giovedì 24 giugno 2010

Pomigliano, the day after

Nel day after del voto di Pomigliano svolgere qualche considerazione, qui e magari in seguito, è cosa utile. Soprattutto evidenziando della vicenda alcuni aspetti taciuti dai media dell'arco parlamentare.
Ricordo l'esito: altissima affluenza ma non è stato un voto bulgaro, oltre un terzo dei lavoratori ha detto no all'intesa. I numeri: votanti 4.642 (95%), favorevoli all'accordo 2.888, contrari 1.673, 20 le schede bianche e 59 le nulle. Insomma, i sì si sono fermati al 62,2%, i no al 37,8%. Per fare un parallelo in termini percentuali, e per meglio far capire i numeri, i no hanno totalizzato molto di più di quello che il Pd ha portato a casa di volta in volta nelle ultime tornate elettorali. Un voto contrario che non può che lasciare un segno profondo e lacerante, tenendo poi conto che il sì era sponsorizzato da tutto l'apparato mediatico (tv e giornali) dell'arco parlamentare e dai minculpop della triplice e di Confindustria. Una risposta che preannuncia segni di una nuova «resistenza». E che Fiat sia andata nelle prime considerazioni del risultato con i piedi di piombo ha la sua valenza.
Ieri la confederazione dei Cobas aveva equiparato il referendum di Pomigliano al voto al tempo del fascismo. «La Fiat ha pagato la giornata a tutti i lavoratori facendoli ritornare dalla cassa integrazione, impedendo ai delegati Fiom e Cobas di entrare nello stabilimento ma lasciando libertà di propaganda ai sindacati di regime», e quindi la denuncia: «Il referendum di Pomigliano è una truffa in aperto contrasto con lo Statuto dei diritti dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), ai seggi si trovano rappresentanti dell'azienda con continue intimidazioni ai danni dei lavoratori». E quindi il commento: «È questa la democrazia della Fiat e dei suoi protettori politici che vanno dal Pdl al Pd!».
Secondo i Cobas il quesito del referendum è privo di ogni fondamento «poiché ai lavoratori viene posta una domanda ambigua, ossia se sono d'accordo o contrari a far venire la Panda nello stabilimento. È evidente che i lavoratori vogliano lavorare, il quesito è stato posto in termini ambigui e contradditori per strappare il voto favorevole occultando la vera natura di questo accordo».
I Cobas, infine, ne sono convinti: «le dichiarazioni di Epifani e Camusso hanno indebolito la posizione della Fiom e del sindacato di base contrario alla intesa di schiavitù». E bollano le dichiarazioni dei massimi dirigenti sindacali nell'ultimo Congresso Cgil come «dichiarazioni irresponsabili e nostalgiche dei tempi della concertazione, subalterne alla Confindustria e ad una politica che dal Pd al Pdl ha sposato le ragioni di Confindustria».
Lo Slai cobas Fiat Alfa romeo e terziarizzate, sempre ieri, annunciava l'esito dicendo che il referendum aveva sconfitto «l'asse Marchionne-Bersani-Berlusconi che di concerto con CGIL-CISL-UIL, cercava di imporre la controriforma eversiva degli art. 40 e 41 della Costituzione - quella "reale e di fatto" perché all'interno dei rapporti di produzione e di quelli sociali». Aggiungendo e sottolineando: «L'ultima volta ci provarono in Italia Valletta e Mussolini».
Nel comunicato si sottolinea che «gli operai dell'Alfasud con lo Slai cobas hanno sconfitto il tentativo di porre in moderna schiavitù i lavoratori dell'industria e del settore pubblico: la sconfitta della Fiat a Pomigliano è la vittoria di tutti i lavoratori delle fabbriche Fiat in Italia e nel mondo perché da oggi siamo tutti più forti».
Per lo Slai cobas «la sconfitta della Fiat è data dal suo silenzio!». E rincara: «Altro che "chiusura della fabbrica e delocalizzazione": Marchionne ha fatto la figura del "quaqquaraqquà" e la Fiat si è dovuta "piegare e arrendere" di fronte alla determinazione dei lavoratori di Pomigliano che, non accettando alcun ricatto, non solo hanno dato a "tutti" una grande lezione di democrazia, ma sono diventati anche la prova visibile della "possibilità" di ricostruzione di un nuovo e "pulito" Movimento Operaio».

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