Facciamo un passo indietro a due settimane fa. In un articolo pubblicato su Europa, dal titolo significativo «Proporzionale morte del Pd», Stefano Ceccanti, che aveva iniziato il suo pezzo con un «Il bipolarismo è in crisi come il capitalismo, del secondo però diciamo spesso che ha i giorni contati, anche perché chi ha provato a uscirne non ha prodotto di meglio. Vale anche per il bipolarsmo», scriveva ad un certo punto: «Fa quindi bene il segretario Bersani a ricordare che il bipolarismo appare ben radicato tra i cittadini»; e, contando su tale autorevolezza, per dire alla fine che la soluzione migliore della crisi politica era «tornare presto a una migliore fisiologia bipolare con una legge elettorale diversa, meglio se a doppio turno di collegio, non con la proporzionale pura che miri a privare gli elettori della scelta diretta del governo». Siamo nel centrosinistra ed il concetto di collegialità, seppur di derivazione del centralismo democratico, c'è ancora; se l'articolista fosse stato di centrodestra, avrebbe concluso con «scelta diretta del premier».
L'obiezione evidente è se sia poi proprio vero che il bipolarismo sia radicato come l'edera, e Ceccanti l'avverte tant'è che prosegue più avanti così: «La domanda da farsi è la seguente: al di là della questione se i cittadini siano o no attaccati al bipolarismo (ma lo scarso successo delle forze che l'hanno contestato dovrebbe dirci qualcosa) una legge che cercasse di smantellarlo cosa produrrebbe?». Ecco il vero problema. Ma prima di vedere il perché mi permetto una chiosa su la considerazione di Ceccanti messa tra parentesi. Si può assumere come postulato che nessuna forza politica intenda fare harakiri, e dunque sostenga quanto a modalità elettorale la forma migliore che può garantire la sua sopravvivenza. Quindi la scelta del modello proporzionale o del maggioritario come propria rivendicazione dipende dalla forza elettorale, dai voti che può prendere. Il calcolo bipolare di Veltroni non era sbagliato e l'uso che ha fatto della porcata calderoliana per togliersi dai piedi la «litigiosa» sinistra era ben meditato. Gli è andata male perché dall'altra parte non c'era la stessa esigenza, anzi c'era la volontà di vincere facile come dice uno spot televisivo. E, dunque, il predellino era quello di un autobus, seppure travestito da automobile. Il prezzo sono gli screzi di adesso, sicuramente messi in conto già da allora, tant'è che di Fini si è fatto un presidente della Camera e non un ministro, cercando così di marginarlo con «reciproca» soddisfazione. Una legge elettorale che mantenga in vita il bipolarismo è d'interesse solo per le due forze che parafrasando Grillo possiamo chiamare Pd-l e Pd+l. La questione è che fino a che Berlusconi rimane in politica quella L (Lega) è determinante nel risultato d'una votazione. Le crociate antiberlusconiane significano questo: eliminare l'anello (Berlusconi) che tiene saldamente uniti Pdl e Lega.
E Ceccanti, per ritornare all'articolo, ben lo sa tanto è che scrive: «Se ora tornassimo indietro dalle regole bipolari anche il Pd sarebbe a rischio: la proporzionale pura evoca partiti monoculturali, che usano le elezioni per confermare le identità e che sono dopo si pongono il problema del governo». Cioè un possibile smembramento e dunque la fine del soggetto politico Partito democratico, come ipotizza lo stesso Ceccanti: «In un simile schema il Pd sarebbe portato a rifluire in parte verso l'opa di Vendola e in parte verso l'opa di Casini, quello che sta accadendo perché le regole appaiono già in discussione». Dunque, boia chi molla sul bipolarismo, soprattutto dice Ceccanti, «nella fase che vedrà Berlusconi uscire di scena». Più che un albero dalle profonde radici tra i cittadini, il bipolarismo sembra piuttosto una sorta di irrinunciabile arca di Noè capace di trasportare in balia delle onde gli ex pci convertiti alla democrazia e la sinistra democristiana verso un orizzonte che forse, per la legge dei grandi numeri, porterà ad un approdo governativo, prima o poi.
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