Facciamo qualche passo indietro, fino all'altro ieri, un secolo fa. Il Fatto Quotidiano pubblicava un'intervista a Giuseppe Fioroni. Per capirci, Peppe Fioroni, ex ministro dell'Istruzione di Prodi, era il personaggio che Il Giornale esattamente un mese fa dava come lo strumento nelle mani di Casini per il suo «piano» di trasmigrazione: «la scissione del Pd in dote a Berlusconi». Una favola di Laura Cesaretti, «A Casini sorride assai l'idea di portare in dote ad un futuro, ipotetico governo di "larghe intese" la scissione dei cattolici del Pd»; da nonno Feltri raccontata a fini preventivi, «anche se in casa Udc c'è un crescente scetticismo sulla possibilità che si concretizzi: "Il Cavaliere vorrebbe, ma lo preoccupa troppo l'idea di aprire una crisi e di vedersi poi soffiare il pallino da un asse Napolitano-Fini-Casini". In fondo al cuore, pensano in casa centrista, Berlusconi continua a preferire l'idea di elezioni anticipate, proprio quelle che l'Udc vuole evitare. E il Pd vede come la peste bubbonica, come è facile immaginare: a parte i voti, gli mancano anche un'alleanza con l'Udc e un candidato premier». Questo un mese fa, dicevo, perché Il Giornale chiedeva ai suoi lettori di «prendere coscienza» che «nel principale partito di opposizione la minoranza ex democristiana è in crisi profonda di identità, e si chiede "che ci stiamo a fare in un partito destinato all'opposizione e dominato dai Ds", come sintetizza un post Ppi oggi anima in pena. Soprattutto, molti tra i parlamentari si interrogano su un tema fondamentale: chi li rieleggerà, la prossima volta? Ecco quindi che il movimentismo casiniano finisce per esercitare un fascino difficilmente resistibile».
Tornando al Fatto, il quotidiano un mese dopo evidenzia il perdurare d'un Pd diviso su strategie, alleanze e possibili capi. Punto di partenza dell'intervista a Fioroni sono le primarie. La bacchetta magica con cui il partito di Bersani da Prodi in avanti ha nascosto la propria insostenibilità di «partito degli italiani» ed il superamento mai pervenuto dell'egemonia diesse in una nuova forma partito capace di coagulare intorno a sé consensi più ampi. Troppi sono gli interessi per mollare l'osso al primo venuto. Per Fioroni le primarie «sono uno strumento importante posto a fondamento del Pd, ma non possono essere una scorciatoia e una semplificazione della complessità che viene richiesta per l'individuazione del candidato premier». Per Fioroni «prima bisogna definire il progetto, poi scegliere gli alleati e poi vedere se gli alleati sono concordi nel procedere alle primarie». Cosa che non si fa, che non avviene. «Quando si parla di primarie, spunta un nugolo di candidati e viene il sospetto che queste consultazioni servano più a mettersi in evidenza che a far vincere la coalizione che deve governare il Paese». Insomma, tanti amministratori di condominio che «vogliono» governare a Palazzo: «Molti puntano sul colpo ad effetto. sembra che a scendere in campo sia chi ha interessi modesti, come prendere mezzo punto in più o comandare solo nel partito». Cioè, basta pensare ad un Penati candidato governatore della Lombardia, che nulla ha fatto per ottenere un risultato superiore ad una vicepresidenza nel parlamentino regionale. E dire che adesso fa anche la spalla del segretario di Bettola. Proprio una copia di comici come Gianni e Pinotto, Stanlio e Olio. Quando parla in tv ci si aspetta sembra che pronunci la fatidica frase «vieni avanti cretino».
Fioroni è netto al riguardo: «Cercare la figura più adatta a rappresentarci. Più che trovare un capo mandriano che amministra, dovremmo trovare qualcuno che apra i recinti e porti nuovi consensi». E ancora: «Dovremmo cercare di individuare qualcuno che riesca a prendere i consensi dell'Italia profonda, che tenga conto del blocco sociale dei sindacati, della piccola e media impresa, delle associazioni dei commercianti, degli artigiani, della cooperativa e dei coltivatori diretti». Ma esiste una figura del genere nell'orbita del centrosinistra, chiede il giornalista: «Ma pensa che se ci fosse qualcuno rispetto a queste candidature alle primarie e all'impressione di avere davanti una coalizione che guarda al proprio ombelico uscirebbe allo scoperto?». Già.
E poi ci si meraviglia se qualche giorno fa Rosy Bindi si lamentava sottovoce che «l'iniziativa è in mano ad altri». Come potrebbe essere diversamente se il principale partito di opposizione è inesistente sul piano dell'opposizione e autorefenziale sul piano dell'iniziativa politica. E Bersani - sempre qualche giorno fa - dichiarando improbabile un ricompattamento a settembre del centrodestra, diceva: «La realtà è che Fini e Casini, collocati a lungo nel centrodestra, hanno rotto con Berlusconi e hanno aperto così una nuova fase politica», aggiungendo che il Pd «non deve avere paura della nuova stagione ma giocare le sue carte». C'è da chiedersi realmente se di carte il Pd ne abbia in mano. È ormai ovvio che un governo di transizione, il Frankenstein di Calderoli, non sia possibile. «Al Senato non sono possibili alternative. Lega e Pdl, anche senza i finiani, hanno la maggioranza», sottolineava il leghista Bricolo qualche giorno fa, come del resto tanti altri. «Lo ripeto, se alla Camera mancassero i voti a questa maggioranza, la strada maestra è il voto». E, dunque, o si va avanti così magari fino al 2013 o lo scenario alternativo sono le elezioni anticipate. Per il Pd il naufragio definitivo.
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