domenica 8 agosto 2010

L'inarrestabile

Ritorno sulla intervista di Luca Zaia di ieri pubblicata da La Stampa. Dice Zaia che la vicenda Caliendo è stata solo un pretesto favorito dalle circostanze per mettere in piedi in buona sostanza una conta per un possibile ribaltone. Insomma, qualcosa della serie «frustrati di tutto il mondo unitevi». Per Zaia «il dato politico della prova muscolare dimostra, non solo che il governo ha ancora i numeri per andare avanti, ma che ha pure la boccia in mano per decidere se andare avanti così fino al 2013 o arrivare allo strappo e tornare alle urne». Non c'è sconcerto nella Lega: «Qualunque sia la valutazione, dovrà essere presa per il bene del Paese, e se questa contempla anche il voto, va bene. La soluzione peggiore è restare bloccati nella palude». Il vecchio tormentone del guado non è cosa da Lega: «Bossi guarda al futuro e ritiene che la Lega non possa essere utilizzata solo per i voti al Nord». Messaggio chiaro. Chi ha orecchie per intenderlo, lo intenda una volta per tutte. «Il federalismo è un processo irreversibile», dice Zaia con forza. Ed interessa primariamente anche il Sud. Ed in effetti di segnali ormai ce ne sono tanti, seppure negletti dalla stampa e dai media in genere, quando non occultati. Basti il solo esempio del processo di rivalutazione storica del brigantaggio. Il pensiero di Zaia è terra terra: «Le riforme coinvolgono tutto il popolo, anche il mezzogiorno. Verrà il tempo, che a chiederlo saranno i cittadini del sud, perché quando le uscite sono maggiori delle entrate bisogna cambiare registro». Sarà, cioè, la questione economica sempre più insostenibile a spezzare gli attuali potentati politici che fanno del mezzogiorno la parte più arretrata del Paese.
Ma c'è un dato che Zaia evidenza e che riguarda la maggior forza parlamentare di opposizione: «Con il Pd non si è nelle condizioni di fare nessun accordo». E aggiunge: «Mi spiace che questo partito non sia in grado di tenere una opposizione costruttiva che gioverebbe anche alla maggioranza». Il problema è che il Pd conta, se conta, perché ha una base staliniana, cieca e sorda ad ogni evidenza d'una dirigenza dall'occhio attento solo alla propria bottega. Che non ha insomma nulla da mettere sul piatto della bilancia, non un progetto, non un programma, non una leadership attorno alla quale coagulare consensi al di fuori dello zoccolo duro dei militanti delle feste dell'Unità e delle loro famiglie. E non avendo nulla in mano, usa la mano libera per arraffare con mille giochini quel potere che la gente gli ha negato, gli nega e gli negherà ancora. Il potere necessario per fermare quel processo di cambiamento avviato, che ormai è inarrestabile. E che non comprendendolo per dna politico porterà il Pd inevitabilmente all'estinzione nel corso di una generazione, il tempo perché la vecchia militanza diesse definitivamente venga portata da rosse valchirie nel valalla del sogno comunista.

Nessun commento: