Nei 170 gazebo allestiti nei mercati piemontesi, sabato e domenica, sono state raccolte 20 mila firme a sostegno del governatore leghista Roberto Cota, la cui elezione è in pericolo a causa di un ricorso al Tar. E questa sera, secondo le speranze dei leghisti piemontesi, seimila persone a Torino sfileranno in una fiaccolata per dirla chiara: «Non si torna al voto».
Il governo leghista del Piemonte è nella bufera elettorale-giudiziaria che si è sviluppata attorno alla lista «Pensionati per Cota» che con i suoi 28 mila voti ha dato un sostegno fondamentale alla vittoria di Cota alle regionali. Se la lista dovesse essere invalidata, il rischio per i piemontesi è di dover ritornare alle urne. D'obbligo, dunque, la presenza del governatore, che sabato, in visita ai mercati rionali ha detto: «Giovine? [Michele Giovine è il leader della lista sotto inchiesta] Se ha commesso irregolarità va punito, il primo a essere danneggiato sono io, ma non per questo devono pagare i piemontesi». Una sorta di già sentito, con Formigoni in Lombardia e con la Polverini nel Lazio: un richiamo al fatto che il «popolo» paghi per gli errori e le idiozie dei presentatori delle liste elettorali. La verità è che chi paga alla fine è chi è stato alle regole. Perché questo è l'assioma fondante del berlusconismo.
Alla fiaccolata i Radicali rispondono a modo loro, con una assemblea pubblica presso la sede dell'Associazione Adelaide Aglietta con l'obiettivo di «Ripercorrere dieci anni di lotte per l'affermazione della legalità in Consiglio regionale attraverso i ricorsi in Tribunale e la denuncia, avvenuta cinque anni fa, delle illegalità commesse da Giovine».
Ma torniamo a Cota. Venerdì scorso la Padania riportava una sua intervista sul tema, in cui tra l'altro esterna: «Se il Tribunale amministrativo regionale annullasse le elezioni per il ricorso sulle presunte liste irregolari sarebbe come un golpe. Vorrebbe dire rubare il voto ai Piemontesi. Ma scusi...» e spiega: «Le liste le valuta il tribunale prima del voto e se non vanno bene le esclude. E non mi sembra siano state escluse. Anzi».
Come è stato ricordato, la querelle giudiziaria riguarda una lista i cui voti sono stati fondamentali per superare la presidente uscente Bresso, ma per Cota questa è una questione marginale: «Se qualcuno ha qualcosa da ridire fa ricorso subito, prima delle elezioni, come ho fatto io contro alcune liste patacca, altrimenti dopo è troppo comodo. Ora invece ci dicono che una lista, ammessa dal tribunale e poi votata dalla gente, presenterebbe delle irregolarità. E bisogna rifare tutto. Dopo che i Piemontesi si sono espressi a favore del centrodestra». E già! Dunque? Cota prosegue: «E lo ripeto: il ricorso non riguarda il risultato finale del voto, ma presunti cavilli legati all'accettazione di candidature di una delle tante liste di appoggio», e sottolinea: «Il ricorso è inammissibile giuridicamente e politicamente, lo capirebbe anche un bambino».
Bene, aspettiamo che il bambino invocato dal governatore nasca, e intanto vediamo i perché di tanta mobilitazione leghista. Ce lo dice lo stesso Cota nell'intervista: «C'è in atto una forte campagna mediatica per cercare di condizionare le decisioni della magistratura. È questo che preoccupa». E la preoccupazione ha un aspetto preciso: «Da presidente dico che viviamo in un momento economicamente delicato e ci vorrebbe una stabilità delle istituzioni, non certo creare confusione». Ah, il casinismo, malattia infantile dell'anti-leghismo. E perché questo complottismo? Spiega Cota: «Stiamo portando avanti un piano per l'occupazione da 390 milioni di euro. Stiamo lavorando bene e seriamente». Da non credere. «E se sono preoccupato, lo sono soltanto per i Piemontesi a cui qualcuno vuole rubare il voto». Da non credere veramente.
A questo punto il giornalista, Simone Girardin, propone un «non è che si cerca di spezzare le gambe al Federalismo?». Proprio con la «F». Ma sì, è così: «Siamo davanti a una manovra politica contro la Lega, contro il Federalismo. E fatta in maniera subdola, non a viso aperto», e Cota aggiunge a commento un «Sono robe che si vedono solo nelle dittature quando il "padrone" non vince». Da non crederci. E chiude - perché repetita iuvant - «Ma annullare le elezioni significa solo una cosa: rubare il voto ai Piemontesi», e se qualcuno che ancora non lo ha capito, faccia il piacere, lo dica o alzi la mano.
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