domenica 8 giugno 2008

In tutta sincerità

In tutta sincerità non riesco proprio ad entusiasmarmi per i comizi politici dei magistrati. Un magistrato – dice il buon senso – dovrebbe occuparsi di amministrare la giustizia, non di sovrapporsi al legislatore. Preferirei che lo zelo, mostrato nelle reazioni contro il nemico politico di turno, fosse piuttosto indirizzato verso l’applicazione della legge e nel garantire le finalità della giustizia.
In tutta sincerità non riesco proprio ad entusiasmarmi per le arringhe dei giornalisti pubblici ministeri. Un giornalista – dice il buon senso – dovrebbe occuparsi di esporre fatti, accadimenti: chi, come, dove, quando, perché. Preferirei che lo zelo, buttato nero su bianco contro il nemico politico di turno, fosse piuttosto usato per informare cercando di alterare la realtà delle cose il meno possibile, sforzandosi di annullare la propria influenza di osservatore sul fatto, lasciando all’intelligenza del lettore il giudizio.
Dico questo di fronte alle mille e mille critiche ed opposizioni di merito e non merito che si alzano ogniqualvolta Berlusconi apre la bocca per preannunciare questo o quel provvedimento. Prima ancora cioè che il provvedimento si materializzi sulla carta, prima ancora di conoscerne gli aspetti, di vederne gli effetti e di giudicarlo di conseguenza dai fatti. Così, in maniera preventiva, perché – sembra – tutto ciò che Berlusconi proponga sia il male che si palesa. Ne prendo un esempio da un articolo oggi di D’Avanzo, peraltro – va riconosciuto – molto intelligente. Dice il giornalista ad un certo punto riferendosi all’annuncio di una legge anti-intercettazioni: «I “giovani” di Confindustria possono anche spellarsi le mani all'annuncio che le intercettazioni saranno legittime soltanto per mafia e terrorismo, ma chi lo spiega poi ai risparmiatori, ai prigionieri della sanità del Mezzogiorno, alle imprese escluse dal mercato con l'abuso (per fare qualche esempio) che cancellare le intercettazioni per insider trading, corruzione, concussione diventa di fatto depenalizzare quei reati e inaugurare una “giustizia dei forti” e “un diritto del privilegio”?». Suona giusto, ma è un affair interno alla casta. Non mi cambia la vita, né la cambia a milioni di cittadini. Il malaffare c’è e comunque, le intercettazioni non lo eliminano; se c’è qualcuno che fa affermazioni simili mente sapendo di mentire. L’orecchio del “grande fratello” ha altre finalità, diverse dal fare l’interesse collettivo. Ha le finalità di uno stato di polizia così caro a chi si è formato con gli insegnamenti della sinistra culturale e intellettuale della prima repubblica, ed oggi occupa le poltrone dei manipolatori, dei burattinai che reggono i fili del teatrino della politica, dell’economia, della giustizia. Ha finalità di autoconservazione, per etichettarla con una parola sola.
In tutta sincerità, nel 1994, non ho salutato con gioia la discesa in campo del Cavaliere. Mentirei se negassi di aver scritto un libretto dal titolo “Il nome del garofano” dove si saluta con una sorta di litania le dimissioni del primo Berlusconi. Mentirei se negassi di aver salutato con soddisfazione il cambio a Palazzo Chigi nel 2006, contando sulla ventata di “nuovo” che pareva portare il centrosinistra. Ma proprio per aver oggi la pietra di paragone del governo Prodi, del governo della sinistra che ancora mancava, posso permettermi senza pentimenti l’iperbole del dire che è di gran lunga meglio un Berlusconi al governo del Paese, che qualunque altro di quella cricca – destra, centro, sinistra – che oggi si etichetta col termine “casta”. Innanzitutto per il fatto che Berlusconi è ricco di suo, e non ha bisogno di nascondere la mano dietro la schiena. In secondo luogo, proprio per il fatto che può aver tutto comunque, la sola cosa che lo può danneggiare è il perdere la faccia davanti ad una nazione intera. Berlusconi è ormai un “eletto” a passare alla storia, la storia che si ricorda, e vuole essere tramandato ai posteri come un buon padre ed un risanatore di un paese a rotoli sull’orlo della catastrofe. Piaccia o non piaccia ai detrattori, cioè, è “costretto” a fare bene il suo compito. E già questo dovrebbe essere un motivo per rispettare sul tram Italia il cartello “Non disturbare il manovratore” [per il gusto di disturbarlo].
In tutta sincerità provo un senso di disgusto, di nausea quando leggo o vedo e ascolto in Tv le diatribe strumentali dei mille padri Zappata, dei mille che sanno far tacere le donne, star fermi i bambini e correre i vecchi. Che criticano a priori, preventivamente, comunque, senza neppure sforzarsi di leggere i progetti, non ancora scritti: il paradosso dell’opposizione per l’opposizione. Il governo di una nazione non dovrebbe essere un campionato di calcio, gli ambiti politici non dovrebbero essere bar dove chi la spara più grossa contro il vincente, attira l’attenzione. Ma forse un motivo c’è per tutto questo ed è il vero motivo. Semplicemente, per quanto ci sforziamo, non siamo una nazione, siamo galline di Renzo, gente ammassata assieme, che altro non sa fare se non litigare, in balia del dominatore di turno, oggi la casta, ieri Napoleone o gli spagnoli o prima prima ancora qualche barbaro venuto da chissà dove.
Oggi l’Italia ha un’occasione unica e irripetibile per togliersi in qualche modo dall’orlo del baratro sul qual si trova. Intanto togliamoci dall’orlo dell’abisso, discuteremo poi, con tranquillità e per tutto il tempo necessario, del sesso degli angeli.

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