giovedì 19 agosto 2010

Un grande vecchio

Forse il miglior modo per rendere a Cossiga la giusta memoria, più che con i tanti coccodrilli che riempiono le pagine dei giornali e le molte lacrime di coccodrillo che sono scorse a fiumi, è quello di ricordarlo citando brani tratti dall'intervista pubblicata da Il Mattino all'uomo che di cui il presidente emerito fu un «rude avversario».
Scriveva Teresa Bartoli il 18 agosto: «Achille Occhetto non nasconde il suo stupore per il coro di elogi di queste ore: "Pur nel cordoglio sentito, farei un torto a lui, rude e schietto, se non fossi sincero nel ricordarlo come un personaggio dalle molte ombre"». Occhetto, che fu l'ultimo segretario del Pci, guidò il Pds nel primo ed unico tentativo di messa in stato d'accusa di un presidente della Repubblica. La richiesta di impeachment fu archiviata per le dimissioni di Cossiga, anticipate di qualche settimana sulla scadenza naturale del settennato.
Dice nell'intervista Occhetto: «Per me in lui prevalgono le ombre. In un certo senso, è stato un personaggio inquietante: aveva un'intelligenza acuta, che gli permetteva di esprimere idee che sembravano muoversi sul terreno della razionalità pura. Ma, allo stesso tempo, faceva scelte che le contraddicevano in maniera clamorosa. Indubbiamente fu tra i pochissimi nella Dc dell'89 a capire che, con la caduta del muro di Berlino, cambiava il mondo. Per questo apprezzò la svolta della Bolognina e sferzò lo scudo crociato a cambiare, a rendersi conto che il sistema politico stava cambiando e non ci sarebbe stato più per esso il ruolo centrale della prima Repubblica. Ma, fatta quella analisi, nei fatti si adoperò per inciuci e "mastellate", lavorando anche nell'ombra per far saltare il sistema bipolare e tornare a quanto di più simile al vecchio sistema politico fosse possibile».
Quanto al suo periodo di presidente della Repubblica, Occhetto così lo ricorda: «Picconò il palazzo, ha avuto una funzione puramente demolitoria. Ed ha svolto il suo settennato aprendo di fatto la strada ad una deriva presidenzialista. Ma coltivando, in modo contraddittorio, anche il sogno di un ritorno al vecchio sistema. Insomma ha unito il peggio del presidenzialismo con la nostalgia per la prima Repubblica. E, altra ombra indelebile, ha operato perché nascesse in Italia un governo per la guerra nel Kosovo». Il governo D'Alema. Afferma Occhetto: «Cossiga ha ammesso di averlo appoggiato perché in grado, più di un cattolico come Prodi, di tener buona la sinistra e garantire l'obiettivo amerikano, col k, della guerra. Finita la funzione, ha lasciato andare allo sbaraglio quel governo».
Cossiga ha portato con sé molti misteri. Di questo avviso è anche Occhetto: «Sicuramente non ha detto tutto quel che sapeva di Gladio, del caso Moro, sui rapporti con gli Usa e la strategia della tensione». Un grande vecchio della politica italiana, dunque, è morto, uno che se avesse voluto, poteva mettere una parola definitiva su molte oscure vicende della Repubblica italiana. Teatrale fino alla fine, con quelle quattro lettere inviate alle massime autorità dello Stato.

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