venerdì 13 agosto 2010

Voto e fantasia

Scriveva Massimo Adinolfi per Il Mattino qualche giorno fa: «Poniamo che in autunno il governo cada, e che al voto Berlusconi vada con l'alleato della Lega: niente Fini (e niente Casini). Magari qualche piccola formazione politicamente residua, qualche Storace o qualche Nucara, ma, nella sostanza, Berlusconi e bossi e loro due soltanto. Nel caso vincessero, si saprebbe con grande chiarezza cosa vincerebbe: nulla di neanche lontanamente accostabile a quella che fu la prima Repubblica - e il federalismo e la "questione settentrionale" come discriminante politico-istituzionale e motore del governo». Bene, progetto e leadership ben definite e buona vicinanza con i desiderata dell'elettorato attuale. Scriveva ancora Adinolfi: «Nel caso invece vincesse l'attuale opposizione? Non si va molto oltre la semplice constatazione, se si afferma che non è affatto chiaro chi o cosa in tal caso andrebbe al governo. O forse, per il momento, si può dire soltanto: qualcosa di ancora (confusamente) accostabile alle tradizioni politiche della prima Repubblica». Cioè mancando il baricentro della vecchia Democrazia cristiana semplicemente il caos. Quale sia il possibile scenario vincente è scontato.
C'è molta fuffa nel fronte dell'opposizione. Ci si inventa incredibili fantasie pur di dirottare sulla propria pochezza l'attenzione della gente, quella rara che realmente ancora segue la politica oggi. Del resto, quando si accarezza il nulla, la fantasia aiuta. Così oggi, intervistata da Il Riformista, la giovane Debora Serracchiani una «semplicemente democratica»: «Penso a un governo con un nome dal profilo europeo. Mario Monti è uno di questi. Barroso gli ha dato fiducia nell'ultimo anno dandogli un nuovo incarico. Gode di grande autorevolezza e conosce molto bene l'attuale situazione economica». Anche se poi ridiscesa con i piedi a terra il buonsenso dovuto alla sua giovane età politica le fa dire: «In questa fase credo sia sbagliato cercare un nome invece che cercare un piano strategico. L'obiettivo è certamente quello di mandare a casa Silvio Berlusconi, però non può essere solo quello. E incominciare dai nomi mi sembra l'errore più grave».
Da aggiungere, en passant, soltanto che alcuni punti fermi ormai si stanno delineando. Innanzitutto la conferma della leggenda metropolitana che il voto rappresenterebbe l'addio al federalismo, il motivo per cui la Lega «dovrebbe» sostenere il «governo del Presidente» sognato dal democrat di Bettola. Lo ha spiegato più volte Calderoli: «Essendo una legge delega supera la legislatura e resta aperta anche per il futuro governo. Certo, si perdono i due o tre mesi di campagna elettorale ma poi si ripartirebbe dalla stesso punto». E ancora sulla Padania del 7 agosto: «Entro il 15 settembre voglio portare a casa l'autonomia impositiva e i costi standard. Allora il 90 per cento del Federalismo sarebbe fatto». E poi «il Federalismo oggi non è più una scelta ma un obbligo. Lo sa la gente, la Corte dei Conti, gli enti locali». L'unico modo che resta per arginare una spesa pubblica che continua a crescere e che nessuna manovra riesce ad arginare.
Un secondo è che con tutta probabilità in settembre l'allarme fine legislatura terminerà, e non solo perché in questo agosto Berlusconi si dedichi alla pesca «miracolosa», pur continuando ad affermare: «Se sarà necessario, dobbiamo essere pronti per le urne» e attrezzati per «rivincere le elezioni». Insomma, non c'è poi tutta questa necessità di «ghigliottinare» Fini con «armi segrete» tipo «Se dalle indagini in corso emergesse un qualche coinvolgimento di persone riconducibili all'entourage del presidente della Camera, ci troveremmo di fronte a evidenti agevolazioni di interessi privati» (Mario Mantovani). Basta, come Ugo Magri ricordava su La Stampa, ricorrere al «piano B», cioè, dare la caccia a qualche finiano in crisi, o ramazzare cani sciolti nell'Udc e perfino nell'Idv, dove pare se ne contino almeno una manciata. O extrema ratio accontentarsi del «piano C», cioè la stipula a settembre con i finiani di un accordo «onesto» sui quattro punti del programma. Due giorni fa Libero assicurava: «Dieci (uno in più, uno in meno) stanno già ribussando alla porta del Pdl. Altri arriveranno». E informava che lo stesso premier, lui in persona, aveva rivelato: «Ricevo telefonate» da gente che si dice «pentita» di aver seguito Fini e che adesso vorrebbe tornare sui propri passi. Aggiungendo come sottolineatura: «E anche la stampa che ha sempre sostenuto il presidente della Camera adesso lo sta abbandonando». E se non basta il quotidiano di Belpietro ci ha informato che si stanno mettendo in atto iniziative per scavalcare i finiani a destra, cioè per dare a vedere agli elettori che i veri camerati stanno col Cavaliere nel Pdl. Per stroncare l'idea che Futuro e Libertà sia la fenice di An che dalle ceneri riprende il volo.

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