sabato 21 agosto 2010

Il terzo incomodo

Il Fatto Quotidiano ha pubblicato mercoledì 18 agosto un'intervista al senatore Ignazio Marino, che è stato il terzo incomodo nelle primarie per la designazione del segretario del Partito democratico. Già il titolo sintetizza in maniera forte la portata delle affermazioni contenute nel testo dell'articolo: «Basta tessere e segrete stanze: così è un partito da buttare». E nella presentazione, la giornalista Wanda Marra parte con questo virgolettato di Marino: «Il Partito Democratico o diventa un partito contendibile o non è un Partito democratico. E a quel punto è meglio che si sciolga». Estremamente eloquente, posta così, la questione.
Le domande della giornalista partono focalizzando l'attenzione sulle primarie, dibattito all'ordine del giorno nel centrosinistra dopo che la possibilità di un voto anticipato si è resa concreta soprattutto per insistenza della Lega Nord, ed una serie di autocandidature, alternative a quella di bandiera dell'attuale segretario del Pd Bersani: Vendola, De Magistris, Chiamparino. Dice Marino: «Dobbiamo insistere ancora di più sulle primarie, in un momento in cui, con questo sistema elettorale, di fatto i parlamentari sono nominati da 4 o 5 capi-partito. È una grave ferita della nostra democrazia. E per quel che riguarda i candidati sindaci delle grandi città, le consultazioni sono molto importanti, perché fanno sì che chi scende in campo prenda impegni e responsabilità con le persone che lo devono eleggere». La giornalista, però gli fa notare che non tutto il partito è d'accordo sullo strumento: «Non si tratta certo dei nostri elettori... Serve la possibilità di scegliere una classe dirigente nuova, con energie fresche», ribatte Marino. Insomma il nuovo di Bersani è il vecchio di sempre. Ma la sua interlocutrice gli osserva che le primarie come sono state fatte fino ad ora, non hanno selezionato nessun «nuovo talento», ma piuttosto sono servite a legittimare le scelte dei vertici. E, quindi, dove sta il senso delle primarie? Marino risponde: «Quelle sono proprio le primarie che non vorrei [la giornalista aveva citato quelle vinte da Prodi e quelle vinte da Veltroni]. Per esempio, io mi sono presentato candidato segretario, senza un'organizzazione, senza avere dalla mia le tessere del partito, e sono arrivato quasi al 15 per cento. Bisogna andare in quella direzione. Quanto potrà resistere la classe antica, chiusa nelle stanze del potere? Dobbiamo lavorare tutti insieme perché prenda il sopravvento la possibilità di una competizione davvero alla pari: ci sono pochi dirigenti del secolo passato che riescono a influenzare le linee del Pd. Ma le persone seguiranno chi indica percorsi trasparenti di democrazia e merito». Effetto collaterale delle parole di Marino è che ne esce in fin dei conti una radiografia del Partito democratico che lo mostra non molto dissimile ai Ds e quindi al vecchio partito comunista quanto a chiusura e gestione interna del potere. Non il sogno di modernità tentato da Veltroni, abortito con l'inevitabile sconfitta subito dopo le elezioni. E quanto alle ultime primarie, quelle per la segreteria, la giornalista del Fatto evidenzia che anche esse non sono state niente altro che un modo per contarsi nel partito, tra chi sosteneva Bersani e chi Franceschini. «I cambiamenti non si fanno in una notte. Abbiamo avviato un percorso». Vabbè, e Marino cita e si dilunga sull'esempio americano «dove spesso è difficile immaginare chi saranno i candidati leader». Cose d'un altro mondo.
E poiché si sta sfociando nell'utopia, la giornalista cerca di rimettere il discorso con i piedi per terra: «A cosa si riferiva parlando di "pochi dirigenti del secolo passato" che influenzano il partito?». E Marino spiega: «Alla mancata trasparenza e giovinezza, che non è una questione di età anagrafica, ma di spirito, che si è vista in molte circostanze. Per esempio, si è notato nella segreteria Bersani o nella gestione di Dario Franceschini, in occasione della scelta dei candidati al Csm. Fino alla mattina della votazione i parlamentari non conoscevano chi avrebbero scritto sulla scheda». Nulla di nuovo, insomma, sotto il sole. Inutile dilungarsi oltre.
Da annotare soltanto ancora la risposta all'ultima domanda, il possibile ritorno di Prodi voluto nel Pd da molti sostenitori delle primarie. Questa la risposta: «Ho molto rispetto per Prodi. Ma credo che possiamo anche immaginare una figura che non sia stata capo del Governo o Ministro nel secolo passato». Un esercizio intellettuale decisamente arduo.

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