Fascisti e comunisti. Con il voto del 13 e 14 aprile il Paese ha finalmente chiarito un grosso equivoco che ha “adulterato” la politica italiana dal dopoguerra. Ha ridato senso storico ai due termini, innanzitutto. Come ha osservato Alemanno rispondendo a una domanda di Floris, lui ad esempio, che Rutelli e i suoi, nell’intenzione di una bravata procaccia-voti soprattutto negli ultimi giorni di campagna elettorale, tacciavano di ex-missino com’è vero, non è mai stato fascista in quanto non ha mai avuto – ne poteva averla – la tessera del partito fascista, cosa che non si può dire al contrario per i comunisti. Intesi, dunque, nella loro storicità, i due termini appartengono alla storia e al dibattito storico, non alla realtà attuale della politica e del Parlamento. Perché gli italiani in toto hanno deciso la loro lontananza, anche fisica con l’esclusione da Montecitorio e Palazzo Madama, dalla quotidianità.
Organizzazione statuale. La priorità è il risanamento del Paese e il prodigarsi per affrontare la congiuntura internazionale in maniera utile e positiva per l’economia e la rinascita. L’azione non può posporre l’urgenza dell’introduzione del federalismo fiscale, come pure di una seria riflessione sulla riduzione degli sprechi. E in una tale ottica una delle prime cose da fare è l’eliminazione delle provincie, un vecchiume oggi intermedio tra comune e regione che non ha alcuna utilità se non quella di amplificare poltrone, paracadute e “magna magna” per la politica. Ma proprio nell’ottica dell’eliminazione degli sprechi, nel “tempo libero” si potrebbe ragionare su un nuovo ordinamento statale su base realmente federale che completi il percorso tracciato nella Costituzione con l’istituzione delle regioni. Con un governo federale e una ripartizione adeguata al ruolo delle competenze tra governo federale e governi regionali. In un’ottica simile non avrebbe più senso un’istituzione vetero-monarchica qual è quella della costosa figura attuale del presidente della Repubblica e della sua macchina burocratica. Si vede proprio in questi giorni, in cui uno come Floris ne approfitta per chiamare ancora, giustamente, Ferrero ministro, che, seppure la carta costituzionale non sia ancora stata modificata in tal senso, in tutti si ha la piena convinzione che le elezioni siano state di fatto, per la terza volta consecutiva, una sorta di elezione diretta del capo del governo. L’incarico che Napolitano darà a Berlusconi dopo, volenti o nolenti, inutili consultazioni, non sarà altro che una lungaggine senza senso, fuori dal tempo. Certo bisogna rispettare il dettato costituzionale vigente. Ma la Costituzione può essere modificata. E, dunque, il passo successivo, quello del passaggio ad una repubblica federale che contempli l’elezione diretta del capo del governo federale, e dunque nel caso particolare ratifichi quanto già avviene, non è che una formalità normativa. Accanto a questo ovviamente va considerata la riduzione del numero dei parlamentari e una netta distinzione tra le due Camere: una che contempli il compito di legiferare in materia federale, l’altra che si occupi dei rapporti tra le regioni e tra regioni e governo federale. Ah, per garantire la Costituzione basta e avanza la Corte costituzionale.
Organizzazione statuale. La priorità è il risanamento del Paese e il prodigarsi per affrontare la congiuntura internazionale in maniera utile e positiva per l’economia e la rinascita. L’azione non può posporre l’urgenza dell’introduzione del federalismo fiscale, come pure di una seria riflessione sulla riduzione degli sprechi. E in una tale ottica una delle prime cose da fare è l’eliminazione delle provincie, un vecchiume oggi intermedio tra comune e regione che non ha alcuna utilità se non quella di amplificare poltrone, paracadute e “magna magna” per la politica. Ma proprio nell’ottica dell’eliminazione degli sprechi, nel “tempo libero” si potrebbe ragionare su un nuovo ordinamento statale su base realmente federale che completi il percorso tracciato nella Costituzione con l’istituzione delle regioni. Con un governo federale e una ripartizione adeguata al ruolo delle competenze tra governo federale e governi regionali. In un’ottica simile non avrebbe più senso un’istituzione vetero-monarchica qual è quella della costosa figura attuale del presidente della Repubblica e della sua macchina burocratica. Si vede proprio in questi giorni, in cui uno come Floris ne approfitta per chiamare ancora, giustamente, Ferrero ministro, che, seppure la carta costituzionale non sia ancora stata modificata in tal senso, in tutti si ha la piena convinzione che le elezioni siano state di fatto, per la terza volta consecutiva, una sorta di elezione diretta del capo del governo. L’incarico che Napolitano darà a Berlusconi dopo, volenti o nolenti, inutili consultazioni, non sarà altro che una lungaggine senza senso, fuori dal tempo. Certo bisogna rispettare il dettato costituzionale vigente. Ma la Costituzione può essere modificata. E, dunque, il passo successivo, quello del passaggio ad una repubblica federale che contempli l’elezione diretta del capo del governo federale, e dunque nel caso particolare ratifichi quanto già avviene, non è che una formalità normativa. Accanto a questo ovviamente va considerata la riduzione del numero dei parlamentari e una netta distinzione tra le due Camere: una che contempli il compito di legiferare in materia federale, l’altra che si occupi dei rapporti tra le regioni e tra regioni e governo federale. Ah, per garantire la Costituzione basta e avanza la Corte costituzionale.
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