Scriveva La Padania alcuni giorni fa presentando una intervista al ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, intitolata «Pagare meno ma pagare tutti»: «Meno tasse per i cittadini e più risorse per le casse degli Enti locali. Sono questi lo spirito e il fine ultimo del Federalismo fiscale. Ovvero avvicinare l'amministrazione pubblica al territorio e al cittadino, garantendo la responsabilità di chi è incaricato di amministrare e la trasparenza e il conseguente potere di controllo da parte del cittadino, ottimizzando le risorse, diminuendo gli sprechi e punendo i furbi, compresi gli evasori fiscali. Un sistema che andrà completamente a regime quando saranno stati emanati e attuati tutti i decreti attuativi della riforma federalista, ma che già entro breve produrrà i primi effetti, attraverso un anticipo di federalismo. E conseguentemente un anticipo del risultato finale, ovvero meno tasse per i cittadini e più risorse per le Amministrazioni locali». Ottimo a parole, «sulla carta» per così dire.
Nel senso che il controllo pubblico, dei cittadini, sull'operato dell'amministrazione può funzionare in comuni al di sopra di un certo numero di abitanti. Ben più difficile nei piccoli e piccolissimi comuni dove le sorti del voto sono decise trasversalmente da un numero ristretto di famiglie, di clan se volete, e da interessi particolari di qualche personaggio, qualche piccola lobby, influente nell'economia locale. Luoghi siffatti esistono in tutta l'Italia, ad ogni latitudine, e per rendersene conto basta confrontare la difformità di voto, spesso contraddittoria, tra i risultati delle politiche e delle amministrative e tra elezione amministrativa e elezione amministrativa, come ad esempio regionali o provinciali e comunali. Si arriva a situazioni in cui, per dire, voti di Forza Nuova e della Lega vanno localmente al Pd che ringrazia, o a situazioni analoghe altrove sul fronte opposto. E non è quasi mai una questione di buona amministrazione come si riscontra facilmente seguendo la cronaca locale.
Il problema ha un suo peso sugli amministrati di un piccolo comune, dove parte della popolazione gode direttamente o indirettamente di benefit derivanti dalle decisioni amministrative a scapito spesso dell'altra. Se si decidesse ad esempio di aumentare le tasse a fronte di servizi di pessima qualità, i clan, le famiglie che «gestiscono» il voto locale insorgerebbero? Come vuole la teoria? Ho seri dubbi, in quanto i piccoli privilegi che rischierebbero altrimenti di perdere, compensano il disagio di un esborso aggiuntivo. È sicuramente un aspetto «pessimista» della situazione che andrebbe soppesato. La soluzione potrebbe essere quella di imporre contemporaneamente con l'entrata in vigore del «federalismo municipale» la unificazione dei comuni inferiori ai quindici-ventimila abitanti a formare entità amministrative almeno di quelle dimensioni minime.
Si spezzerebbe così quella sorta di piccole autocrazie locali, si attuerebbero sicuramente dei risparmi e riduzioni di spesa e nel contempo si migliorerebbe la qualità degli amministratori della cosa pubblica inducendo una sorta di competizione tra chi finora, grazie ai confini determinati dai campanili, si è spartito il «potere» locale.
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