I tre quesiti referendari proposti dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua per l'abrogazione del decreto Ronchi sulla privatizzazione dell'acqua, hanno raccolto in meno di due mesi un milione di firme. La gestione dell'acqua non può essere regolata dal mercato. È un bene troppo prezioso e necessario perché siano le logiche industriali a regolarne la distribuzione. Il messaggio è chiaro ed è passato visto il successo della raccolta. Centinaia le sigle di movimenti che hanno reso possibile il risultato straordinario, dai cattolici progressisti ai centri sociali, interi pezzi di sindacato, soprattutto Cgil e Cobas insieme alle associazioni di consumatori, tutto il mondo ambientalista e non sono mancati gli stessi lavoratori delle società che gestiscono l'acqua. E poi, come scriveva Andrea Palladino su il manifesto due giorni fa, i cittadini comuni, quell'onda che progressivamente cresce attorno al popolo viola, le piazze per la difesa del diritto all'informazione, pezzi di quell'Italia che vuole capire perché siamo il paese più autoritario, più liberista e meno libero d'Europa.
I partiti della sinistra hanno accolto l'invito del forum a dare una mano senza protagonismi: Federazione della sinistra, Sel, Verdi, Sinistra critica e PCdL. Fanno parte del comitato di sostegno al referendum, dando un sostegno deciso ma autonomo. L'ostacolo è venuto dai partiti parlamentari, anche dell'opposizione: l'Idv prima a chiedere un posto in prima fila nel comitato, dopo a presentare un quesito referendario alternativo, che mantiene il modello privato come una delle possibili scelte di gestione, con una raccolta autonoma di firme. E il Pd che vorrebbe discutere una nuova legge in Parlamento. Il segretario Bersani in aprile in una conferenza stampa si è espresso ufficialmente sull'inefficacia del referendum e seppure con diverse sfumature contro la totale gestione pubblica. Come evidenziava Palladino, «l'impressione è che nell'alta dirigenza conti probabilmente molto il Pd "di governo", quella parte del partito che è storicamente vicina alle gestioni miste pubblico private - vedi il modello Toscana, o il colosso Acea - oggi in forte difficoltà rispetto ad un referendum chiaro e radicale». Secondo Cittadinanzattiva c'è un business di dieci miliardi di euro in dieci anni.
Quello che emerge dall'evento del milione di firme raccolte è ciò che Marco Bersani e Corrado Oddi del Forum indicano come «una nuova narrazione sull'acqua e dei beni comuni, frutto di un decennio di sensibilizzazione e mobilitazione sociale», che dimostra come su questo tema si sia già vinto culturalmente. E a testimoniarlo sono «le scomposte reazioni dei fautori delle privatizzazioni - Governo, confindustria e Federutility in primis - i quali, se solo pochi anni addietro potevano rivendicare apertamente il dogma del "privato è bello", sono oggi costretti a giocare in difesa, a negare di voler privatizzare, a diffondere cortine fumogene sul pericolo referendario», consapevoli di aver perso il consenso.
Naturalmente si è solo al primo passo. A luglio le firme verranno depositate in Cassazione e poi in primavera il voto: «perché dalla vittoria culturale si passi alla vittoria politica, occorrerà trasformare questo milione di firmatari in almeno 25 milioni di votanti».
I tre quesiti si spiegano perché si vogliono eliminare tutte le norme che in questi anni hanno spinto verso la privatizzazione dell’acqua, perché si vuole togliere l’acqua dal mercato e i profitti dall’acqua. Dal punto di vista normativo, il combinato disposto dei tre quesiti, comporterebbe, per l’affidamento del servizio idrico integrato, la possibilità del ricorso al vigente art. 114 del Decreto Legislativo n. 267/2000. L'articolo prevede il ricorso ad enti di diritto pubblico (azienda speciale, azienda speciale consortile, consorzio fra i Comuni), ovvero a forme societarie che qualificherebbero il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente «privo di rilevanza economica», servizio di interesse generale e scevro da profitti nella sua erogazione. Verrebbero di conseguenza poste le premesse migliori per l’approvazione della legge d’iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, corredata da oltre 400.000 firme di cittadini. E si riaprirebbe sui territori la discussione e il confronto sulla rifondazione di un nuovo modello di pubblico, che può definirsi tale solo se costruito sulla democrazia partecipativa, il controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini e delle comunità locali.
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