Forse i giudizi sul Pd espressi nei due precedenti articoli saranno sembrati eccessivi. Ma la critica più pesante arriva dall'interno del partito, come testimonia su Europa un articolo di Gianluca Susta, pubblicato venerdì in prima pagina. Scrive Susta: «Chiamata alle armi per che cosa? Per vincere le elezioni, mi si dirà. Ma vincere per fare che? E guidati da chi? Da Pierluigi Bersani, da Nichi Vendola o da Emma Bonino? Ma dobbiamo vincere le regionali in Emilia, in Puglia (con l'Udc che sta autonoma è anche abbastanza facile...) o le politiche in Italia? Dobbiamo parlare al paese o alla solita minoranza militante e urlante? Mi dispiace doverlo dire con crudezza e durezza: così non andiamo da nessuna parte. Dal congresso a oggi non una scelta chiara, non un programma». Che si vuole di più? Come può sinceramente poi proporsi Bersani come alternativa di «salute nazionale»? Che Berlusconi continui pur con un governo di «minoranza» sul programma votato dagli elettori e sottoscritto anche da Fini e soci fino al 2013, piuttosto che un salto nel buio di un improponibile governo «istituzionale» destinato già a nascere dalle premesse paralizzato, diversamente disabile, peggio di quello buonanima di Prodi. Oppure si vada al voto subito.
Scrive ancora Susta: «Che si parli di Pomigliano, di legge elettorale, di collocazione europea, di servizi pubblici e di referendum sull'acqua, di giustizia, di risanamento e di sviluppo, sentiamo solo risposte balbettate che, ormai, hanno portato il paese a concludere che il Pd è lì, il maggior partito in un "recinto" del 30/35 per cento, quello proprio della sinistra italiana da quasi vent'anni, dalla "gioiosa macchina da guerra in poi"». Si balbetta e quando va male si rincorrono col fiatone i movimenti. Che politica è mai questa, è la domanda implicita: «Non è mia intenzione combattere la battaglia decisiva innalzando il popolo viola o la rete dei movimenti o l'icona di Carlo Giuliani o il giustizialismo come stendardi dell'ennesima guerra di religione, mentre i lavoratori in cassa integrazione, gli imprenditori che hanno rivoltato come un calzino le loro aziende per adeguarle alle nuove sfide globali, i giovani che hanno aperto "bottega" con una precaria partita iva, gli studenti delle scuole e delle università serie imprecano contro quelle che regalano i "100" alla maturità o che sono esamifici, in silenzio, senza mobilitazioni permanenti, senza chiamate alle armi dal sapore retorico, si fanno "un mazzo così" per andare avanti! Il Pd era nato per dare una speranza a questi, non per confondere le battute con la politica, per incoronare controfigure di Obama o affidare alla migliore espressione del giacobinismo radicale di casa nostra il futuro del paese». Colpito e affondato per dirla col gergo d'un noto passatempo scolastico. Già, e dire che per il colmo dell'ironia il Pd si ritrova un segretario che fa solo battute, manco fosse un comico a Zelig. «No. Non è questa l'alternativa a questa destra penosa e pericolosa e al suo "padrone"», trancia Susta e passa alla critica di un altro caposaldo della «strategia» democrat.
«Non si vince al centro, ma chiamando alle armi il nostro elettorato. Sarà! Ma quale elettorato? Quello che dalle mie parti seguiva quelli come me contro la destra e contro la Lega: quello che ancora fino al 2004/2005 ci faceva vincere province e città, non c'è quasi più! Quell'elettorato, moderato e riformista insieme, "di centro che guarda a sinistra" è con noi in minima parte! E se verrà definitivamente cancellato il "partito a vocazione maggioritaria" in cui uno come me ha creduto, il consenso di quell'elettorato verrà del tutto meno e il Pd sarà... quello che è, il "capofila" - appunto - del 30/35 per cento dell'elettorato italiano o poco più». E più avanti aggiunge: «Se lo schema è quello della "sinistra" che si allea col "centro riformista" è di tutta evidenza quale diventa lo spazio politico di riferimento per quelli come me. Milioni di cittadini l'hanno già capito e ce l'hanno fatto capire nel segreto dell'urna, ma questo pare che al vertice del Pd non interessi». L'alternativa c'è, dice Susta: «Il problema non sta (solo) nel "chiamare alle armi" il proprio elettorato, ma nel proporre al paese reale una valida alternativa di governo, che è fatta di contenuti, di proposte, di visioni. Ed è anche fatta di simboli e se i simboli sono il "popolo viola", Carlo Giuliani, le "feste dell'Unità", i corsi di formazione ribattezzati "Frattocchie 2" e potrei continuare, non sono i simboli di una larga fetta dell'elettorato italiano che non sta con la destra e non si riconosce in questa sinistra. Contenuti, leader e simboli! Sono i tre elementi essenziali di un partito e su questo si deve fondare il senso di appartenenza». E sottolinea: «Questo paese ha bisogno di legalità, moderazione, austerità, senso del dovere, pacatezza, pacificazione, sicurezza; deve incoraggiare gli investimenti produttivi per allargare la base occupazionale, colpire le grandi rendite parassitarie, creare vere condizioni di eguaglianza, tutelare il lavoro anche dalla demagogia di alcuni pessimi presunti professionisti di questa pratica. Tutto ciò solo in parte coincide con chi esaspera i conflitti, "tifa" per gli uni contro gli altri, divide il paese in buoni e cattivi teorizzando la superiorità "morale" della sinistra, giudica ideologicamente l'azione della magistratura, contrappone "padroni" e "sindacati" come se fossimo nell'Italia degli anni '50». E la chiusa del ragionamento non può che essere questa: «Non era questo il Pd che volevamo e non è questo il Pd che può vincere. Se non risponde a questi bisogni il Pd non riuscirà mai a ottenere la "fiducia" della maggioranza degli Italiani». Amen.
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