lunedì 16 agosto 2010

La madonna pellegrina

È difficile capire a cosa possano giovare i toni della «campagna» politica che il centrosinistra, l'area d'interessi di cui il Pd è la struttura rappresentativa, sta conducendo praticamente dal minuto successivo alla presa di coscienza della sconfitta di Veltroni, di aver perso le elezioni. Sembra più un «muoia Sansone con tutti i filistei» che la costruzione di una alternativa, fatta di progetti, di una ricerca concreta di soluzioni condivisibili ai problemi del paese. Sono agghiaccianti frasi come questa di Fassino a L'Espresso: «Siccome il nostro popolo non ne può più di vedere Berlusconi a Palazzo Chigi, chiunque appaia come in grado di mandarlo a casa, penso alla candidatura di Nichi Vendola, viene abbracciato come la Madonna Pellegrina». Stato d'animo che la rivista efficacemente sintetizza nel titolo «Purché vada via». Qualunque cosa, ahinoi, il Pd è ben ridotto male. O quest'altra di Filippo Penati a gli Altri, che viene presentato, come incredibilmente è, «capo segreteria politica Pd», lui il bitrombato: «Il primo obiettivo del Pd è quello di staccare la spina che tiene in vita questo governo». Manco fosse Eluana Englaro.
Sono giorni che la stampa borghese, quella che più sponsorizza la bandiera del «progressismo» continua a descrivere la situazione italiana come quella d'un paese terremotato, distrutto da uno tsunami politico, investito da una pioggia di meteoriti, sull'orlo di collassare in un abisso senza fondo. Piano, diamoci una calmata. Che gran casino possono aver fatto quarantaquattro gatti che si sono messi in fila per sei col resto di due? Oltretutto continuano a dire che se il governo mantiene fede al programma elettorale il loro sostegno non mancherà.
Suvvia, ragazzi (citazione d'obbligo) siamo pazzi? Che pensa la gente che legge d'un siparietto come questo su Repubblica tra la Bindi ed il giornalista che la intervistava? Osserva quest'ultimo: «Il Pd però appare diviso e, nonostante le rassicurazioni, molto preoccupato dal rischio elezioni». Più che una domanda, era una constatazione. Ma la Bindi: «Nient'affatto. Siamo di fronte ad una maggioranza sgretolata [Ma la domanda...]. Ed è per questo che chiediamo che la crisi venga ufficializzata in Parlamento. [Poi focalizza] Non è il Pd ad essere spaccato e siamo pronti all'alternativa. Noi in campagna elettorale avremmo mille argomenti contro Berlusconi [Avremmo, non abbiamo? In campagna elettorale, non ora?]. Che vuol provocare una crisi istituzionale per risolvere i contrasti interni, e con quale concezione della democrazia è facile intuirlo [Ma perché lasciare all'immaginario, alla pura fantasia? perché, porca miseria, non ce la dici tu quale sia?]». Ed il giornalista: «Ma con chi allearsi per evitare la corsa alle urne?». Risposta: «Con le forze del centrosinistra [Cioè con se stessi?] e dell'opposizione. Con chi è disposto ad evitare lo sfascio del paese e delle istituzioni [Disposto? Solo? Così, tanto per gradire?]. E impedire che Berlusconi vada al voto chiedendo tutti i poteri per sé, stravolgendo la Costituzione». Basta! Non diciamo stronzate.
Il Pd, Ds prima, ha tirato troppo la corda puntando sul fatto che gli italiani sono troppo impegnati ad arrivare in qualche modo a fine mese per aver tempo di andare a verificare le frottole che il centrosinistra da tempo racconta loro. Io credo che sia il tempo, questo, a sinistra di domandarsi se questo partito, il Pd, rappresenti ancora seppure alla lontana gli interessi di quanti si autocertifica di rappresentare, e non sia, al pari dell'omologo finiano, mero strumento nelle mani di quei «poteri forti» che mal sopportano la presenza al governo del «rivoluzionario» Silvio Berlusconi, e che lo hanno osteggiato da subito, dal momento della sua discesa in campo.
Se l'«illuminata» dirigenza Pd pensa alla rimpatriata con la destra «illuminata» finiana nel tentativo di cacciare Berlusconi prima, per il voto dopo; per paradosso anche quella sinistra che ancora non vota Lega dovrebbe cominciare a riflettere sull'opportunità di un voto realmente utile. E non sarebbe l'apoteosi del «tanto peggio tanto meglio».

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