Che a Berlusconi, come familiarmente si dice, “faccia male” frequentare ambiti del Quirinale è noto da tempo. Per sperare di diventare la massima carica dello Stato, prima o poi, deve tenersi buoni un po’ tutti e così, di tanto in tanto, si dimentica dei suoi elettori, che gli hanno dato sì una fiducia incondizionata, ma non cieca. Una piccola cosuccia che il nostro premier non dovrebbe mai “obliare” seppure le circostanze gli suggeriscano estemporaneamente di farlo, così tanto per gradire, per deliziare, come si fa ad un party, gli interlocutori con una piccola gag o una boutade, per dare credito insomma alla propria fama di simpatico, di simpatico proprio a tutti. Così dopo il bagno di folla di ieri ai Fori imperiali, le grida “Silvio santo subito”, quel risalire sul predellino, come quel giorno della svolta, quel rispondere con ampi gesti all’abbraccio della folla, gli ha fatto dimenticare, nell’apoteosi del momento perdurata nella sua testa come felicissimo accadimento, la sana e intelligente prudenza.
La questione è quella del reato di clandestinità. Va detto subito che le parole riportate dalle agenzie, dette dal premier nella conferenza stampa congiunta con il presidente francese Nicolas Sarkozy a Palazzo Chigi sono neutre e rispettose del Parlamento che è l’istituzione deputata a decidere in materia: “Non è un monito dell'Onu [riferendosi al reato di immigrazione clandestina]. È una dichiarazione smentita circa un giudizio negativo su qualcosa che è ancora in divenire. Il Parlamento è sovrano e deciderà secondo coscienza e buon senso. Personalmente penso che non si può perseguire qualcuno per la permanenza non regolare nel nostro paese condannandolo con una pena, ma questa può essere una aggravante se commette un reato”. Certo se il vecchio detto: “il silenzio è d’oro” fosse più spesso tenuto in considerazione, non si darebbe spazio a tempeste in un bicchier d’acqua. Quel “Personalmente penso”: un premier “non può” pensare “personalmente”, soprattutto dopo un pronunciamento unitario del consiglio dei ministri. Ma Berlusconi è così. Che ci possiamo fare.
La verità è che la questione è complessa e ha molte facce. Da un lato è vero quello che dice Calderoli: “La vera pena per gli immigrati clandestini non è il carcere ma rispedirli a casa”; e pure quello che dice Roberto Cota, capogruppo alla Camera della Lega, “Il reato di immigrazione clandestina è un ottimo strumento di contrasto per realizzare subito le espulsioni”. Dall’altro, così come è stato espresso nel testo presentato nel consiglio dei ministri, “Lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni [di legge] è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”, rappresenta di fatto un qualcosa di inapplicabile per il pregresso, ma anche per l’oggi, se è vero come è vero che la gran parte di immigrati irregolari entra nel paese con un visto turistico e poi si dà alla clandestinità. Può di fatto rappresentare una sorta di deterrente, di messaggio che in Italia la festa è finita, anche se, allora, bisognerebbe piuttosto operare per garantire la soluzione di quel problema che va sotto la definizione di “certezza della pena”. Solo così, se vi fosse la certezza di essere puniti, un immigrato irregolare potrebbe pensare due volte, una volte esaurite le risorte per tirare a campare onestamente, prima di tentare la via della piccola delinquenza o vendersi ai racket malavitosi nostrani, e decidere che forse è meglio il ritorno al paesello natio con la coda fra le gambe piuttosto che il ritornarvi da delinquente.
Quanto fatto nei giorni scorsi a Milano sui tram, per dirne una, se esteso ad altre situazioni, i legittimi controlli di identità se fatti in maniera intelligente e mirata, possono valere molto di più come “deterrente” di una norma che rimanga sulla carta inapplicabile. Tattiche simili possono far capire meglio di tante parole e norme ad un irregolare che non è gradito e che se delinque sarà perseguito. Una maggior presenza nelle città, soprattutto nelle periferie, di una polizia visibile può essere un ottimo investimento, che non minacce d’un babau che lascia il tempo che trova.
Tuttavia resta il problema dell’elettorato, la questione coerenza, il rischio denunciato da Borghezio “di deludere i milioni di persone che hanno votato per la nostra coalizione e che devono continuare ad avere piena fiducia nella nostra coerenza”. Mario Borghezio, eurodeputato della Lega, è chiaro: “Rinunciare all'impostazione data dal ministro Maroni e dall'intero governo, dietro ai tentativi di intimidazione che sono arrivati soprattutto dall'estero, sarebbe un cedimento molto difficile da far comprendere ai nostri elettori. I quali non sono razzisti e xenofobi, ma hanno le idee molto chiare su quale sia la causa maggiore dell'insicurezza nelle nostre città e nei nostri paesi”. La maggioranza, insomma può sì raccogliere suggerimenti, miglioramenti, intervenire per eliminare contraddizioni segnalate dalla critica dell’opposizione, ma deve rimanere fermamente coerente con le promesse fatte in campagna elettorale. Solo tale coerenza mantenuta può essere il quid capace di aprire realmente una nuova stagione. Solo la coerenza può essere il puntello per scardinare la volontà di rivincita che comunque c’è dietro il buonismo dell’opposizione; e che si presenta ogni qualvolta c’è un minimo di possibilità di propaganda, come oggi Veltroni: “Berlusconi, con le sue parole di oggi, cancella il reato di immigrazione clandestina. Dà ragione così a quanto ha detto l'opposizione e alle altre voci critiche che si erano levate e contemporaneamente dà torto a quanti nella sua maggioranza si erano intestarditi in questa formulazione”. Non è così, e anche Veltroni lo sa, però ci marcia. Perché in politica non vale il cartello esposto sui tram “Non disturbare il manovratore”. Per non dire, poi, dell’iperbolico Di Pietro, politico futurista nel senso delle parole in libertà: “Berlusconi ha ancora una volta truffato gli italiani, vendendo l'ennesimo miracolo. Ma così si passa dalla padella alla brace, dal reato di clandestinità alla proposta di aggravante, anche questa dai profili incostituzionali”. Ma qui già si rasenta lo sfascismo rimasto fuori dal Parlamento.
La questione è quella del reato di clandestinità. Va detto subito che le parole riportate dalle agenzie, dette dal premier nella conferenza stampa congiunta con il presidente francese Nicolas Sarkozy a Palazzo Chigi sono neutre e rispettose del Parlamento che è l’istituzione deputata a decidere in materia: “Non è un monito dell'Onu [riferendosi al reato di immigrazione clandestina]. È una dichiarazione smentita circa un giudizio negativo su qualcosa che è ancora in divenire. Il Parlamento è sovrano e deciderà secondo coscienza e buon senso. Personalmente penso che non si può perseguire qualcuno per la permanenza non regolare nel nostro paese condannandolo con una pena, ma questa può essere una aggravante se commette un reato”. Certo se il vecchio detto: “il silenzio è d’oro” fosse più spesso tenuto in considerazione, non si darebbe spazio a tempeste in un bicchier d’acqua. Quel “Personalmente penso”: un premier “non può” pensare “personalmente”, soprattutto dopo un pronunciamento unitario del consiglio dei ministri. Ma Berlusconi è così. Che ci possiamo fare.
La verità è che la questione è complessa e ha molte facce. Da un lato è vero quello che dice Calderoli: “La vera pena per gli immigrati clandestini non è il carcere ma rispedirli a casa”; e pure quello che dice Roberto Cota, capogruppo alla Camera della Lega, “Il reato di immigrazione clandestina è un ottimo strumento di contrasto per realizzare subito le espulsioni”. Dall’altro, così come è stato espresso nel testo presentato nel consiglio dei ministri, “Lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni [di legge] è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”, rappresenta di fatto un qualcosa di inapplicabile per il pregresso, ma anche per l’oggi, se è vero come è vero che la gran parte di immigrati irregolari entra nel paese con un visto turistico e poi si dà alla clandestinità. Può di fatto rappresentare una sorta di deterrente, di messaggio che in Italia la festa è finita, anche se, allora, bisognerebbe piuttosto operare per garantire la soluzione di quel problema che va sotto la definizione di “certezza della pena”. Solo così, se vi fosse la certezza di essere puniti, un immigrato irregolare potrebbe pensare due volte, una volte esaurite le risorte per tirare a campare onestamente, prima di tentare la via della piccola delinquenza o vendersi ai racket malavitosi nostrani, e decidere che forse è meglio il ritorno al paesello natio con la coda fra le gambe piuttosto che il ritornarvi da delinquente.
Quanto fatto nei giorni scorsi a Milano sui tram, per dirne una, se esteso ad altre situazioni, i legittimi controlli di identità se fatti in maniera intelligente e mirata, possono valere molto di più come “deterrente” di una norma che rimanga sulla carta inapplicabile. Tattiche simili possono far capire meglio di tante parole e norme ad un irregolare che non è gradito e che se delinque sarà perseguito. Una maggior presenza nelle città, soprattutto nelle periferie, di una polizia visibile può essere un ottimo investimento, che non minacce d’un babau che lascia il tempo che trova.
Tuttavia resta il problema dell’elettorato, la questione coerenza, il rischio denunciato da Borghezio “di deludere i milioni di persone che hanno votato per la nostra coalizione e che devono continuare ad avere piena fiducia nella nostra coerenza”. Mario Borghezio, eurodeputato della Lega, è chiaro: “Rinunciare all'impostazione data dal ministro Maroni e dall'intero governo, dietro ai tentativi di intimidazione che sono arrivati soprattutto dall'estero, sarebbe un cedimento molto difficile da far comprendere ai nostri elettori. I quali non sono razzisti e xenofobi, ma hanno le idee molto chiare su quale sia la causa maggiore dell'insicurezza nelle nostre città e nei nostri paesi”. La maggioranza, insomma può sì raccogliere suggerimenti, miglioramenti, intervenire per eliminare contraddizioni segnalate dalla critica dell’opposizione, ma deve rimanere fermamente coerente con le promesse fatte in campagna elettorale. Solo tale coerenza mantenuta può essere il quid capace di aprire realmente una nuova stagione. Solo la coerenza può essere il puntello per scardinare la volontà di rivincita che comunque c’è dietro il buonismo dell’opposizione; e che si presenta ogni qualvolta c’è un minimo di possibilità di propaganda, come oggi Veltroni: “Berlusconi, con le sue parole di oggi, cancella il reato di immigrazione clandestina. Dà ragione così a quanto ha detto l'opposizione e alle altre voci critiche che si erano levate e contemporaneamente dà torto a quanti nella sua maggioranza si erano intestarditi in questa formulazione”. Non è così, e anche Veltroni lo sa, però ci marcia. Perché in politica non vale il cartello esposto sui tram “Non disturbare il manovratore”. Per non dire, poi, dell’iperbolico Di Pietro, politico futurista nel senso delle parole in libertà: “Berlusconi ha ancora una volta truffato gli italiani, vendendo l'ennesimo miracolo. Ma così si passa dalla padella alla brace, dal reato di clandestinità alla proposta di aggravante, anche questa dai profili incostituzionali”. Ma qui già si rasenta lo sfascismo rimasto fuori dal Parlamento.
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