domenica 20 giugno 2010

Addio compagni

Per molti versi è la notizia politica del giorno. Cinque giovani dirigenti romani e pugliesi del Partito democratico hanno preso carta e penna e scritto al segretario Pier Luigi Bersani perché indichi «una strada nuova». I loro nomi, Luca Candiano, Veronica Chirra, Matteo Cinalli, Sante Calefati e Mariano Ceci. Motore dell'iniziativa una semplice esigenza: «Abbiamo l'età del Pd e vorremmo che anche la nostra tradizione politica fosse quella del Pd». Cioè, basta con quei nostalgici «compagno» e «compagna» ormai d'altri tempi, buoni soltanto per tenere legato a filo doppio lo zoccolo duro della militanza che non rappresenta il futuro del partito, ma ne condiziona le scelte portandolo all'immobilismo: un convitato di pietra al tavolo del panorama politico italiano.
Così i cinque giovani: «Ti scriviamo perché vorremmo renderti cosciente del nostro disagio di fronte a parole e comportamenti che guardano in maniera ingiustificatamente romantica al passato, vogliamo parlarti di come questo nostro disagio, di fronte a una nostalgia che acceca la nostra prospettiva del partito e del paese, si stia trasformando in delusione e di come questa delusione ci stia colpendo ai fianchi».
E ancora: «Le parole compagni o compagne, la festa dell'Unità, sono parole e concetti che noi rispettiamo per la tradizione che hanno avuto ma che non rientrano nel nostro pensare politico e che quindi facciamo fatica ad accettare. Quando ieri al Palalottomatica alcuni relatori hanno iniziato il loro discorso con il trapassato cari compagni e care compagne noi non ci siamo sentiti destinatari del loro messaggio, per noi i compagni sono quelli di scuola e se qualcuno ha da dirci qualcosa preferiamo che ci chiamino col nostro nome: democratici. È così che dobbiamo essere chiamati. È così che bisogna chiamare il popolo del Pd».
E proseguono: «Noi riconosciamo che il Pci ha in qualche modo contribuito alla nascita del Pd. Ma la sua funzione si è esaurita, questo modo di fare e di intendere la dialettica all'interno del Pd deve essere abbandonato, altrimenti si rischia di tenere fuori e lasciare disorientati chi come noi con le tradizioni passate non ha niente in comune, chi pensa al Pd come al proprio e unico partito». E adesso, dichiarano, «è tempo di costruirci una tradizione tutta nostra e chiediamo a te, segretario del nostro partito di indicarci la strada giusta, che non sia una strada già percorsa, ma che sia una strada nuova. Non vogliamo insegnarti il tuo mestiere, e né minacciare di andarcene perché abbiamo creduto nel Pd e vogliamo ancora crederci. Vogliamo soltanto che ci venga data una tradizione nuova, plurale, riformista e democratica. Una tradizione che in quanto nativi del Pd abbiamo il diritto di avere. Una tradizione che in quanto segretario del Pd tu hai il dovere di darci».
C'è, dunque, un'inquietudine che serpeggia all'interno del Pd. E la domanda sorge spontanea: fino a quando la dirigenza, ad ogni livello, continuerà a nascondere ai militanti di base «duri e puri» che sono iscritti oggi a qualcosa di diverso che non li rappresenta più?

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