Un appunto veloce su una questione più volte sollevata in post precedenti. Venerdì ho ascoltato attentamente le interlocuzioni di Marco Travaglio con Mieli e Cirino Pomicino ad Annozero. Uno sforzo notevole di sopportazione della sua presuntuosità che traspare da ogni minimo tratto del volto e dal suo sorriso quando assume quell’odioso atteggiamento da “primo della classe” che contraddistingue i suoi interventi. Per capire il meccanismo che sostiene quell’aspetto da “bocca della verità” che il telespettatore distratto è tentato ad attribuire alle sue affermazioni. Dove sta insomma il nocciolo duro della mistificazione che, nel caso di Annozero, Santoro sfrutta per mettere l’ascoltatore sin dall’inizio a suo agio in un’atmosfera anti-berlusconiana sempre, anti-istituzioni spesso.
Travaglio non dice mai “io dico questo”. Travaglio cita, cita sempre, o meglio usa sempre le parole di testi e documenti riconoscibili, o se volete facilmente verificabili, per comporre il suo pensiero. Un modo per dire, ma nel contempo far dire agli altri e farsi forza dell’autorità degli altri, cui spesso e volentieri attribuisce meriti e valori “eroici” nel campo dell’informazione, proprio per rendere incontestabili le proprie contestabilissime parole, come, là dove c’è un minimo di contraddittorio, viene immancabilmente ogni volta dimostrato. Perché Travaglio non sa reggere la dialettica nel confronto fondando tutta la sua forza appunto su “fonti” che generalmente ritiene o fa ritenere intoccabili per la funzione o il carisma riconosciuto dell’autore. Ed è, dunque, naturale che di fronte ad una contestazione spesso si trovi spiazzato.
Una frase solita è “Non lo dico io [Travaglio], sono le sentenze a dirlo”. Caspita, e chi va a contestare una sentenza. E proprio qui sta la furberia. Una sentenza ha valore giudiziale su un fatto singolo, ed è un unicum non stralciabile. Di una sentenza vanno letti tutti gli aspetti e non solo la parte che torna comodo leggere. È come un teorema di matematica: valido e vero se preso intero, un pezzo soltanto dell’enunciato non esprime alcuna verità, anzi il più delle volte esprime proposizioni false. Questo al di là del fatto che la storia anche recente ha mostrato che i giudici non sono campioni di infallibilità e che talvolta a fatti documentali sono state date interpretazioni che hanno fuorviato il giudizio. Ma le sentenze hanno una caratteristica utile per Travaglio: sono atti che non si discutono, appunto. Poco importa se non hanno in sé valenza politica o storica, a questo si rimedia facilmente. Ciò che conta è il punto di partenza: cito una parte comoda d’una sentenza [sentenza che per sua natura è incontestabile], astraendola dal contesto che può anche essere negativo per la mia tesi precostituita – ma non lo dico ovviamente –; e così metto le fondamenta per portare il pubblico a condividere la mia tesi che espongo usando altre citazioni e riferimenti incontestabili o che si ha una sorta di pudore a contestare. Ed il gioco è fatto. Facile, no?
Travaglio non dice mai “io dico questo”. Travaglio cita, cita sempre, o meglio usa sempre le parole di testi e documenti riconoscibili, o se volete facilmente verificabili, per comporre il suo pensiero. Un modo per dire, ma nel contempo far dire agli altri e farsi forza dell’autorità degli altri, cui spesso e volentieri attribuisce meriti e valori “eroici” nel campo dell’informazione, proprio per rendere incontestabili le proprie contestabilissime parole, come, là dove c’è un minimo di contraddittorio, viene immancabilmente ogni volta dimostrato. Perché Travaglio non sa reggere la dialettica nel confronto fondando tutta la sua forza appunto su “fonti” che generalmente ritiene o fa ritenere intoccabili per la funzione o il carisma riconosciuto dell’autore. Ed è, dunque, naturale che di fronte ad una contestazione spesso si trovi spiazzato.
Una frase solita è “Non lo dico io [Travaglio], sono le sentenze a dirlo”. Caspita, e chi va a contestare una sentenza. E proprio qui sta la furberia. Una sentenza ha valore giudiziale su un fatto singolo, ed è un unicum non stralciabile. Di una sentenza vanno letti tutti gli aspetti e non solo la parte che torna comodo leggere. È come un teorema di matematica: valido e vero se preso intero, un pezzo soltanto dell’enunciato non esprime alcuna verità, anzi il più delle volte esprime proposizioni false. Questo al di là del fatto che la storia anche recente ha mostrato che i giudici non sono campioni di infallibilità e che talvolta a fatti documentali sono state date interpretazioni che hanno fuorviato il giudizio. Ma le sentenze hanno una caratteristica utile per Travaglio: sono atti che non si discutono, appunto. Poco importa se non hanno in sé valenza politica o storica, a questo si rimedia facilmente. Ciò che conta è il punto di partenza: cito una parte comoda d’una sentenza [sentenza che per sua natura è incontestabile], astraendola dal contesto che può anche essere negativo per la mia tesi precostituita – ma non lo dico ovviamente –; e così metto le fondamenta per portare il pubblico a condividere la mia tesi che espongo usando altre citazioni e riferimenti incontestabili o che si ha una sorta di pudore a contestare. Ed il gioco è fatto. Facile, no?
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