Il decommissioning, lo smantellamento e la decontaminazione delle centrali nucleari non più operative, rappresenta un business dai costi sconosciuti. Semplicemente perché è un segreto. Ancora oggi seguitiamo a pagare sulle bollette dell'Enel una quota per il vecchio nucleare, le centrali chiuse col pretesto dell'esito del referendum anti-nucleare del 1987. E sì, perché in base ai quesiti referendari non si sarebbe più potuto costruire nuove centrali, ma non vi era obbligo di smantellare quelle allora operative, ma già erano pronti i mega-appalti per il loro decommissioning. E, dunque, parola d'ordine smantellare in fretta.
Come è stato osservato, il fascino del nucleare sta nel fatto che produce mega-appalti prima, durante e dopo la sua esistenza, anche nel caso che non abbia mai prodotto sul serio energia elettrica. Val la pena aggiungere al riguardo un'altra osservazione. Il governo ha affermato che non saranno stanziati fondi pubblici per la costruzione delle centrali. Ma a carico della spesa pubblica sono gli oneri per le infrastrutture di supporto e gli oneri per la sicurezza, e sono queste le spese maggiori. Non la costruzione delle centrali come manufatto. Poco importerebbe, insomma, che in futuro le risorse finanziarie per completare il progetto nucleare possano venire a mancare lasciando «cattedrali» incompiute. Le ditte private avrebbero comunque «fatto cassa» e poi, appunto, ci sarebbe il decommissioning, la necessità di smantellare quanto fino ad allora costruito. Non male come «pensata».
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