Che la Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati costituisca oggi una lobby politica non trascurabile, è evidente. La FederEsuli raggruppa quattro delle principali associazioni che fanno riferimento all’esodo: Anvgd, Libero Comune di Fiume in Esilio, Dalmati nel Mondo, Associazione delle Comunità Istriane. Difficilmente una legge discutibile come quella del cosiddetto “Giorno del ricordo” altrimenti sarebbe stata approvata in un’aurea bipartisan di obsoleto revanscismo.
Ulteriore testimonianza della consapevolezza del proprio peso è il messaggio che la Federazione ha creduto opportuno inviare prima delle elezioni alle forze politiche, al PDL di Berlusconi, al PD di Veltroni, all'UDC di Casini, a La Destra della Santanchè, a La Sinistra L'Arcobaleno di Bertinotti, al Partito Socialista di Boselli. Quello che segue è il testo tratto dalla newsletter dell’Anvgd (n. 13/2008 del 4 aprile).
«Nei dolorosi anni dell’esilio dalle terre natali da cui siamo stati strappati a forza dalla follia della guerra, ci siamo ripetutamente rivolti ai rappresentanti della politica per ottenere giustizia per il nostro popolo. Con decisione eleviamo ancora una volta la nostra voce rivolgendoci ai Partiti Politici impegnati alle elezioni 2008 per chiedere attenzione ai problemi e agli interessi di cui sono portatrici le Associazioni dell’esilio istriano, fiumano e dalmata. Se è vero che il “giorno del ricordo” delle foibe e dell’esodo, che rende finalmente giustizia alla nostra storia, è stato istituito dal Parlamento con voto bipartisan appena nel 2004, è altrettanto vero che alla comunità degli esuli deve essere ancora resa giustizia. Chiediamo che tra i primi atti del Governo che andrà ad insediarsi nei prossimi mesi, sia istituito un nuovo “tavolo di concertazione” con le Associazioni degli esuli allo scopo di dare definitiva soluzione ai numerosi problemi che da più di sessant’anni preoccupano la nostra gente. Chiediamo una rinnovata attenzione sui seguenti argomenti:
1) l’approvazione di una legge che sancisca l’equo e definitivo indennizzo per i beni degli esuli in Istria, Fiume e Dalmazia con i quali lo Stato italiano ha pagato alla ex Jugoslavia i danni di guerra dovuti dall’intero Paese. È l’aspettativa più sentita dalla stragrande maggioranza degli esuli;
2) la denuncia del Trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia e la restituzione dei beni ai profughi ancora nella disponibilità degli Stati di Slovenia e Croazia oltre alla non discriminazione delle legislazioni interne di questi Paesi nei confronti dei cittadini italiani;
3) problematiche in materia di anagrafe, documenti di identità, patenti, tessere sanitarie, posizioni pensionistiche, codici fiscali, dati gli ancora numerosi casi di alterazione dei luoghi di nascita degli esuli,
4) l’approvazione di una legge permanente a favore delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati in Italia, per la tutela del patrimonio storico, artistico e delle tradizioni culturali italiane;
5) l’approvazione di una legge permanente a favore delle attività delle Comunità degli Italiani nell’ex Jugoslavia;
6) la salvaguardia per le tombe e monumenti civili con scritte in lingua italiana in Istria, Fiume e Dalmazia;
7) la soluzione alle problematiche ancora in sospeso con riguardo al settore delle Case Popolari;
8) l’approvazione di una legge sulla cittadinanza da estendere alle persone di nazionalità italiana residenti nei comuni della Dalmazia, che non appartenevano all’Italia al momento del Trattato di Pace del 1947. La rinascita delle comunità italiane in Croazia, Slovenia e Dalmazia meridionale si è rivelata uno strumento essenziale di presenza italiana e di collaborazione culturale con gli enti locali e le università croate, slovene e montenegrine.
La soluzione delle problematiche sopra evidenziate consentirebbe finalmente di chiudere quel contenzioso che addolora il nostro popolo che si sente ancora poco e male considerato non avendo dopo tanti anni ancora ottenuto quelli che ritiene i suoi giusti diritti.»
Vero è: alcuni punti, quali l’1) e il 3), rappresentano ancora oggi un problema italiano non risolto al quale si dovrebbe una volta per tutte mettere da parte del governo la parola fine; così come è vero che il punto 6) debba rappresentare un doveroso motivo di attenzione. Ma è vero anche che il revanscismo che accompagna tra le righe altre richieste non è accettabile e non ha più senso nell’Europa d’oggi, tant’è che per il vicepresidente della Commissione Europea, Franco Frattini, la soluzione della vicenda dei beni abbandonati in Istria dagli esuli italiani “non è una precondizione perché la Croazia entri nell'Unione Europa”, come ha detto il 31 marzo a Trieste. Certo, ha detto anche che “sarebbe un gesto di grande importanza per gli italiani”. Forse intendendo “esuli italiani”, perché ben altri sono i problemi oggi degli “italiani”. E ha continuato rispondendo ai giornalisti: “Aspettiamo dal primo ministro Sanader un gesto di concreta buona volontà. L'ultima volta che ne abbiamo parlato ho visto che questa buona volontà esiste anche se a piccoli passi. Dobbiamo continuare un'azione diplomatica”. Ci si può provare, insomma, è il senso, perché ottenendo anche solo un piccolo risultato si avrebbe motivo per far minimizzare le pressioni di una lobby “ingombrante” che preme a destra del centrodestra su problemi superati e inaffrontabili nell’Europa comunitaria.
Basti, per meglio comprendere, un comunicato stampa della Presidenza nazionale Anvgd del 2 aprile firmato da Lucio Toth in cui si rivendica ancora una volta la “latinità” di Trieste stigmatizzando “la deriva neo-asburgica, che lega il destino dell’Alto Adriatico alla Mitteleuropa”, continuando, cioè, così a negare la storia di una città, italiana solo dal 1918, che gli Asburgo portarono al suo splendore facendone il porto dell’Austria. Dice il comunicato:
Chi cerca euroregioni transalpine, che soffocano la nostra identità veneta e latina, non vuole il bene di Trieste e del Friuli, perché le nostre sono terre adriatiche e mediterranee. Il ruolo giuliano di cerniera tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, funziona se il baricentro dell’euroregione viene spostato verso il Sud, come nel progetto di Euroregione adriatica, che non solleva problemi di sovranità per Slovenia e Croazia e non comporta supremazie politiche e sudditanze economiche. Slovenia e Croazia sono Stati sovrani giovani e non accettano di entrare in un nesso che li riporti in una condizione di “federati”.
Sorvolando che possa sembrare sfiorare il ridicolo il fatto che l’Anvgd si preoccupi di tutelare ciò che pensano croati e sloveni, la vera ragione in buona sostanza è altra e la si comprende dalla parte finale del comunicato, dove si dice:
D’altro canto una Euroregione a cavallo delle Alpi Orientali spezza l’unità del Nord italiano, motore di traino di tutta l’economia nazionale e centro propulsivo da millenni per tutta l’Europa.
Sarebbe una scelta contro la logica geo-economica e contro l’unità della nazione, che per noi esuli giuliano-dalmati è il bene più prezioso. Una scelta particolaristica e pericolosa, che ricaccia Trieste nell’angolo da cui deve uscire.
A parte il fatto che Trieste, nell’angolo, è stata cacciata sensibilmente dopo la fine dell’amministrazione alleata e lì mantenuta dal dopoguerra ad oggi, e se prospettive di uscirne si hanno è particolarmente grazie alla caduta delle barriere confinarie con il suo entroterra sloveno e in un futuro non remoto di quelle con l’Istria croata; a parte questo, non occorre molto per intuire il vero motivo di preoccupazione per la lobby giuliana, fiumana e dalmata: se l’euroregione ricostruisse in qualche modo il Litorale, verrebbe meno ogni giustificazione, diversa dal ricordo di eventi ormai lontani, per continuare ad esistere.
Ulteriore testimonianza della consapevolezza del proprio peso è il messaggio che la Federazione ha creduto opportuno inviare prima delle elezioni alle forze politiche, al PDL di Berlusconi, al PD di Veltroni, all'UDC di Casini, a La Destra della Santanchè, a La Sinistra L'Arcobaleno di Bertinotti, al Partito Socialista di Boselli. Quello che segue è il testo tratto dalla newsletter dell’Anvgd (n. 13/2008 del 4 aprile).
«Nei dolorosi anni dell’esilio dalle terre natali da cui siamo stati strappati a forza dalla follia della guerra, ci siamo ripetutamente rivolti ai rappresentanti della politica per ottenere giustizia per il nostro popolo. Con decisione eleviamo ancora una volta la nostra voce rivolgendoci ai Partiti Politici impegnati alle elezioni 2008 per chiedere attenzione ai problemi e agli interessi di cui sono portatrici le Associazioni dell’esilio istriano, fiumano e dalmata. Se è vero che il “giorno del ricordo” delle foibe e dell’esodo, che rende finalmente giustizia alla nostra storia, è stato istituito dal Parlamento con voto bipartisan appena nel 2004, è altrettanto vero che alla comunità degli esuli deve essere ancora resa giustizia. Chiediamo che tra i primi atti del Governo che andrà ad insediarsi nei prossimi mesi, sia istituito un nuovo “tavolo di concertazione” con le Associazioni degli esuli allo scopo di dare definitiva soluzione ai numerosi problemi che da più di sessant’anni preoccupano la nostra gente. Chiediamo una rinnovata attenzione sui seguenti argomenti:
1) l’approvazione di una legge che sancisca l’equo e definitivo indennizzo per i beni degli esuli in Istria, Fiume e Dalmazia con i quali lo Stato italiano ha pagato alla ex Jugoslavia i danni di guerra dovuti dall’intero Paese. È l’aspettativa più sentita dalla stragrande maggioranza degli esuli;
2) la denuncia del Trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia e la restituzione dei beni ai profughi ancora nella disponibilità degli Stati di Slovenia e Croazia oltre alla non discriminazione delle legislazioni interne di questi Paesi nei confronti dei cittadini italiani;
3) problematiche in materia di anagrafe, documenti di identità, patenti, tessere sanitarie, posizioni pensionistiche, codici fiscali, dati gli ancora numerosi casi di alterazione dei luoghi di nascita degli esuli,
4) l’approvazione di una legge permanente a favore delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati in Italia, per la tutela del patrimonio storico, artistico e delle tradizioni culturali italiane;
5) l’approvazione di una legge permanente a favore delle attività delle Comunità degli Italiani nell’ex Jugoslavia;
6) la salvaguardia per le tombe e monumenti civili con scritte in lingua italiana in Istria, Fiume e Dalmazia;
7) la soluzione alle problematiche ancora in sospeso con riguardo al settore delle Case Popolari;
8) l’approvazione di una legge sulla cittadinanza da estendere alle persone di nazionalità italiana residenti nei comuni della Dalmazia, che non appartenevano all’Italia al momento del Trattato di Pace del 1947. La rinascita delle comunità italiane in Croazia, Slovenia e Dalmazia meridionale si è rivelata uno strumento essenziale di presenza italiana e di collaborazione culturale con gli enti locali e le università croate, slovene e montenegrine.
La soluzione delle problematiche sopra evidenziate consentirebbe finalmente di chiudere quel contenzioso che addolora il nostro popolo che si sente ancora poco e male considerato non avendo dopo tanti anni ancora ottenuto quelli che ritiene i suoi giusti diritti.»
Vero è: alcuni punti, quali l’1) e il 3), rappresentano ancora oggi un problema italiano non risolto al quale si dovrebbe una volta per tutte mettere da parte del governo la parola fine; così come è vero che il punto 6) debba rappresentare un doveroso motivo di attenzione. Ma è vero anche che il revanscismo che accompagna tra le righe altre richieste non è accettabile e non ha più senso nell’Europa d’oggi, tant’è che per il vicepresidente della Commissione Europea, Franco Frattini, la soluzione della vicenda dei beni abbandonati in Istria dagli esuli italiani “non è una precondizione perché la Croazia entri nell'Unione Europa”, come ha detto il 31 marzo a Trieste. Certo, ha detto anche che “sarebbe un gesto di grande importanza per gli italiani”. Forse intendendo “esuli italiani”, perché ben altri sono i problemi oggi degli “italiani”. E ha continuato rispondendo ai giornalisti: “Aspettiamo dal primo ministro Sanader un gesto di concreta buona volontà. L'ultima volta che ne abbiamo parlato ho visto che questa buona volontà esiste anche se a piccoli passi. Dobbiamo continuare un'azione diplomatica”. Ci si può provare, insomma, è il senso, perché ottenendo anche solo un piccolo risultato si avrebbe motivo per far minimizzare le pressioni di una lobby “ingombrante” che preme a destra del centrodestra su problemi superati e inaffrontabili nell’Europa comunitaria.
Basti, per meglio comprendere, un comunicato stampa della Presidenza nazionale Anvgd del 2 aprile firmato da Lucio Toth in cui si rivendica ancora una volta la “latinità” di Trieste stigmatizzando “la deriva neo-asburgica, che lega il destino dell’Alto Adriatico alla Mitteleuropa”, continuando, cioè, così a negare la storia di una città, italiana solo dal 1918, che gli Asburgo portarono al suo splendore facendone il porto dell’Austria. Dice il comunicato:
Chi cerca euroregioni transalpine, che soffocano la nostra identità veneta e latina, non vuole il bene di Trieste e del Friuli, perché le nostre sono terre adriatiche e mediterranee. Il ruolo giuliano di cerniera tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, funziona se il baricentro dell’euroregione viene spostato verso il Sud, come nel progetto di Euroregione adriatica, che non solleva problemi di sovranità per Slovenia e Croazia e non comporta supremazie politiche e sudditanze economiche. Slovenia e Croazia sono Stati sovrani giovani e non accettano di entrare in un nesso che li riporti in una condizione di “federati”.
Sorvolando che possa sembrare sfiorare il ridicolo il fatto che l’Anvgd si preoccupi di tutelare ciò che pensano croati e sloveni, la vera ragione in buona sostanza è altra e la si comprende dalla parte finale del comunicato, dove si dice:
D’altro canto una Euroregione a cavallo delle Alpi Orientali spezza l’unità del Nord italiano, motore di traino di tutta l’economia nazionale e centro propulsivo da millenni per tutta l’Europa.
Sarebbe una scelta contro la logica geo-economica e contro l’unità della nazione, che per noi esuli giuliano-dalmati è il bene più prezioso. Una scelta particolaristica e pericolosa, che ricaccia Trieste nell’angolo da cui deve uscire.
A parte il fatto che Trieste, nell’angolo, è stata cacciata sensibilmente dopo la fine dell’amministrazione alleata e lì mantenuta dal dopoguerra ad oggi, e se prospettive di uscirne si hanno è particolarmente grazie alla caduta delle barriere confinarie con il suo entroterra sloveno e in un futuro non remoto di quelle con l’Istria croata; a parte questo, non occorre molto per intuire il vero motivo di preoccupazione per la lobby giuliana, fiumana e dalmata: se l’euroregione ricostruisse in qualche modo il Litorale, verrebbe meno ogni giustificazione, diversa dal ricordo di eventi ormai lontani, per continuare ad esistere.
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