Su L'Unità del 9 agosto Francesco Piccolo scriveva una nota intitolata «Basta che vinca», che detto così ricorda molto quel «basta che respiri» di chi ormai va in bianco da secoli. Scriveva Piccolo: «Il problema, per il Pd, arrivati a questo punto, è come sempre: chi ci può far vincere, con chi possiamo vincere». Già, perché: «Non è stato costruito un progetto per far capire chi rappresenta e cosa vuole il partito, né un cammino di condivisione. Quindi, ci si può alleare con chiunque. Basta che chiunque abbia questo programma: eliminare Berlusconi. Che non è un brutto programma, ma è striminzito». E ancora più avanti nel testo: «Se chiedete a uno qualsiasi del Pd chi deve essere il candidato premier, dice che ci vuole uno che assicuri la vittoria. Caratteristica unica. Cioè, prima si costruisce un leader e un'alleanza che possa far vincere; e poi, se si vince, ci si pone il problema di quale politica mettere in atto». Che tristezza.
E dire che solo tre giorni prima la capogruppo Pd in Senato Anna Finocchiaro, sempre sull'Unità, che pur tuttavia riconosceva la disillusione degli elettori del Pd - «Sento forte il pericolo che anche nel nostro popolo si diffonda lo smarrimento» - anche se aggiungeva un «Vorrei dire con molta chiarezza: non siamo nelle condizioni di nutrire scoramento né smarrimento» perché «siamo a una svolta che porta buone notizie», vestiva i panni della pasionaria e da brava agit-prop di partito declamava: «Un partito è pronto alle elezioni per definizione. Abbiamo un segretario eletto da poco con milioni di voti, 320 fra deputati e senatori, migliaia e migliaia di quadri e amministratori. Un popolo che è pronto a mobilitarsi solo che lo si chiami». La gioiosa macchina da guerra sempre ben oliata e pronta... alla prossima sconfitta. Ma l'enfasi non si ferma qui: «Sul terreno delle alleanze abbiamo una crisi di abbondanza: siamo il secondo partito del paese, il primo di opposizione». Allora si va alla guerra? Ad abbattere il «tiranno» col voto? E no! Però, già c'è un però: «Poi, aggiungo però: vogliamo andare a votare con una legge elettorale che priva i cittadini della possibilità di scegliere gli eletti?». No, no, naturalmente: «Io dico di no. Fare una nuova legge elettorale è una responsabilità da assumersi di fronte al Paese, non una scusa per evitare il voto». Dai, raccontane un'altra che questa non fa ridere.
E la Finocchiaro lo fa davvero, tira fuori la storiella del «governo del Presidente». Chiamato così dalla senatrice perché «la scelta è nelle mani del presidente della Repubblica, sempre che si verifichino alcune condizioni». Che sono: uno Berlusconi deve dimettersi, due che la Lega sostenga il governo del Presidente (già, perché i numeri al Senato non ci sono per un governo di «salute pubblica» da Di Pietro a Fini). Ma perché la Lega dovrebbe farlo? Semplice, per coerenza: «La Lega vuole un sistema dove i cittadini chiedano conto direttamente agli amministratori. Questo deve valere oltre che a livello locale anche sul piano nazionale, se c'è coerenza. Bossi pure farà quello che gli conviene». Di questo ne siamo tutti certi. Ma non saranno certo motivazioni come quella accennata dalla Finocchiaro - «Vuole ottenere il federalismo fiscale, ha sopportato nell'attesa l'oltraggio di sostenere il governo degli affari di quella che chiamava la Roma ladrona. anche i suoi elettori possono perdere la pazienza» - a fargli cambiare strada soprattutto con una prospettiva elettorale favorevolissima.
Ma poi, che governo è un governo del Presidente? Beh, dice la Finocchiaro: «L'incarico lo dà il presidente della Repubblica», inutile dunque arrovellarsi sul nome del premier. Ma udite, udite: «Un governo tecnico ha un mandato circoscritto: non deve governare». Sì, avete letto bene. Non deve governare, «deve fare una cosa», la legge elettorale. Già ma intanto il Paese? Tranquilli governerebbe comunque, tant'è che aggiunge: «Sarebbe difficile anche per me dal punto di vista simbolico e politico accettare un eventuale governo che non segni discontinuità col passato, ma bisognerebbe per una volta non pensare alla convenienze di partito: dovremo pensare a quel che serve per voltare pagina». Insomma, un governo Berlusconi senza Berlusconi che faccia la legge elettorale. L'«immondizia da spazzare via» per la Finocchiaro, dunque, è il solo Berlusconi in persona. Eliminato lui dal governo sparirebbero d'un botto «illegalità, furberie. pratiche illecite come sistema», «un attacco senza precedenti alle forme del vivere democratico». Berlusconi come il diavolo, forse per questo Tartaglia a suo tempo ha usato il simulacro del duomo di Milano nel suo gesto inconsulto.
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