Chi c’era e chi era meglio che non ci fosse. Premesso che di alcuni, come il sindaco di Milano Moratti o il presidente della Regione Lombardia Formigoni, l’assenza da giorni era stata annunciata, l’elenco alla rinfusa, che segue, è fatto raccogliendo le informazioni dalle agenzie.
Meglio che non ci fossero le scritte contro Confindustria, una delle tante “Libertà per i compagni, morte alla Confindustria”, apparse sui muri dell'arcivescovado, nei pressi di piazza Duomo a Milano, dopo il corteo del 25 aprile, che ha visto la partecipazione d i giovani di diversi centri sociali di Milano e altre città italiane.
Non c’era Roberto Maroni di cui si riporta il virgolettato: “È una giornata molto impegnativa che sto passando a tagliare il prato”. Meglio che non ci fosse la bordata di fischi, che ha soverchiato gli applausi, e qualche "buuu" che hanno accolto l'arcivescovo di Genova cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al suo arrivo al Palazzo Ducale di Genova per la celebrazione della ricorrenza.
Meglio che non ci fosse una nota di Rosy Bindi, in cui ha detto: "Anche Grillo contribuisce all'opera di rimozione e inquinamento culturale del 25 aprile, come parte della destra, con le sortite di Dell'Utri e Ciarrapico e l'indifferenza della Moratti e Berlusconi che non sentono il dovere di partecipare alle celebrazioni. Anche il suo [quello di Grillo] è un modo di continuare a dividere il Paese". Lo unisce lei e il suo partito ovviamente. Ma meglio che non ci fosse pure quest’ultimo mio commento.
Era meglio che non ci fossero le affermazioni di Anna Finocchiaro: “È avvilente che in una giornata importante come questa Berlusconi non trovi di meglio che ricevere Ciarrapico. Un gesto irriverente nei confronti della memoria e della storia del nostro Paese. Oggi si celebra il giorno del riscatto dell'Italia dalla barbarie”. E non sono barbarie anche simili esternazioni?
Era meglio che non ci fossero le svastiche e i volantini con croci celtiche, che definiscono il 25 aprile “Giornata di lutto nazionale”, con cui nella notte, a Lodi, sono stati imbrattati diversi punti della città. Era meglio che non ci fossero i commenti di Vendola e Ferrero sulla Moratti. Sempre facile prendersela con le donne. Il primo: “Lo spartito lo aveva scritto Dell'Utri e gli attuali direttori d'orchestra evidentemente si sottraggono a un calendario imbarazzante, perché il 25 aprile è lo spartiacque della storia della libertà. Da tanti lati si vede un enstabilishment che tenta di depotenziare il valore simbolico del 25 aprile”, non immaginando neppure di contribuire così a svuotarne ulteriormente il significato originale. Il secondo almeno sembra si sia limitato a un “L'assenza della Moratti è gravissima”, visto che altro non è stato riportato.
C’era l’avversione di qualche giornalista a riportare correttamente i virgolettati di Berlusconi, nel senso che in qualche caso errori materiali stravolgono la storia più del demonizzato revisionismo (ad es. su Repubblica: 15:18 Berlusconi: “Purtroppo a 25 aprile seguì guerra civile”). Berlusconi c’era con il suo commento: per lui il XXV Aprile “indica il ritorno alla democrazie a alla libertà”. “Credo che ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile rappresenti un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale, non per cancellare la memoria, le ragioni e i torti, ma perché chi ha combattuto per la Patria sia considerato figlio di questa nazione”. “Capire le ragioni dei ragazzi di Salò, come hanno sostenuto in passato anche diversi esponenti della sinistra, e saldare il debito contratto con gli esuli istriano-dalmati è la strada giusta”, la quale non “può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni”. Al XXV Aprile “purtroppo seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese. Ormai tutto questo è storia e adesso è tempo di dare al 25 aprile un senso italiano popolare e nazionale, un senso di libertà e di pace”.
C’era Veltroni, ma era meglio che le sue parole non ci fossero: "Mi dicono che Berlusconi ha ricevuto Ciarrapico, che non ha mai preso le distanze dal ventennio fascista, a Palazzo Grazioli, nel momento in cui gli italiani festeggiano il 25 aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo. È un segnale politico che segna profondamente la distanza tra un gesto di questo genere e tutti gli italiani che festeggiano una grande festa di libertà. Spero che per molti elettori significhi qualcosa. Un atto di spregio nei confronti della democrazia". Cui non sono tardate le repliche di Bonaiuti e Cicchitto: “Dall'alto di quale pulpito Veltroni impartisce lezioni di democrazia al presidente Berlusconi che ha ricevuto almeno 30 persone in una mattinata di lavoro intenso? La polemica di Veltroni nei confronti di un senatore democraticamente eletto, la stessa persona ricevuta con tutti gli onori dal coordinatore Goffredo Bettini alla prima assise del Pd, è meschina e volgare. Veltroni è un uomo stordito dalla sconfitta, senza argomenti e qualità, che tenta di replicare una polemica elettorale di basso livello già fallita in precedenza”.
C’era, naturalmente come s’è detto, in piazza San Carlo a Torino Beppe Grillo, che forse unico nel Paese ha fatto un atto consono allo spirito della ricorrenza: raccogliere le firme per i tre referendum, l'abolizione dell'ordine dei giornalisti, della legge Gasparri e del finaziamento pubblico all'editoria.
E c’era “Er cipria” con l’occhio al confronto con Alemanno: “È la festa di chi ha capito che c'era una parte giusta in quei giorni del 1945, quella celebrata oggi dal Presidente della Repubblica con le onorificenze alle vittime delle atrocità naziste e a tutti quelli che ci hanno consentito oggi di percorrere liberi queste strade. Se avessero prevalso gli altri, oggi non ci sarebbe la democrazia”, tanto per allontanare dopo il primo babau che di lui ha fatto nel 2001 un sol boccone, l’altro che potrebbe per la seconda volta portargli via una sedia.
C’era per fortuna Bonanni: “La cosa migliore è sottolineare i valori della Resistenza e la cultura della tolleranza e dell'unità. La Resistenza è stata costruita attraverso il valore dell'unità per la libertà: non c'è libertà né democrazia senza unità”.
C’era “Bella Ciao” nonostante i divieti del sindaco Marco Tedde di Alghero, c’era il no-global Caruso che non si smentisce mai: “Dopo l'assoluzione, abbiamo un motivo in più per scendere tutti in piazza a Roma per ricordare la Liberazione di allora e organizzare la Resistenza di oggi, perché ci lascino cospirare e sovvertire in santa pace contro questo stato di cose presenti”. Il casino per il casino, insomma, la nuova parola d’ordine. E a Terni c’era qualche deficiente evidentemente analfabeta, che era meglio che non c’era, il quale, senza scritta alcuna, s’e deliziato a imbrattare la scorsa notte con bombolette spray il monumento ai caduti in piazza Briccialdi.
C’era Gianni Alemanno, a Palidoro per ricordare il vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto: “Bisogna smetterla di fare del 25 aprile una festa di parte. Questa deve essere la festa di tutto il popolo italiano che si è liberato da tutti i totalitarismi. Deve essere la festa non di una parte ma di tutta la nazione”.
C’era a Milano l’Anpi, ma non poteva non esserci: “Il sindaco deve sapere che con la sua assenza non può cancellare i nostri valori”. Che carisma incredibile ha questa donna, una sorta quasi di irraggiungibile “oggetto” di desiderio. E c’era Francesco Storace nel suo blog: “Il mio 25 aprile è iniziato con una bellissima telefonata di Giampaolo Pansa. Revisionismo, credo, non significa negazionismo, ma necessità di rileggere la storia attraverso una meticolosa opera di ricerca. E Pansa, che certo non è un uomo di destra, continua a farlo con onestà e rispetto della verità. Al contrario di chi trasforma il 25 aprile in un festa di parte e rinuncia a lavorare per la pacificazione nazionale”.
E ci sono stati applausi scroscianti per il capo dello Stato Giorgio Napolitano, tiepidi per il premier Romano Prodi. Forse perché tutti si erano dimenticati che ancora per qualche giorno è il capo del governo, dopo che Veltroni lo aveva nascosto nella soffitta [se c’è una soffitta] del loft.
E ancora val la pena di ricordare Parisi e di nuovo Cicchitto. Così il primo: “Il rilassamento morale può divenire una malattia delle coscienze. Un virus che ci fa ripiegare su noi stessi riducendo talvolta la politica a una lotta di parte nella quale è difficile riconoscere la preoccupazione per la convivenza comune”; così il secondo: “Oggi ci sono due tipi di celebrazioni della Resistenza: quella di chi, senza odio di parte, la rievoca come data storica del ritorno della libertà e quella di chi, invece, la usa per demonizzare l'avversario politico di oggi. Noi non vogliamo avere nulla a che fare con il secondo tipo di manifestazione”.
A Trieste c’era la celebrazione alla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista in Italia con forno crematorio. Un ricordo degli ebrei, degli sloveni, croati, italiani, triestini e istriani sterminati là dai nazisti e dai collaborazionisti fascisti.
Meglio che non ci fossero le scritte contro Confindustria, una delle tante “Libertà per i compagni, morte alla Confindustria”, apparse sui muri dell'arcivescovado, nei pressi di piazza Duomo a Milano, dopo il corteo del 25 aprile, che ha visto la partecipazione d i giovani di diversi centri sociali di Milano e altre città italiane.
Non c’era Roberto Maroni di cui si riporta il virgolettato: “È una giornata molto impegnativa che sto passando a tagliare il prato”. Meglio che non ci fosse la bordata di fischi, che ha soverchiato gli applausi, e qualche "buuu" che hanno accolto l'arcivescovo di Genova cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al suo arrivo al Palazzo Ducale di Genova per la celebrazione della ricorrenza.
Meglio che non ci fosse una nota di Rosy Bindi, in cui ha detto: "Anche Grillo contribuisce all'opera di rimozione e inquinamento culturale del 25 aprile, come parte della destra, con le sortite di Dell'Utri e Ciarrapico e l'indifferenza della Moratti e Berlusconi che non sentono il dovere di partecipare alle celebrazioni. Anche il suo [quello di Grillo] è un modo di continuare a dividere il Paese". Lo unisce lei e il suo partito ovviamente. Ma meglio che non ci fosse pure quest’ultimo mio commento.
Era meglio che non ci fossero le affermazioni di Anna Finocchiaro: “È avvilente che in una giornata importante come questa Berlusconi non trovi di meglio che ricevere Ciarrapico. Un gesto irriverente nei confronti della memoria e della storia del nostro Paese. Oggi si celebra il giorno del riscatto dell'Italia dalla barbarie”. E non sono barbarie anche simili esternazioni?
Era meglio che non ci fossero le svastiche e i volantini con croci celtiche, che definiscono il 25 aprile “Giornata di lutto nazionale”, con cui nella notte, a Lodi, sono stati imbrattati diversi punti della città. Era meglio che non ci fossero i commenti di Vendola e Ferrero sulla Moratti. Sempre facile prendersela con le donne. Il primo: “Lo spartito lo aveva scritto Dell'Utri e gli attuali direttori d'orchestra evidentemente si sottraggono a un calendario imbarazzante, perché il 25 aprile è lo spartiacque della storia della libertà. Da tanti lati si vede un enstabilishment che tenta di depotenziare il valore simbolico del 25 aprile”, non immaginando neppure di contribuire così a svuotarne ulteriormente il significato originale. Il secondo almeno sembra si sia limitato a un “L'assenza della Moratti è gravissima”, visto che altro non è stato riportato.
C’era l’avversione di qualche giornalista a riportare correttamente i virgolettati di Berlusconi, nel senso che in qualche caso errori materiali stravolgono la storia più del demonizzato revisionismo (ad es. su Repubblica: 15:18 Berlusconi: “Purtroppo a 25 aprile seguì guerra civile”). Berlusconi c’era con il suo commento: per lui il XXV Aprile “indica il ritorno alla democrazie a alla libertà”. “Credo che ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile rappresenti un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale, non per cancellare la memoria, le ragioni e i torti, ma perché chi ha combattuto per la Patria sia considerato figlio di questa nazione”. “Capire le ragioni dei ragazzi di Salò, come hanno sostenuto in passato anche diversi esponenti della sinistra, e saldare il debito contratto con gli esuli istriano-dalmati è la strada giusta”, la quale non “può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni”. Al XXV Aprile “purtroppo seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese. Ormai tutto questo è storia e adesso è tempo di dare al 25 aprile un senso italiano popolare e nazionale, un senso di libertà e di pace”.
C’era Veltroni, ma era meglio che le sue parole non ci fossero: "Mi dicono che Berlusconi ha ricevuto Ciarrapico, che non ha mai preso le distanze dal ventennio fascista, a Palazzo Grazioli, nel momento in cui gli italiani festeggiano il 25 aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo. È un segnale politico che segna profondamente la distanza tra un gesto di questo genere e tutti gli italiani che festeggiano una grande festa di libertà. Spero che per molti elettori significhi qualcosa. Un atto di spregio nei confronti della democrazia". Cui non sono tardate le repliche di Bonaiuti e Cicchitto: “Dall'alto di quale pulpito Veltroni impartisce lezioni di democrazia al presidente Berlusconi che ha ricevuto almeno 30 persone in una mattinata di lavoro intenso? La polemica di Veltroni nei confronti di un senatore democraticamente eletto, la stessa persona ricevuta con tutti gli onori dal coordinatore Goffredo Bettini alla prima assise del Pd, è meschina e volgare. Veltroni è un uomo stordito dalla sconfitta, senza argomenti e qualità, che tenta di replicare una polemica elettorale di basso livello già fallita in precedenza”.
C’era, naturalmente come s’è detto, in piazza San Carlo a Torino Beppe Grillo, che forse unico nel Paese ha fatto un atto consono allo spirito della ricorrenza: raccogliere le firme per i tre referendum, l'abolizione dell'ordine dei giornalisti, della legge Gasparri e del finaziamento pubblico all'editoria.
E c’era “Er cipria” con l’occhio al confronto con Alemanno: “È la festa di chi ha capito che c'era una parte giusta in quei giorni del 1945, quella celebrata oggi dal Presidente della Repubblica con le onorificenze alle vittime delle atrocità naziste e a tutti quelli che ci hanno consentito oggi di percorrere liberi queste strade. Se avessero prevalso gli altri, oggi non ci sarebbe la democrazia”, tanto per allontanare dopo il primo babau che di lui ha fatto nel 2001 un sol boccone, l’altro che potrebbe per la seconda volta portargli via una sedia.
C’era per fortuna Bonanni: “La cosa migliore è sottolineare i valori della Resistenza e la cultura della tolleranza e dell'unità. La Resistenza è stata costruita attraverso il valore dell'unità per la libertà: non c'è libertà né democrazia senza unità”.
C’era “Bella Ciao” nonostante i divieti del sindaco Marco Tedde di Alghero, c’era il no-global Caruso che non si smentisce mai: “Dopo l'assoluzione, abbiamo un motivo in più per scendere tutti in piazza a Roma per ricordare la Liberazione di allora e organizzare la Resistenza di oggi, perché ci lascino cospirare e sovvertire in santa pace contro questo stato di cose presenti”. Il casino per il casino, insomma, la nuova parola d’ordine. E a Terni c’era qualche deficiente evidentemente analfabeta, che era meglio che non c’era, il quale, senza scritta alcuna, s’e deliziato a imbrattare la scorsa notte con bombolette spray il monumento ai caduti in piazza Briccialdi.
C’era Gianni Alemanno, a Palidoro per ricordare il vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto: “Bisogna smetterla di fare del 25 aprile una festa di parte. Questa deve essere la festa di tutto il popolo italiano che si è liberato da tutti i totalitarismi. Deve essere la festa non di una parte ma di tutta la nazione”.
C’era a Milano l’Anpi, ma non poteva non esserci: “Il sindaco deve sapere che con la sua assenza non può cancellare i nostri valori”. Che carisma incredibile ha questa donna, una sorta quasi di irraggiungibile “oggetto” di desiderio. E c’era Francesco Storace nel suo blog: “Il mio 25 aprile è iniziato con una bellissima telefonata di Giampaolo Pansa. Revisionismo, credo, non significa negazionismo, ma necessità di rileggere la storia attraverso una meticolosa opera di ricerca. E Pansa, che certo non è un uomo di destra, continua a farlo con onestà e rispetto della verità. Al contrario di chi trasforma il 25 aprile in un festa di parte e rinuncia a lavorare per la pacificazione nazionale”.
E ci sono stati applausi scroscianti per il capo dello Stato Giorgio Napolitano, tiepidi per il premier Romano Prodi. Forse perché tutti si erano dimenticati che ancora per qualche giorno è il capo del governo, dopo che Veltroni lo aveva nascosto nella soffitta [se c’è una soffitta] del loft.
E ancora val la pena di ricordare Parisi e di nuovo Cicchitto. Così il primo: “Il rilassamento morale può divenire una malattia delle coscienze. Un virus che ci fa ripiegare su noi stessi riducendo talvolta la politica a una lotta di parte nella quale è difficile riconoscere la preoccupazione per la convivenza comune”; così il secondo: “Oggi ci sono due tipi di celebrazioni della Resistenza: quella di chi, senza odio di parte, la rievoca come data storica del ritorno della libertà e quella di chi, invece, la usa per demonizzare l'avversario politico di oggi. Noi non vogliamo avere nulla a che fare con il secondo tipo di manifestazione”.
A Trieste c’era la celebrazione alla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista in Italia con forno crematorio. Un ricordo degli ebrei, degli sloveni, croati, italiani, triestini e istriani sterminati là dai nazisti e dai collaborazionisti fascisti.
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