Sul Tempo di ieri, Angela Pellicciari parla di «cose che non tornano». L'articolo parte con un raffronto sintetico tra tre vicende, quella di Berlusconi e delle escort (dove «siamo arrivati alla trascrizione sui maggiori quotidiani di colloqui molto privati, di nessuna rilevanza penale, carpiti all'insaputa del presidente del Consiglio, da una prostituta finita a palazzo Grazioli»); quella del caso Marrazzo di lì a poco («E il mondo di transessuali frequentato dal Governatore è stato scosso da più di un omicidio») e oggi quella «del più fiero rappresentante della legalità che sieda in Parlamento: Gianfranco Fini» («Fatti, non conversazioni private carpite alla buonafede del malcapitato, sono stati addebitati al presidente della Camera»). In particolare, la giornalista ricorda che per quanto riguarda il premier «l'indignazione pubblica per una simile vergogna è stata assordante. Nel senso che Berlusconi è stato lasciato cuocere nel suo brodo, con nessuno che reclamasse la fine del linciaggio mediatico del premier eletto dagli italiani. Anzi. Tutti che pontificavano sulla necessità di una maggiore moralità da parte di chi governa».
Perché le cose non tornano? «Perché a difesa di Fini si è mosso mezzo mondo, anche istituzionale, mentre a difesa di Berlusconi, a suo tempo, non si era mosso nessuno». Buon ultimo, osserva la giornalista, prendendo la parola in modo durissimo, il presidente della Ferrari Montezemolo: «Con toni ultimativi Montezemolo intima al governo di governare e a Berlusconi, Fini e Bossi di mettersi d'accordo per farlo. Davvero curioso». Giusta sottolineatura. E aggiunge: «Ma, viene da chiedersi, chi è Montezemolo? Quale istituzione popolare rappresenta?». Già.
La Pellicciari passa poi ad illustrare un'altra coincidenza curiosa: «Nel mese di giugno, se non vado errato, dopo che per quasi due anni i distinguo di Fini nei confronti di Berlusconi e del suo governo, erano stati amplificati oltre ogni misura dalla stampa, il Corriere della Sera si è distinto per una campagna a favore di un governo dalle larghe intese. Un governo istituzionale. Ohibò! Ma cos'è il Corriere, oltre un quotidiano? In nome di quale popolo invoca un governo istituzionale? E come mai il Corriere dava per scontato che di questo ci fosse bisogno? Come mai non dava il necessario risalto ai concreti risultati del governo Berlusconi, dando invece per ovvia e scritta nei fatti la sua inconcludenza, al punto da sponsorizzare la sua "democratica" sostituzione con un governo più adatto alla bisogna?». Buone domande.
E chiude: «Ora che l'immagine di Fini è stata, diciamo, un po' appannata, si fa peccato a pensare che ci fosse una cordata molto seria, molto potente, quanto poco democratica, a favore di un cambio della guardia a Palazzo Chigi? Cambio della guardia democraticamente giustificato con la foglia di fico della partecipazione del cofondatore e covincitore delle elezioni insieme a Berlusconi, Gianfranco Fini?». E, dunque: «Si fa peccato a pensare che l'inusualmente dura uscita di Montezemolo risponda ad un grido di dolore per la mancata possibilità di attuare un disegno tanto a lungo accarezzato?». Prudentemente il quotidiano titola il pezzo «Sospette coincidenze per colpire il governo», ma la sensazione è reale. E colpisce l'osservazione di Gianfranco Rotondi, il ministro, uno che da buon vecchio democristiano la sa lunga, espressa, dialogando con un giornalista de Il Riformista, intervista riportata venerdì. «Non mi dica che vede già Montezemolo a Palazzo Chigi...», butta lì il giornalista, Marco Sarti. «Non scherziamo. È ovvio che io non ce lo vedo. Curiosamente ci si vede lui. Ma è scontato che non ci andrà mai», risponde Rotondi. «Anche in caso di voto anticipato, rischia di essere il vostro principale avversario», insiste Sarti. «Vero, e sa perché?». Ribatte il ministro e al «Me lo dica lei» del suo interlocutore, spiega: «Perché al contrario di Berlusconi, Montezemolo non ama rischiare. Lo dimostra la sua storia. Se per entrare in politica fosse costretto a fare un mutuo sulla sua barca, magari per pagare qualche sezione di partito, sono certo che sceglierebbe la barca. Ma davanti a uno schieramento grande ed eterogeneo, di sinistra e di destra, popolare e raffinato, lui è prontissimo a scendere in campo». Sarti, di rimando, osserva: «Il capogruppo dell'Idv Donadi ha detto che pur di liberarsi di Berlusconi loro sono pronti ad allearsi anche con il diavolo». E Rotondi: «Appunto, Montezemolo. Il diavolo è lui».
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