Il Cio, questa settimana, deciderà se il gioco vale la candela, cioè se ha ancora un senso il percorso previsto per la fiaccola olimpica. E dunque se abbandonare o no l’ipocrisia di un percorso di fratellanza in un mondo dove la mattanza è aperta tutto l’anno e la violazione dei diritti umani una prassi largamente diffusa.
Sun Weide, portavoce del Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Pechino (Bocog) ha detto che “il percorso della fiaccola olimpica proseguirà con il sostegno degli abitanti del mondo intero” e che ”nessuna forza potrà fermare il cammino della fiamma olimpica dei Giochi di Pechino”. Evidentemente, per abitudine alle blindature, non raccoglie la sottile sfumatura di significato di un percorso di guerra per la fiaccola olimpica. Ma anche il responsabile delle comunicazioni del Cio, Kevan Gosper, non vive la realtà credendosi terzo nella questione: "Quando la gente arriva al punto di prendere la torcia, quando cercano di spegnerla, penso che facciano male alla loro stessa causa". Causa che, dunque, se la logica non è un’opinione, non collima per Gosper con lo spirito olimpico.
I giochi nell’antichità erano riservati all’aristocrazia. Il premio simbolico era costituito da un ramoscello intrecciato a formare una corona, con la quale si cingeva il vincitore. La vittoria aveva un enorme valore per l’atleta che veniva trattato da eroe e guadagnava la possibilità di rivestire importanti cariche nella vita sociale. Ma cosa particolarmente significativa, in occasione dei giochi, con la “tregua sacra” erano sospese anche le guerre. Nessuno mai si sarebbe un tempo sognato di usare i giochi dedicati a Zeus per strumentalizzazioni politiche. Ma furono proprio motivi politici a decretare la fine definitiva delle Olimpiadi antiche, stabilita in epoca romana, nel 393 d. c., da un editto dell’imperatore Teodosio, emesso sotto l’influenza del vescovo di Milano Ambrogio, con motivazioni oscurantiste secondo gli storici, in quanto i giochi rappresentavano agli occhi della chiesa di allora riti pagani.
Aristocratico fu il barone Pierre de Coubertin, grande appassionato di sport, che, con la sua perseveranza, ma soprattutto con buona parte dei suoi capitali, riuscì nel 1892 a far risorgere il mito delle Olimpiadi. Ma il Novecento fu il secolo della borghesia e, dunque, l’aristocratico sogno di de Coubertin fu usato più come strumento per fini terra terra che per esaltare ideali; e a conferma il Cio più volte dimostrò che lo spirito olimpico che aleggiava sui giochi era soltanto una favola per i bambini. Basti pensare alle Olimpiadi di Berlino, dove il Cio decise di disputarla ugualmente nonostante le richieste di spostarla altrove dopo l'ascesa al potere di Hitler in Germania. Per il regime di Hitler i giochi furono un’occasione di propaganda nazista. Ad immortalare i giochi suntuosi in uno stadio nuovissimo, capace di accogliere 100 mila spettatori, fu Leni Riefenstahl, la grande regista del Reich. Non tutto però andò bene per il Fuhrer. Gli atleti tedeschi, superiori in quasi tutti gli sport, non riuscirono ad impedire le vittorie del nero Jesse Owens, ben quattro medaglie d’oro, cosa che costrinse Hitler ad evitare le cerimonie di premiazione. Le Olimpiadi di Berlino segnarono anche l’ingresso della televisione nel mondo olimpico, uno strumento tecnologico e di comunicazione che in decenni successivi contribuì ulteriormente alla deviazione dei giochi moderni dai principi del loro creatore.
Il 5 e 6 settembre 1972 un commando palestinese assaltò il villaggio olimpico di Monaco di Baviera con l'obiettivo di prendere in ostaggio gli atleti israeliani per uno scambio con terroristi in carcere. La reazione della polizia al sequestro provocò la morte di 11 israeliani, 2 agenti tedeschi e 4 palestinesi. Nonostante l’eccidio i giochi furono fatti proseguire dal Cio dopo un giorno di sospensione. Infine, per ricordare ancora un caso, l’invasione sovietica dell'Afghanistan fu motivo di boicottaggio da parte di molte nazioni della XXII Olimpiade di Mosca.
Oggi, in tempo di globalizzazione, la plutocrazia internazionale ha affidato la realizzazione dei giochi al capitalismo comunista cinese, che non può più, per motivi mercantili e di dipendenza economica dell’Occidente, essere promosso al rango di un nemico da combattere, anche se la base su cui si fa finta che si regga il civile mondo occidentale, il rispetto dei diritti umani, viene apertamente e spudoratamente violato dalla Cina. Non a caso, nonostante che il rapporto del Dipartimento di Stato USA dica che la Cina non è compresa tra i Paesi che maggiormente violano i diritti umani solo per carenza di dati raccolti, il Governo cinese si mostra sempre meno tollerante alle critiche internazionali arrivando a suggerire all'America di guardare a casa propria in questo ambito.
Resta il fatto – uno dei tanti – che Hu Jia, il trentaquattrenne dissidente cinese che da anni combatte per i diritti umani nel suo paese, sia stato condannato, poco dopo la partenza della fiaccola olimpica da Atene, a 3 anni e mezzo di carcere con l'accusa di diffamazione del Governo e di aver diffuso in Internet materiale anticinese. Hu Jia ultimamente si era anche schierato a favore della libertà d'espressione in Tibet. Arrestato a fine dicembre, aveva già trascorso più di 200 giorni ai domiciliari. In detenzione ha subito estenuanti interrogatori quotidiani della durata di molte ore, fino a rasentare l’equiparazione alla tortura. Sua moglie e la figlia neonata inoltre si trovano agli arresti domiciliari.
Sinceramente, non riesco ad entusiasmarmi dalle condanne verbali che restano solo aria usata per respirare. O di un eventuale boicottaggio che serva solo a darsi una patina di civiltà quando sottobanco si continua a sostenere un regime utile a mantenere un miliardo di persone a livello di consumi bassi per garantire a noi tutti la possibilità di sperperare le ricchezze del pianeta per arricchire smisuratamente chi tiene le leve del potere economico nel mondo. M’illudo solo che il contatto con i ricchi occidentali che in massa pesteranno con le loro scarpe firmate le strade di Pechino possa essere un motivo di riflessione per una popolazione oppressa.
Sun Weide, portavoce del Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Pechino (Bocog) ha detto che “il percorso della fiaccola olimpica proseguirà con il sostegno degli abitanti del mondo intero” e che ”nessuna forza potrà fermare il cammino della fiamma olimpica dei Giochi di Pechino”. Evidentemente, per abitudine alle blindature, non raccoglie la sottile sfumatura di significato di un percorso di guerra per la fiaccola olimpica. Ma anche il responsabile delle comunicazioni del Cio, Kevan Gosper, non vive la realtà credendosi terzo nella questione: "Quando la gente arriva al punto di prendere la torcia, quando cercano di spegnerla, penso che facciano male alla loro stessa causa". Causa che, dunque, se la logica non è un’opinione, non collima per Gosper con lo spirito olimpico.
I giochi nell’antichità erano riservati all’aristocrazia. Il premio simbolico era costituito da un ramoscello intrecciato a formare una corona, con la quale si cingeva il vincitore. La vittoria aveva un enorme valore per l’atleta che veniva trattato da eroe e guadagnava la possibilità di rivestire importanti cariche nella vita sociale. Ma cosa particolarmente significativa, in occasione dei giochi, con la “tregua sacra” erano sospese anche le guerre. Nessuno mai si sarebbe un tempo sognato di usare i giochi dedicati a Zeus per strumentalizzazioni politiche. Ma furono proprio motivi politici a decretare la fine definitiva delle Olimpiadi antiche, stabilita in epoca romana, nel 393 d. c., da un editto dell’imperatore Teodosio, emesso sotto l’influenza del vescovo di Milano Ambrogio, con motivazioni oscurantiste secondo gli storici, in quanto i giochi rappresentavano agli occhi della chiesa di allora riti pagani.
Aristocratico fu il barone Pierre de Coubertin, grande appassionato di sport, che, con la sua perseveranza, ma soprattutto con buona parte dei suoi capitali, riuscì nel 1892 a far risorgere il mito delle Olimpiadi. Ma il Novecento fu il secolo della borghesia e, dunque, l’aristocratico sogno di de Coubertin fu usato più come strumento per fini terra terra che per esaltare ideali; e a conferma il Cio più volte dimostrò che lo spirito olimpico che aleggiava sui giochi era soltanto una favola per i bambini. Basti pensare alle Olimpiadi di Berlino, dove il Cio decise di disputarla ugualmente nonostante le richieste di spostarla altrove dopo l'ascesa al potere di Hitler in Germania. Per il regime di Hitler i giochi furono un’occasione di propaganda nazista. Ad immortalare i giochi suntuosi in uno stadio nuovissimo, capace di accogliere 100 mila spettatori, fu Leni Riefenstahl, la grande regista del Reich. Non tutto però andò bene per il Fuhrer. Gli atleti tedeschi, superiori in quasi tutti gli sport, non riuscirono ad impedire le vittorie del nero Jesse Owens, ben quattro medaglie d’oro, cosa che costrinse Hitler ad evitare le cerimonie di premiazione. Le Olimpiadi di Berlino segnarono anche l’ingresso della televisione nel mondo olimpico, uno strumento tecnologico e di comunicazione che in decenni successivi contribuì ulteriormente alla deviazione dei giochi moderni dai principi del loro creatore.
Il 5 e 6 settembre 1972 un commando palestinese assaltò il villaggio olimpico di Monaco di Baviera con l'obiettivo di prendere in ostaggio gli atleti israeliani per uno scambio con terroristi in carcere. La reazione della polizia al sequestro provocò la morte di 11 israeliani, 2 agenti tedeschi e 4 palestinesi. Nonostante l’eccidio i giochi furono fatti proseguire dal Cio dopo un giorno di sospensione. Infine, per ricordare ancora un caso, l’invasione sovietica dell'Afghanistan fu motivo di boicottaggio da parte di molte nazioni della XXII Olimpiade di Mosca.
Oggi, in tempo di globalizzazione, la plutocrazia internazionale ha affidato la realizzazione dei giochi al capitalismo comunista cinese, che non può più, per motivi mercantili e di dipendenza economica dell’Occidente, essere promosso al rango di un nemico da combattere, anche se la base su cui si fa finta che si regga il civile mondo occidentale, il rispetto dei diritti umani, viene apertamente e spudoratamente violato dalla Cina. Non a caso, nonostante che il rapporto del Dipartimento di Stato USA dica che la Cina non è compresa tra i Paesi che maggiormente violano i diritti umani solo per carenza di dati raccolti, il Governo cinese si mostra sempre meno tollerante alle critiche internazionali arrivando a suggerire all'America di guardare a casa propria in questo ambito.
Resta il fatto – uno dei tanti – che Hu Jia, il trentaquattrenne dissidente cinese che da anni combatte per i diritti umani nel suo paese, sia stato condannato, poco dopo la partenza della fiaccola olimpica da Atene, a 3 anni e mezzo di carcere con l'accusa di diffamazione del Governo e di aver diffuso in Internet materiale anticinese. Hu Jia ultimamente si era anche schierato a favore della libertà d'espressione in Tibet. Arrestato a fine dicembre, aveva già trascorso più di 200 giorni ai domiciliari. In detenzione ha subito estenuanti interrogatori quotidiani della durata di molte ore, fino a rasentare l’equiparazione alla tortura. Sua moglie e la figlia neonata inoltre si trovano agli arresti domiciliari.
Sinceramente, non riesco ad entusiasmarmi dalle condanne verbali che restano solo aria usata per respirare. O di un eventuale boicottaggio che serva solo a darsi una patina di civiltà quando sottobanco si continua a sostenere un regime utile a mantenere un miliardo di persone a livello di consumi bassi per garantire a noi tutti la possibilità di sperperare le ricchezze del pianeta per arricchire smisuratamente chi tiene le leve del potere economico nel mondo. M’illudo solo che il contatto con i ricchi occidentali che in massa pesteranno con le loro scarpe firmate le strade di Pechino possa essere un motivo di riflessione per una popolazione oppressa.
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