Ciò che si avverte oggi dai titoli e dagli incipit degli articoli dei giornali è che nessuno se la sente di prevedere quando e a che prezzo si arresterà la corsa senza freni del petrolio. Basti un dato: il mondo consuma oggi 83 degli 86 milioni di barili che è in grado di produrre ogni giorno e la domanda asiatica di greggio è sempre più forte. La bolletta energetica italiana sarà quest'anno di 75 miliardi, cioè 25 in più dell'anno scorso; e l’esborso è mitigato solo dal supereuro che ammortizza i rialzi del costo del barile.
Ma restiamo a noi. Le nostre bollette di luce e gas saliranno quest'anno di 255 euro. Il pieno di una automobile a benzina costa 76 euro contro i 66 di un anno fa, il gasolio 76 euro contro i 59 sempre di un anno fa. Le associazioni dei consumatori stimano un esborso complessivo (riscaldamento ed extra compresi) di circa 1.255 euro a famiglia. Dati allarmanti.
Ieri qualcuno mi ha detto che un politico deve pensare in grande, che non ha senso perdere delle mezz’ore dietro pochi euro, quando i problemi che ti passano sulla testa sono talmente grossi in termini di numeri (e di interessi) che rendono risibile i piccoli sforzi per migliorare o alleggerire le questioni del quotidiano. Certo, difficilmente, nel piccolo, si può operare per modificare la speculazione sull’energia che ciclicamente si ripresenta nel mondo, o per una guerra o per l’ingresso di nuove realtà nel mercato mondiale. Ma nel piccolo si può operare per mitigarne gli effetti. È solo buon senso e volontà finalmente di tagliare il superfluo e assurdità, e perché no anche infamie.
L’esempio più facile sono le accise, costruite sfruttando la sensibilità dei cittadini a fronte di calamità, e poi passato il momento di solidarietà non tolte perché troppo comode per ingrassare classe politica e clientele attraverso gli sprechi del pubblico – che troppo spesso è privato di qualcuno. Accise che oltretutto sono, per il loro meccanismo, anche una tassa sull’aumento del prezzo del petrolio, e, dunque, infami. Come in molti altri ambiti le tasse o l’iva sulle tasse. Ma l’interesse vero della classe politica è quello di tener leggero il peso delle loro scelte sui cittadini? No, non pare, a Roma – come dice la Lega – ma anche nelle amministrazioni locali dove spesso non si governa col principio del buon padre di famiglia. Certo, è immancabile che ci assalga un senso di impotenza di fronte alla casta politica che con la sindacatocrazia – sindacati dei “lavoratori” e dei “padroni” – nel mondo del lavoro si spartisce la torta Italia. Il club del “magna magna”, di cui ogni giorno si hanno dovunque testimonianze.
Non a caso quando qualche iniziativa viene presa nel verso giusto, qualche piccola cosa viene fatta nella via sacrosanta di non far pagare al cittadino scelte o congiunture, c’è sempre l’autorevole “idiota” di turno che si alza a pontificare che la scelta è sbagliata, che non andava fatto, che si poteva fare altro, blablà, blablà, tutto per ritardare, rimandare, per non concludere. Sulla carta stampata in questi giorni si sono letti rimproveri sull’abolizione dell’Ici sulla prima casa: ma come? si abolisce una tassa “federale”? L’Ici è una tassa infame, introdotta pensando di fare cosa gradita a quanti gridavano nelle piazze che la proprietà è un furto, idioti portati con i pullman da multiregionali che vivono ed ingrassano illudendo i poveri cristi. La proprietà degli altri, certo. Perché l’Ici, poiché già si paga l’Irpef sui redditi delle case (esclusa la prima), è una tassa di possesso, di proprietà, una tassa “comunista” che va in molti casi a coprire localmente sprechi, spesso “loschi”, e cattedrali nel deserto o piramidi personali. Facili perché tanto, come sempre, paga Pantalone.
Berlusconi ha fatto una prima cosa giusta, ma incompleta. Con la riforma fiscale federalista il balzello “federale” come tanti altri balzelli locali deve essere assorbito in un’unica tassa sul reddito, altrimenti la riforma è solo il cambio del manovratore d’un carrozzone che viaggia sempre sugli stessi binari. Ma anche una riforma fiscale federalista “light” sarebbe già un primo passo comunque auspicabile: una volta aperta la strada, buon senso e intelligenza politica possono fare il resto. Discorsi dei prossimi mesi, anche perché già avviarsi sul sentierino del federalismo fiscale significa affrontare problemi di non poco conto, che per essere completamente ed “intelligentemente” risolti richiedono una riforma costituzionale ben più pesante di quella che si ventila, proprio per il fatto anomalo tutto italiano che i Comuni dipendono dallo stato centrale e non dalle Regioni.
Segnalo, intanto, tornando al discorso di apertura che due balzelli potrebbero essere immediatamente tolti, alleggerendo così l’oppressione sulle famiglie italiane. Il primo, di cui già si è parlato in campagna elettorale, è la tassa di possesso degli autoveicoli, che per una buona maggioranza è una tassa sul lavoro. Già con questa abolizione le famiglie recupererebbero qualcosa dell’aumento del rincaro dei carburanti. E l’altro è il canone televisivo, la più assurda delle tasse. Assurda perché non esiste un reale servizio come contropartita. Per favore, non ditemi che il “question time” o le trasmissioni parlamentari mandate in ore impossibili o trasmissioni deliranti come Annozero siano servizio pubblico. Il servizio pubblico per cui ci viene “estorto” il canone. Oltretutto, da quando “faccio” il pensionato, ho realizzato che il canone è anche una tassa sulle casalinghe, sui bambini e sui pensionati appunto; coloro insomma che maggiormente usufruiscono del “passatempo” televisione. Abolizione della tassa automobilistica e del canone televisivo, già da soli, compenserebbero le famiglie per il caro-petrolio. Silvio, pensaci.
Ma restiamo a noi. Le nostre bollette di luce e gas saliranno quest'anno di 255 euro. Il pieno di una automobile a benzina costa 76 euro contro i 66 di un anno fa, il gasolio 76 euro contro i 59 sempre di un anno fa. Le associazioni dei consumatori stimano un esborso complessivo (riscaldamento ed extra compresi) di circa 1.255 euro a famiglia. Dati allarmanti.
Ieri qualcuno mi ha detto che un politico deve pensare in grande, che non ha senso perdere delle mezz’ore dietro pochi euro, quando i problemi che ti passano sulla testa sono talmente grossi in termini di numeri (e di interessi) che rendono risibile i piccoli sforzi per migliorare o alleggerire le questioni del quotidiano. Certo, difficilmente, nel piccolo, si può operare per modificare la speculazione sull’energia che ciclicamente si ripresenta nel mondo, o per una guerra o per l’ingresso di nuove realtà nel mercato mondiale. Ma nel piccolo si può operare per mitigarne gli effetti. È solo buon senso e volontà finalmente di tagliare il superfluo e assurdità, e perché no anche infamie.
L’esempio più facile sono le accise, costruite sfruttando la sensibilità dei cittadini a fronte di calamità, e poi passato il momento di solidarietà non tolte perché troppo comode per ingrassare classe politica e clientele attraverso gli sprechi del pubblico – che troppo spesso è privato di qualcuno. Accise che oltretutto sono, per il loro meccanismo, anche una tassa sull’aumento del prezzo del petrolio, e, dunque, infami. Come in molti altri ambiti le tasse o l’iva sulle tasse. Ma l’interesse vero della classe politica è quello di tener leggero il peso delle loro scelte sui cittadini? No, non pare, a Roma – come dice la Lega – ma anche nelle amministrazioni locali dove spesso non si governa col principio del buon padre di famiglia. Certo, è immancabile che ci assalga un senso di impotenza di fronte alla casta politica che con la sindacatocrazia – sindacati dei “lavoratori” e dei “padroni” – nel mondo del lavoro si spartisce la torta Italia. Il club del “magna magna”, di cui ogni giorno si hanno dovunque testimonianze.
Non a caso quando qualche iniziativa viene presa nel verso giusto, qualche piccola cosa viene fatta nella via sacrosanta di non far pagare al cittadino scelte o congiunture, c’è sempre l’autorevole “idiota” di turno che si alza a pontificare che la scelta è sbagliata, che non andava fatto, che si poteva fare altro, blablà, blablà, tutto per ritardare, rimandare, per non concludere. Sulla carta stampata in questi giorni si sono letti rimproveri sull’abolizione dell’Ici sulla prima casa: ma come? si abolisce una tassa “federale”? L’Ici è una tassa infame, introdotta pensando di fare cosa gradita a quanti gridavano nelle piazze che la proprietà è un furto, idioti portati con i pullman da multiregionali che vivono ed ingrassano illudendo i poveri cristi. La proprietà degli altri, certo. Perché l’Ici, poiché già si paga l’Irpef sui redditi delle case (esclusa la prima), è una tassa di possesso, di proprietà, una tassa “comunista” che va in molti casi a coprire localmente sprechi, spesso “loschi”, e cattedrali nel deserto o piramidi personali. Facili perché tanto, come sempre, paga Pantalone.
Berlusconi ha fatto una prima cosa giusta, ma incompleta. Con la riforma fiscale federalista il balzello “federale” come tanti altri balzelli locali deve essere assorbito in un’unica tassa sul reddito, altrimenti la riforma è solo il cambio del manovratore d’un carrozzone che viaggia sempre sugli stessi binari. Ma anche una riforma fiscale federalista “light” sarebbe già un primo passo comunque auspicabile: una volta aperta la strada, buon senso e intelligenza politica possono fare il resto. Discorsi dei prossimi mesi, anche perché già avviarsi sul sentierino del federalismo fiscale significa affrontare problemi di non poco conto, che per essere completamente ed “intelligentemente” risolti richiedono una riforma costituzionale ben più pesante di quella che si ventila, proprio per il fatto anomalo tutto italiano che i Comuni dipendono dallo stato centrale e non dalle Regioni.
Segnalo, intanto, tornando al discorso di apertura che due balzelli potrebbero essere immediatamente tolti, alleggerendo così l’oppressione sulle famiglie italiane. Il primo, di cui già si è parlato in campagna elettorale, è la tassa di possesso degli autoveicoli, che per una buona maggioranza è una tassa sul lavoro. Già con questa abolizione le famiglie recupererebbero qualcosa dell’aumento del rincaro dei carburanti. E l’altro è il canone televisivo, la più assurda delle tasse. Assurda perché non esiste un reale servizio come contropartita. Per favore, non ditemi che il “question time” o le trasmissioni parlamentari mandate in ore impossibili o trasmissioni deliranti come Annozero siano servizio pubblico. Il servizio pubblico per cui ci viene “estorto” il canone. Oltretutto, da quando “faccio” il pensionato, ho realizzato che il canone è anche una tassa sulle casalinghe, sui bambini e sui pensionati appunto; coloro insomma che maggiormente usufruiscono del “passatempo” televisione. Abolizione della tassa automobilistica e del canone televisivo, già da soli, compenserebbero le famiglie per il caro-petrolio. Silvio, pensaci.
1 commento:
La tassa sul possesso degli autoveicoli non solo è ingiusta, perchè non ha nulla a che fre con l'uso del mezzo, ma si presta a veri e propri raggiri. Basti pensare (mi è successo personalmente) ai molti concessionari che non tengono l'usato sul libro di carico e dopo anni vengono richiesti dalla Regione importi considerevoli. Infine, si specula sul mancato pagamento quando l'omissione prescinde dalla volontà dell'ignaro automobilista che ha perso il possesso del mezzo.
Ci sarebbe molto da dire sulla costituzionalità.
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