
Ho voluto richiamare, nella sua complessità, la situazione del Mezzogiorno, dentro la quale si colloca quella di Napoli. È una situazione che richiederebbe di essere ben più attentamente seguita, analizzata e affrontata, da tutte le rappresentanze e le istituzioni nazionali. Ma qui oggi possiamo registrare con soddisfazione gli impulsi di crescita e di progresso che vengono – all’interno del Mezzogiorno e dell’area napoletana e campana - dal mondo dell’impresa e della ricerca. Mi riferisco alle eccellenze che abbiamo appena premiato, e il cui successo è frutto di capacità innovativa e competitiva, a smentita dei luoghi comuni che indicano nel Mezzogiorno solo il luogo dell’assistenzialismo e dello sviluppo protetto. E ciò vale egualmente per le aziende che ho visitato stamattina a Pomigliano d’Arco tra operai e tecnici giovani che sono espressione di un prezioso capitale umano.
Mi riferisco a quel che ho ascoltato prima che iniziasse questa assemblea sulla nascita, nella Federico II, di un Centro di calcolo scientifico avanzato, esempio di sinergia tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Università, con lo sguardo rivolto anche all’interazione ricerca-industria. Abbiamo appena visto in Israele, con la dottoressa Marcegaglia, come un paese possa fare dell’eccellenza tecnologica uno dei motori trascinanti della propria economia. E abbiamo potuto tutti cogliere l’importanza che tende ad assumere il Progetto Sud-Nord lanciato dalla Confindustria per una più intensa cooperazione, in materia di ricerca e innovazione, tra soggetti imprenditoriali delle diverse aree del paese. Sono altrettanti motivi di orgoglio che potete vantare contro troppo facili sottovalutazioni e denigrazioni. Vi dico perciò: abbiate fiducia in voi stessi, nella vostra capacità di superare le sfide dell’oggi e del domani, e anche - aggiungo - nella vostra capacità di sollecitare e influenzare cambiamenti positivi nella realtà istituzionale e civile di Napoli, della Campania, del Mezzogiorno. Abbiate fiducia in voi stessi perché si possa noi tutti avere fiducia nell’avvenire di Napoli.
Dopo i molti, lunghi mesi durante i quali il nome di Napoli è stato associato - nell’opinione diffusa e nella polemica politica - alla penosissima emergenza rifiuti, una vicenda il cui epilogo tragico oggi ci turba e scuote umanamente, è giusto, ora, accendere i riflettori su tutte le forme di operosità e di capacità realizzatrice - spinte ed energie sane - di cui sono ricche questa città e questa regione. Realtà produttive, nel senso più ampio dell’espressione. Centri di ricerca scientifica e tecnologica, realtà culturali e iniziative volte a valorizzarle: si possano riassumere nella parola «eccellenze» o vadano molto al di là di ciò, sono, tutte, esperienze e presenze, nel segno di un corretto rapporto con le istituzioni e del pieno rispetto della legalità, che valgono a bilanciare rappresentazioni negative, unilaterali e spesso ingiuste. Di qui quella fiducia nell’avvenire di Napoli che due anni e mezzo fa - poco dopo essere stato chiamato ad assumere la più alta magistratura della Repubblica - volli, fuor di retorica, riaffermare (nell’incontro che si tenne in Palazzo Reale) e da cui trassi l’appello a «un forte investimento materiale e di fiducia da parte delle classi dirigenti e dello Stato».
Non nascosi, tuttavia, in quella occasione, le pesanti criticità che offuscavano l’immagine e la prospettiva di sviluppo di Napoli e della Campania. E indicai come gravi la lentezza di realizzazione di alcuni progetti fondamentali da tempo annunciati; la sempre inquietante pressione della criminalità organizzata e della criminalità diffusa; la questione irrisolta dei rifiuti che - aggiunsi - «richiede un’azione risoluta contro cieche resistenze a decisioni improrogabili e contro palesi illegalismi». Quell’azione risoluta è poi finalmente giunta: per quel che riguarda la questione rifiuti, i risultati di sforzi concentrati ed energici non sono mancati, vediamo ora le condizioni per procedere verso soluzioni esaurienti e durevoli.
Ma il quadro complessivo resta segnato da luci e ombre, da potenzialità e contraddizioni, da volontà di rilancio e ostacoli vecchi e nuovi. Facciamo comunque leva sulle energie sane e valide, sui fattori di intraprendenza e dinamismo che emergono: questa è la priorità. E perciò ben vengano i riconoscimenti cui sono oggi felice di presenziare - per imprese che hanno mostrato di saper eccellere, anche e in particolare nella competizione globale del nostro tempo.
È una bella, importante iniziativa, che si colloca in continuità con quella della Federazione Cavalieri del Lavoro-Mezzogiorno dello scorso luglio e con l’Assemblea dell’Unione Industriali di Napoli dello scorso ottobre. Ne viene un esempio per tutto il Mezzogiorno, un esempio di valore nazionale.
E vorrei a questo punto allargare il discorso proprio all’intero Mezzogiorno, anche perché - pur non sottovalutando le diversità che presenta il panorama meridionale - pesano sullo sviluppo di tutta l’area difficoltà e problemi con cui ci si deve misurare.
I dati in cui si riassume il divario leggermente attenuatosi nella seconda metà degli anni ’90 e nuovamente aggravatosi negli ultimi anni - tra il tasso di crescita del Centro Nord e quello del Mezzogiorno, sono troppo noti, non occorre richiamarli, sono stati certificati anche dalla Banca d’Italia. Tali dati riguardano sia la crescita del Pil, sia quella dell’occupazione, specie femminile, e della disoccupazione, al netto di una ripresa di flusso migratorio dal Sud verso il Centro Nord; essi riguardano anche il grado di efficienza di servizi e prestazioni fondamentali.
Non si può non trarre da ciò materia di seria riflessione sulla validità delle politiche portate avanti nell’ultimo quindicennio dallo Stato e dalle istituzioni regionali e locali rispetto all’obbiettivo di una riduzione del divario tra Nord e Sud e di un’efficace promozione dello sviluppo del Mezzogiorno. Tale riflessione dovrebbe condurre a nuove determinazioni, partendo da un presupposto che si tende invece a trascurare: il presupposto formulato così dal Governatore Draghi, in occasione dell’ultima Assemblea della Banca d’Italia - «Gli spazi di crescita sono molto più ampi al Sud che al Nord. Azioni volte a sfruttarli possono dare un contributo decisivo al rilancio di tutta l’economia italiana». Si tratta dunque di un concreto interesse nazionale, oltre che di un imperativo storico e politico, quello della coesione del paese.
Credo di poter dire - senza entrare nel merito di alcuna disputa politica - che in questo momento, e già da tempo, assai basso è il grado di attenzione che tutte le forze rappresentative del paese dedicano al problema del Mezzogiorno e del rapporto tra Mezzogiorno e sviluppo nazionale. Si può ritenere che non ci si possa attendere una maggiore attenzione in quella direzione vista la grave e delicatissima crisi finanziaria e la incombente recessione economica con cui il mondo, e l’Italia, stanno facendo e debbono fare i conti. Ma se è vero che s’impone un grande sforzo comune per sostenere la crescita economica del paese, può questo obbiettivo generale essere perseguito senza tener conto dei limiti e delle potenzialità che il Mezzogiorno rappresenta, e rinviando a non si sa quale «dopo» azioni specificamente rivolte a far leva sugli «spazi di crescita» che ci sono al Sud? Non dovrebbe ogni intervento pubblico anti-crisi mirare anche e in particolare al Mezzogiorno, che già soffre di condizioni di persistente arretratezza e le cui popolazioni soffrono di un più forte disagio sociale? Mi auguro che questo interrogativo venga nelle prossime settimane raccolto e sciolto responsabilmente. Me lo auguro anche pensando a fenomeni di recessione e quindi di aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, che incombono su già precari equilibri economici e sociali a Napoli e nelle regioni meridionali.
Si è detto, in tempi recenti e a ragione, che per il Mezzogiorno è importante un discorso non solo e non tanto di quantità di risorse, ma di qualità dell’azione pubblica e di miglioramento del contesto generale al fini di un impiego più produttivo, più efficace delle risorse disponibili. Questo è senza dubbio vero, ma egualmente non si può fare a meno di rilevare l’evoluzione in corso nell’attribuzione di risorse a politiche di riequilibrio territoriale. È in atto una sensibile riduzione non parlo nemmeno degli stanziamenti ordinari - del Fondo per le Aree Sottoutilizzate; riduzione nel periodo 2007-2013 di oltre 11 miliardi, 10 per il Mezzogiorno.
Dallo stesso Fondo il decreto appena approvato dal Consiglio dei Ministri preleva ulteriori risorse, destinandole al «Fondo per le infrastrutture prioritarie»: e a questo punto diventa essenziale che il Parlamento e le Regioni vigilino perché sia mantenuta ferma, per tutti i campi d’intervento, la distribuzione territoriale - che lo stesso nuovo decreto ribadisce in linea di principio - nella misura dell’85 per cento a favore delle Regioni meridionali. Ciò vale in particolare di fronte al grave deficit di infrastrutture che presenta il Sud.
Fermandomi a questa sola considerazione per ciò che riguarda l’aspetto della quantità di risorse da garantire al Mezzogiorno, non posso non toccare l’altro aspetto, quello dell’efficienza e della qualità dell’impiego delle risorse disponibili. E qui non poche sono le note dolenti, che chiamano in causa molteplici responsabilità, in gran parte, non possiamo nasconderlo, interne al Mezzogiorno.
Note dolenti, in particolare e soprattutto, a proposito dell’impiego di assai cospicui fondi europei. Perché dall’Europa vengono non solo vincoli, come talvolta si dice, ma politiche di coesione e sostegni strutturali. E i fondi destinati al Mezzogiorno sono stati negli ultimi anni una riserva, ripeto, cospicua. Ma ritardi nell’utilizzazione, scelte dispersive, insufficienze progettuali e ripiegamenti fuorvianti su cosiddetti progetti sponda, hanno condotto al rischio di perdere una grande occasione. E dunque assolutamente indispensabile che cambino i comportamenti di tutti i soggetti, pubblici e privati, che condizionano negativamente il miglior uso, secondo l’interesse generale, delle risorse disponibili per il Mezzogiorno.
Valgono a questo proposito le osservazioni mosse dal professor Barucci, oggi e in una precedente occasione sempre a Napoli, sulla debolezza delle logiche di mercato, sul peso gravissimo di quelle che egli chiama «intermediazioni improprie», che possono ricondursi a molteplici forme di corruzione e clientelismo, di interferenza e manipolazione rispetto a un lineare e corretto impiego delle risorse pubbliche, e che si traducono in crescita dell’economia illegale.
Bisogna riconoscere che accanto al potenziamento dell’azione già notevole dello Stato contro la criminalità organizzata specie nella sua dimensione di potenza economica, occorre mettere in discussione la qualità della politica, l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, e anche l’impegno ad elevare il grado complessivo di coscienza civica, la cui insufficienza moltiplica le difficoltà e favorisce le degenerazioni.
Affrontare senza impacci e ipocrisie queste questioni dall’interno del Mezzogiorno, è condizione essenziale per porre con maggiore forza anche il tema cruciale del rapporto tra il provvedimento di cui si discute in attuazione del federalismo fiscale ovvero dell’articolo 119 della Costituzione, e lo sviluppo di adeguate politiche per il Mezzogiorno.
Va in questo quadro chiarito e garantito il livello effettivo dei necessari trasferimenti tra il Nord e il Sud del paese, anche in funzione di una parità nel godimento di diritti fondamentali: senza, nello stesso tempo, sottrarsi a un doveroso esercizio di responsabilità, nel Mezzogiorno, per quel che riguarda, ripeto ancora una volta, l’impiego oculato delle risorse pubbliche destinate al Sud e per quel che riguarda, in particolare, costi e qualità dei servizi da prestare a carico della finanza pubblica.
Non c’è bisogno di dire quanto questo esercizio di responsabilità nella finalizzazione e nel controllo della spesa pubblica nel Mezzogiorno si imponga nelle condizioni di bilancio che caratterizzano l’Italia: dovendosi sul piano generale intervenire per impedire che la crisi finanziaria si trasmetta ancor più pesantemente all’economia reale ma nello stesso tempo mantenere la fiducia nei titoli del nostro debito pubblico, che resta ingente.
Ho voluto richiamare, nella sua complessità, la situazione del Mezzogiorno, dentro la quale si colloca quella di Napoli. È una situazione che richiederebbe di essere ben più attentamente seguita, analizzata e affrontata, da tutte le rappresentanze e le istituzioni nazionali. Ma qui oggi possiamo registrare con soddisfazione gli impulsi di crescita e di progresso che vengono – all’interno del Mezzogiorno e dell’area napoletana e campana - dal mondo dell’impresa e della ricerca. Mi riferisco alle eccellenze che abbiamo appena premiato, e il cui successo è frutto di capacità innovativa e competitiva, a smentita dei luoghi comuni che indicano nel Mezzogiorno solo il luogo dell’assistenzialismo e dello sviluppo protetto. E ciò vale egualmente per le aziende che ho visitato stamattina a Pomigliano d’Arco tra operai e tecnici giovani che sono espressione di un prezioso capitale umano.
Mi riferisco a quel che ho ascoltato prima che iniziasse questa assemblea sulla nascita, nella Federico II, di un Centro di calcolo scientifico avanzato, esempio di sinergia tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Università, con lo sguardo rivolto anche all’interazione ricerca-industria. Abbiamo appena visto in Israele, con la dottoressa Marcegaglia, come un paese possa fare dell’eccellenza tecnologica uno dei motori trascinanti della propria economia. E abbiamo potuto tutti cogliere l’importanza che tende ad assumere il Progetto Sud-Nord lanciato dalla Confindustria per una più intensa cooperazione, in materia di ricerca e innovazione, tra soggetti imprenditoriali delle diverse aree del paese. Sono altrettanti motivi di orgoglio che potete vantare contro troppo facili sottovalutazioni e denigrazioni. Vi dico perciò: abbiate fiducia in voi stessi, nella vostra capacità di superare le sfide dell’oggi e del domani, e anche - aggiungo - nella vostra capacità di sollecitare e influenzare cambiamenti positivi nella realtà istituzionale e civile di Napoli, della Campania, del Mezzogiorno. Abbiate fiducia in voi stessi perché si possa noi tutti avere fiducia nell’avvenire di Napoli.
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