L'intervista di ieri del ministro Roberto Calderoli pubblicata dal Corriere della Sera è ormai storia. Ma al di là della querelle Brancher «Bossi sì, Bossi no» su cui è stato messo un macigno: «La sera prima del giuramento festeggiamo insieme io, Bossi, Tremonti e Brancher», Calderoli è prodigo di informazioni.
Apprendiamo ad esempio che «la Lega è un partito leninista, come dice Maroni». Tranquilli! «Ma c'è un ampio confronto interno. Tutte le cose importanti non sono mai condivise solo da me e Bossi ma da tante altre persone». Tante persone, non un organismo elettivo, un'assemblea, qualcosa di simile. Non il popolo bue, insomma. La Lega è un partito con un'organizzazione bolscevica, un'avanguardia «necessaria» perché la seccessione è pur sempre una rivoluzione.
Ma cambiando argomento, anzi vocale, «È partita la lotta di successione?» chiede il giornalista. «Chi parla di queste cose è un cretino», Calderoli doc, non c'è dubbio! «Bossi è la Lega e la Lega è Bossi». Bossi Nord, dunque. Ma augurandogli di cuore lunga vita, Bossi trapassato è Lega morta? E l'Italia? Perché Calderoli aggiunge: «E poi il capo ormai è il punto di equilibrio tra maggioranza e opposizione. Quando c'è un problema tanti dicono: andiamo da Bossi che ci pensa lui». Taumaturgico risolutore, indefesso salvatore della patria!
Però, quel «E poi il capo», «capo»? Boss? Strano linguaggio. Ma come diceva il ritornello: ma per fortuna che c'è il Maroni... possiamo dormire sereni.
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