mercoledì 30 aprile 2008

Al Senato: cacciate Bassolino

Tra i primi atti dei nuovi senatori c’è stata la presentazione di una mozione (1-00001) sulla questione dei rifiuti nel Napoletano con cui si chiede lo scioglimento del Consiglio regionale della Campania e la rimozione del Presidente Bassolino. I presentatori sono i senatori Paravia, Fasano, Giuliano, De Gregorio, Izzo, De Feo, Sarro, Vetrella, Compagna, Sibilia, Contini, Nespoli, Coronella, Saia. Questo il testo:

Il Senato,
premesso che:
la pessima gestione del ciclo dei rifiuti nella regione Campania ha portato, in data 29 febbraio 2008, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, Marcello Piscopo, a decidere il rinvio a giudizio del suo attuale Presidente, on. Antonio Bassolino, già Commissario straordinario per l'emergenza rifiuti dal 2000 al 2004, e di altre ventisette persone;
la Commissione europea, già il 27 giugno 2007, ha avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia per la crisi cronica dei rifiuti che coinvolgeva Napoli e il resto della regione Campania;
i danni arrecati, direttamente e indirettamente, al sistema economico, anche nazionale, ammontano a vari miliardi di euro;
considerato che:
il deflagrare dell'emergenza relativa allo smaltimento dei rifiuti in Campania ha duramente intaccato l'immagine e la credibilità nazionale;
già nel corso dell'ampio dibattito svoltosi nella seduta antimeridiana di giovedì 17 gennaio 2008, in questo ramo del Parlamento, sulle comunicazioni del Governo sull'emergenza rifiuti in Campania e sulle relative proposte di risoluzione, sono stati più volte sottolineati la gravità della situazione, i danni ed i rischi ad essa connessi per la salute dei cittadini campani, la disgregazione del tessuto sociale e l'invadenza della criminalità organizzata, le conseguenze economiche, specie per il calo di fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento, la compromissione dell'immagine a livello mondiale che sta producendo effetti devastanti sul turismo e sulla commercializzazione dei prodotti tipici regionali;
la situazione attuale frutto di oltre un decennio di omissioni, inadempienze, clientelismo e malaffare degli amministratori regionali, provinciali, locali e di discontinue gestioni commissariali;
le misure emergenziali adottate dal dimissionario Governo Prodi rappresentano una vera e propria dichiarazione di resa di fronte all'ordinaria catastrofe che i cittadini campani sono quotidianamente chiamati a subire da un decennio,
impegna il Governo:
a proporre, ai sensi dell'art. 51 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, lo scioglimento del Consiglio regionale della Campania e la rimozione del Presidente della Giunta, secondo quanto previsto dall'art. 126 della Costituzione.

Riporto il titolo di alcune proposte di legge tra le tantissime presentate dai nuovi senatori. Di queste con prossimi post cercherò di dare un’informazione più completa.
Comincio con la senatrice Poretti Donatella che ha proposto un DDL Costituzionale “Modifica all'articolo 1 della Costituzione” (121); il senatore Comincioli Romano ritiene fondamentale un disegno di legge “Riconoscimento dell'Inno ufficiale della Repubblica italiana” (5), come pure il senatore Grillo Luigi con “Inno della Repubblica italiana” (204).
Attivissimo il presidente emerito Francesco Cossiga, senatore a vita, che vuole autoabolirsi: DDL Costituzionali “Modifica all'articolo 59 della Costituzione, in materia di senatori a vita” (223) e “Abolizione dell'istituto dei senatori a vita e disposizioni relative agli ex Presidenti della Repubblica” (224). Ne elenco altri, tra i molti di Cossiga, significativi per un motivo o per l’altro: DDL Costituzionale “Norme sulla inviolabilità del Presidente della Repubblica” (192); DDL Costituzionale “Attribuzioni del Presidente della Repubblica” (207); DDL Costituzionale “Riconoscimento del diritto di autodeterminazione al Land Sudtyrol - Provincia Autonoma di Bolzano” (218); “Norme sulla cittadinanza dei soggetti appartenenti all'ebraismo” (221); “Soppressione della Direzione investigativa antimafia” (190); “Concessione di amnistia per i reati di spionaggio, di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico, commessi contro lo Stato italiano e gli Stati alleati e associati” (198); DDL Costituzionale “Autorizzazione al Governo della Repubblica di dichiarare decaduto o denunziare l'Accordo bilaterale italo-americano del 20 ottobre 1954” (225); “Norme sulla disciolta struttura italiana dell'organizzazione clandestina nordatlantica di "Stay Behind Nets", nota in Italia con il nome di "Gladio", e sul personale militare e civile volontario in essa inquadrato” (230).
Elenco infine altri di altri firmatari che ritengo almeno nel titolo d’un certo interesse. Innanzitutto il DDL Costituzionale del senatore Dini Lamberto “Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132, e 133 della Costituzione, riguardanti la soppressione delle Province” (194). Poi quello del senatore Vitali Walter “Norme a tutela della memoria dei crimini nazifascisti” (76) e quello del senatore Ramponi Luigi “Interventi in favore dei cittadini italiani avviati ai lavori forzati nei campi di prigionia nazisti” (172). Sempre del senatore Ramponi l’ennesimo intervento per chiudere definitivamente (ma quando?) la questione Stato italiano – esuli: “Disposizioni per la liquidazione definitiva degli indennizzi dovuti a cittadini, enti e imprese italiani per beni, diritti e interessi perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana e all'estero” (150). E chiudo con quello della senatrice Thaler Ausserhofer Helga “Modifica dell'articolo 639 del codice penale in materia di deturpamento e imbrattamento di cose altrui” (98).
Ripeto, quelli elencati sono soltanto una piccola parte e molti di quelli qui taciuti sono ben più importanti in quanto riguardano la sanità, il disagio, i diritti civili. Ne riparlerò in seguito.

Motivi di riflessione

Fascisti e comunisti. Con il voto del 13 e 14 aprile il Paese ha finalmente chiarito un grosso equivoco che ha “adulterato” la politica italiana dal dopoguerra. Ha ridato senso storico ai due termini, innanzitutto. Come ha osservato Alemanno rispondendo a una domanda di Floris, lui ad esempio, che Rutelli e i suoi, nell’intenzione di una bravata procaccia-voti soprattutto negli ultimi giorni di campagna elettorale, tacciavano di ex-missino com’è vero, non è mai stato fascista in quanto non ha mai avuto – ne poteva averla – la tessera del partito fascista, cosa che non si può dire al contrario per i comunisti. Intesi, dunque, nella loro storicità, i due termini appartengono alla storia e al dibattito storico, non alla realtà attuale della politica e del Parlamento. Perché gli italiani in toto hanno deciso la loro lontananza, anche fisica con l’esclusione da Montecitorio e Palazzo Madama, dalla quotidianità.
Organizzazione statuale. La priorità è il risanamento del Paese e il prodigarsi per affrontare la congiuntura internazionale in maniera utile e positiva per l’economia e la rinascita. L’azione non può posporre l’urgenza dell’introduzione del federalismo fiscale, come pure di una seria riflessione sulla riduzione degli sprechi. E in una tale ottica una delle prime cose da fare è l’eliminazione delle provincie, un vecchiume oggi intermedio tra comune e regione che non ha alcuna utilità se non quella di amplificare poltrone, paracadute e “magna magna” per la politica. Ma proprio nell’ottica dell’eliminazione degli sprechi, nel “tempo libero” si potrebbe ragionare su un nuovo ordinamento statale su base realmente federale che completi il percorso tracciato nella Costituzione con l’istituzione delle regioni. Con un governo federale e una ripartizione adeguata al ruolo delle competenze tra governo federale e governi regionali. In un’ottica simile non avrebbe più senso un’istituzione vetero-monarchica qual è quella della costosa figura attuale del presidente della Repubblica e della sua macchina burocratica. Si vede proprio in questi giorni, in cui uno come Floris ne approfitta per chiamare ancora, giustamente, Ferrero ministro, che, seppure la carta costituzionale non sia ancora stata modificata in tal senso, in tutti si ha la piena convinzione che le elezioni siano state di fatto, per la terza volta consecutiva, una sorta di elezione diretta del capo del governo. L’incarico che Napolitano darà a Berlusconi dopo, volenti o nolenti, inutili consultazioni, non sarà altro che una lungaggine senza senso, fuori dal tempo. Certo bisogna rispettare il dettato costituzionale vigente. Ma la Costituzione può essere modificata. E, dunque, il passo successivo, quello del passaggio ad una repubblica federale che contempli l’elezione diretta del capo del governo federale, e dunque nel caso particolare ratifichi quanto già avviene, non è che una formalità normativa. Accanto a questo ovviamente va considerata la riduzione del numero dei parlamentari e una netta distinzione tra le due Camere: una che contempli il compito di legiferare in materia federale, l’altra che si occupi dei rapporti tra le regioni e tra regioni e governo federale. Ah, per garantire la Costituzione basta e avanza la Corte costituzionale.

martedì 29 aprile 2008

S'è capito, Rutelli legge La Padania

La Padania online è ferma al 25 aprile. Tra gli articoli si trova il seguente su Rutelli, cui val la pena di fare eco se non altro perché i mezzucci dei furbetti del loft, tanto per fare qualcosa alla Grillo, vanno divulgati. L'articolo, siglato A.Mon., titola "Pd in piena sindrome da Waterloo" e sotto "E Rutelli gioca la carta del terrorismo padano".
Roma - Francesco Rutelli in questi giorni è probabilmente il più assiduo lettore de La Padania. Ce ne rallegriamo. Dispiace, tuttavia, che il nostro umile giornale gli serva per costruire il programma politico per la sua amatissima Roma. Sì, perché il candidato del Pd un po’ lo consulta per mettere a fuoco i temi che davvero stanno a cuore ai cittadini e un po’ lo usa come ba-bau per spaventare i romani con l’incubo dell’Attila padano in procinto di calare in massa nei palazzi del potere. Rutelli è a tal punto ossessionato dal Carroccio da brandire a favore di telecamera, e per ben due volte, l’infame fogliaccio verde nel faccia a faccia televisivo con Gianni Alemanno. La prima volta, Rutelli sguaina la Padania per mostrare, con affettata indignazione, il logo che campeggia sulla pagina delle lettere. «Guardate - dice -, c’è il Colosseo in fiamme trafitto da una spada!». Cari romani, sottintende Rutelli, ecco quel chi vi attende: «E ce ne stiamo già rendendo conto con Alitalia. Il loro solo obiettivo è togliere qualcosa a Roma: ministeri, posti di lavoro...». Il ritiro di Air France, infatti, non si deve, per l’exsindaco-exVerde-exRadicale, al rifiuto dei sindacati e della Confindustria all’impresentabile piano industriale preparato da Spinetta, ma al timore dei francesi di operare in un Paese governato da Bossi il barbaro.
Ed ecco che dal taschino esce un altro numero de la Padania. «Tu dici che la Lega sparacchia ma non fa danni - afferma rivolto ad Alemanno -, e allora guarda cosa scrive il giornale di Bossi: La Lega vince, Air France vola via». Rutelli omette di precisare che quel titolo non si riferiva all’addio definitivo dei francesi, ma che invece risaliva al 3 aprile, ossia al giorno in cui Spinetta, dopo aver visionato la controproposta sindacale, decise di alzarsi dal tavolo delle trattative per tornare a Parigi a chieder lumi al Cda.
Insomma, in piena crisi d’ispirazione politica, il candidato del Pd ha deciso di ripiegare su una campagna elettorale di stampo terroristico, con Bossi, figuratevi un po’, nei panni del Bin Laden.
Ma dal momento che è ancora ministro e vicepremier del Governo di tutti gli italiani, Rutelli ci deve una risposta: perché mai, mentre si strappa i capelli per i disoccupati “virtuali” di Fiumicino, non ha una sola parola di solidarietà per i 900 realissimi dipendenti di Sea finiti in cassaintegrazione?
Perché la verità, alla fine della fiera, è questa: c’è già chi sta pagando i danni della vicenda Alitalia e questo qualcuno, finora, è il Nord, non certo Roma. E allora, caro Rutelli, chi è il lobbista? chi è il fazioso? Chi è l’Attila?
Ma che fine fa Rutelli, il vicepremier e ministro dei Beni Culturali? Il giorno dopo la sconfitta per la corsa alla carica di sindaco di Roma, Francesco Rutelli è diventa formalmente senatore. L'esponente del Pd questa mattina è arrivato a Palazzo Madama e ottemperato come tutti alle pratiche burocratiche in Senato. Miracolato.

Il martello della stampa estera

La carta stampata degli interessi forti ama diffondere pareri e impressioni della stampa internazionale che pubblica pareri utili, pesantemente (si pensa per la presunta declamata autorevolezza), a rafforzare o ad inquadrare gli eventi secondo la falsariga prefigurata o auspicata dagli interessi stessi. Il voto di Roma di ieri non ne esente. Così ecco ciò che le agenzie degli interessi forti oggi rilanciavano.
Alle 9.51 un lancio riportava gridi di dolore tratti dalla stampa israeliana sottolineando che i due giornali israeliani più diffusi riferiscono con toni allarmati dell'elezione di Gianni Alemanno alla carica di sindaco di Roma: “Un fascista in testa”, titola Yediot Ahronot, che ha scelto una immagine di Alemanno mentre saluta i sostenitori con un braccio teso. Maariv, da parte sua, scrive che “La destra ha riconquistato la capitale italiana” e accompagna il servizio con due immagini: quella di Alemanno circondato dai sostenitori e quella di Benito Mussolini.
Il New York Times – si informa usandolo con non molto successo – parla della vittoria di Gianni Alemanno scrivendo che “Roma elegge il suo primo sindaco di destra dalla Seconda Guerra Mondiale. Il risultato rappresenta una doppia sconfitta per il sindaco uscente di Roma, Walter Veltroni, che ha lasciato la guida della città per diventare il leader del nuovo Partito democratico, che ha perso le elezioni politiche del 13 e 14 aprile”.
Ma per contro si riporta il giudizio dell’Independent che attacca Alemanno: “I demoni dell'estrema destra rialzano la testa”. Il commento è tratto da un editoriale che così presentato sembra essere scritto in un Centro sociale nostrano: “In circostanze normali, 15 anni di governo di un singolo partito in una grande città europea sarebbero più che sufficienti, ma in una democrazia c'è sempre l'imbarazzante domanda se l'alternativa sia migliore. E a Roma l'alternativa offerta era considerevolmente peggiore".

Walter santo subito

Una splendida serata romana, quella di ieri, per Roma innanzitutto, ma anche per l’Italia tutta. La conclusione degna di uno strano derby, tra vecchio-vecchio e vecchio-nuovo, che ha celebrato il crollo finale di un sistema di potere nazionale e romano che ha provato a consolidarsi dopo tangentopoli contando da una parte sul residuo “controllo sociale” di sindacati subalterni e puntando dall’altra sulla nuova alleanza con gli interessi forti.
I primi ad intuire l’evento epocale sono stati dopo le 17 i tassisti romani con un carosello di giubilo di fronte al comitato per Gianni Alemanno sindaco. Decine di auto pubbliche hanno transitato per via Salandra sventolando bandiere del Pdl e suonando clacson, hanno subito battuto le agenzie. Manca una quindicina di minuti alle 18, quando dalle finestre del comitato del candidato sindaco di Roma del Pdl i suoi sostenitori cantano in coro “Alemanno sindaco di Roma, Alemanno sindaco di Roma”. Alemanno saluta la folla assiepata all'esterno della sede di via Salandra, dove è ormai festa per l'arrivo dei dati degli scrutini.
Non sono ancora le 18, Storace esterna: “Nonostante il fango e la violenza verbale gettati negli ultimi giorni da Rutelli, l'estrema sinistra e soprattutto i romani lo hanno lasciato solo”. Una constatazione che segna lo iato profondo a sinistra dopo l’operazione cannibalista di Veltroni alle politiche. E Fini: “A Roma una pagina storica per An, la vittoria più bella per il centrodestra”. Ma anche una pagina che segna il definitivo declino di una concezione dell’elettorato fondata su ideologismi morti e sepolti con la prima repubblica. L’antifascismo rimane un valore, ma la lezione dura, uscita dalle urne sulla pelle di Rutelli, è che non può più essere usato a sproposito.
Le 18. Domenico Gramazio annuncia che Gianni Alemanno festeggerà la vittoria alle 19.30 a Piazza del Campidoglio e invita i militanti a portare bandiere tricolori. Francesco Rutelli giunge alla sede del suo comitato elettorale. Il suo staff lo accoglie con un battimani, nonostante la sconfitta elettorale che a quattro quinti dello scrutinio si profila con sicurezza. Rutelli non trova di meglio che esordire con "Non applaudite". Più o meno negli stessi minuti Gianni Alemanno nel suo comitato elettorale dichiara: "Questa lunga battaglia si è conclusa con la nostra vittoria. I veleni sono dietro le spalle, la mia intenzione è di essere il sindaco di tutti i romani. Ringrazio chi mi ha votato e chi no. Non ha vinto una parte ma ha vinto Roma. Dedico questa vittoria a Tony Augello e a Fini. È un risultato che va al di là degli schieramenti tradizionali e che apre una fase nuova che archivia almeno gli ultimi venti anni di contrapposizioni".
Si comincia a fare i conti. Alemanno avrebbe preso quasi 100mila voti in più di Rutelli, con una perdita di Rutelli di circa ottantamila rispetto a due settimane fa. Una catastrofe elettorale enorme. Rutelli chiama Alemanno per telefono. “Gli ho fatto gli auguri” dice, poi commenta il voto: “Grande amarezza ma ho fatto il mio dovere. So che abbiamo tante energie e ho fiducia che il centrosinistra saprà guardare al futuro”. Ed ecco quasi in contemporanea la beffa: il candidato del centrosinistra Nicola Zingaretti, secondo i dati comunicati dal Viminale, è il nuovo presidente della Provincia di Roma con il 51,515% dei voti. Fini intanto ringrazia i tassisti: “Siete stati bravissimi”.
Un quarto d’ora alle 19, più o meno. Rutelli se ne fa una ragione: “Motivo della sconfitta è dipeso dalla ventata di destra riassunto nel tema della sicurezza. Ci sono state molte strumentalizzazioni anche pesanti ma bisogna riflettere sui limiti della sinistra" per quanto riguarda "queste vicende". E ringrazia quanti lo hanno votato. Se Di Pietro esterna: “Ora ricominciamo dalla opposizione dura e pura dell'Italia dei valori”. Mamma che paura! Bocche cucite invece al Loft di piazza Sant'Anastasia, sede del quartier generale del Pd. Nessuno vuole commentare il risultato elettorale. Il segretario del Pd è riunito con alcuni pesi massimi, per dire, del partito tra cui Beppe Fioroni, Dario Franceschini. Mentre hanno lasciato da pochi minuti la nave, pardon, il Loft, Piero Fassino, Antonello Soro e Gianclaudio Bressa. Si apprende che la prima cosa che Gianni Alemanno farà da sindaco sarà di andare a trovare il vedovo della signora Reggiani, uccisa da un romeno alla stazione Tor di Quinto.
Ore 19. Rutelli: “Nella mia vita pubblica ho avuto molte soddisfazioni e successi. Oggi una sconfitta e una amarezza grandi”. Veltroni: “Quella di Roma, dove in Comune si è affermata la destra, è una sconfitta molto grave, molto pesante, che io non posso non sentire con particolare acutezza e amarezza personale e politica. Voglio ringraziare Francesco Rutelli per il suo lavoro generoso e per il suo impegno e amore per la città”. La continuità Veltrelli non ha funzionato, per niente. Ed ancora il grillesco Topo Gigio: “La sconfitta di Roma richiederà fin dalle prossime ore una analisi seria e approfondita a cui tutti parteciperemo ragionando anche sulla differenza tra i dati politici e quelli amministrativi della capitale”. Con tutto quanto ciò può significare. Ma intanto si ribadisce (Veltroni): “Credo che nell'insuccesso al Comune abbia pesato anche il vento politico che spira nel Paese, in particolare sul tema della sicurezza”.
Manca poco alle 19,30. Isabella Rauti, moglie di Alemanno, commenta: “È veramente un risultato straordinario, che va al di sopra delle aspettative di vittoria”. Si fa sentire anche Berlusconi in volo per Roma: “Sono l'uomo più felice d'Italia. Nessun Paese democratico in Europa ha nove punti di vantaggio. Ed ora Roma... È una vittoria bellissima, per noi tutti è una grande rivincita”. Intanto ci sono già alcune centinaia di persone in piazza del Campidoglio per la festa per il neosindaco Gianni Alemanno. Una bandiera tricolore sulla statua di Marc'Aurelio, tante le bandiere italiane, di An, del Pdl e slogan “È rabbia - È amore - È Roma tricolore”. E cori: “Roma libera, Roma libera” e ancora “Veltroni dacce le chiavi”, “Alemanno sindaco de Roma”, “Chi non salta comunista è”. Gianni Alemanno, parlando con i giornalisti ancora nel suo comitato elettorale: “Il mio primo provvedimento da sindaco sarà convocare il comitato provinciale per l'ordine pubblico e la sicurezza”.
Le 20: Alemanno entra in Campidoglio, accolto da cori e slogan di sostenitori e militanti sotto i riflettori delle telecamere. È terminato lo spoglio per il sindaco di Roma: Gianni Alemanno viene eletto sindaco col 53,7%, contro il 46,3 di Francesco Rutelli. Breve discorso davanti ai suoi sostenitori in festa. Massiccia accanto a lui la presenza dei tassisti, con un enorme striscione della Rappresentanza dei tassisti che ha come leader Loreno Bittarelli. E affacciato dal balcone del comune capitolino sventolando una bandiera tricolore: “Oggi abbiamo compiuto un vero miracolo politico. Non è la vittoria contro qualcuno ma è una vittoria per Roma e questa vittoria la voglio dedicare a una persona che per tanto tempo è stata all'opposizione, Tony Augello". Si stappa una bottiglia di spumante per festeggiare l’elezione mentre cori che cantano l'inno d'Italia continuano a diffondersi per tutta la piazza. E si invia un telegramma al Papa: “Nel momento in cui vengo eletto sindaco di Roma dal suffragio degli elettori rivolgo il mio deferente saluto a Lei, Santità, Vescovo di questa città, assicurando piena collaborazione con la comunità cattolica per il bene di tutti i cittadini romani”.
I primi commenti sono di Calderoli: “Sono veramente felice per Gianni. Ho lavorato molto in passato con lui e posso dire che è instancabile, non molla mai l'osso, usa sempre la testa. È una grande giornata per tutti”, e della Mussolini: “Quella di Gianni Alemanno è una vittoria straordinaria, più importante dal punto di vista politico e sociale che la vittoria delle nazionali”. E Intanto i cori e gli slogan si sprecano: “Rutelli, Rutelli, la senti questa voce: vaffa...”, “Rutelli in bicicletta, Rutelli in carrozzella”, “Rutelli in Romania”.
Si fa sentire anche il presidente Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che, rientrato oggi da Israele, così commenta l'elezione a sindaco della capitale di Gianni Alemanno, con il quale nelle due settimane passate c'erano stati scambi di battute sull'eventuale apparentamento con la Destra di Storace: “Ho parlato con Alemanno e gli ho fatto gli auguri: da parte sua ho avuto rassicurazioni che sui temi cari alla Comunità Ebraica manterrà quanto detto in campagna elettorale e che, anzi, avremo delle piacevoli sorprese”.
E mentre Alemanno informa “Ho sentito Berlusconi al telefono. Mi ha abbracciato fraternamente, mi ha fatto le congratulazioni e mi ha detto di essere contento quasi quanto me”, il Comitato di gestione nazionale del Prc esterna: “Nonostante l'impegno di tutta la sinistra a fianco di Rutelli, per la prima volta nella storia della Repubblica a Roma viene eletto un sindaco di estrema destra. Tutte le forze democratiche sono chiamate a riflettere per comprendere cosa si è rotto nel corpo e nei sentimenti più profondi della città. Veltroni e il Pd avviino una riflessione di fondo sul fallimento politico generale di una strategia che ha favorito lo sfondamento della destra nelle istituzioni e nella società”.
Ancora Alemanno: “Sono molto sereno, non ho sentimenti di revanscismo. Ci tengo a dire che sarò il sindaco di tutti i romani e che tutto ciò fatto dalle amministrazioni precedenti sarà da me salvaguardato, non ho intenzione di cancellare quanto di buono è stato fatto. Un unico gruppo di potere ha gestito la città per 15 anni. Abbiamo sentito la voglia di cambiamento e noi l'abbiamo intercettata. Abbiamo intercettato anche elettori del centrosinistra e, dunque, questa è una vittoria molto più ampia”. Negli stessi minuti le agenzie raccontano una nota di colore: i cittadini che si avviano lungo la scalinata che porta alla piazza del Campidoglio vengono accolti da uno striscione realizzato dai sostenitori di Gianni Alemanno, “Veltroni: con le primarie ha fatto cadere il governo Prodi. Con le elezioni politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento. Candidando Rutelli ha perso Roma. Walter santo subito!”.
Sono le 22. Di Pietro puntualizza la sua idea: “Più che una sconfitta del centrosinistra è una vittoria della destra, lo dico con senso di rispetto verso gli elettori romani”. E Berlusconi (dicono che abbia detto): “Walter Veltroni ha mancato anche l'ultima promessa, non gliene è andata bene una a questo poveraccio”. E la Binetti si consola: “È sicuro che la presenza di Francesco Rutelli all'interno del Pd in questo momento darà un contributo più completo, con una dedizione ovviamente più generosa, suddivisa e distribuita su vari fronti. Non potrà che essere una grande risorsa per il Pd". Contenta lei…
Ore 22.37. Una standing ovation dei deputati del Pdl riuniti da Silvio Berlusconi accompagna l'ingresso di Gianni Alemanno, neosindaco della capitale al Teatro Capranica di Roma. “Il veltronismo è caduto come un castello di carta” dice Alemanno. “Non esisterà più quel contraltare costante fra il presidente del Consiglio e il sindaco”. Vi sarà invece “una piena sintonia. Per Roma e l'Italia inizia una nuova splendida stagione”. E Berlusconi: “A Roma abbiamo ottenuto un risultato fantastico. Gli italiani hanno capito che siamo meglio della sinistra anche nelle realtà locali. È una giornata importante. Possiamo lavorare bene, Roma torna ad avere il ruolo di capitale, più pulita, più sicura. Il governo era già forte, ora possiamo consolidare il rapporto con la capitale. La promessa è stata mantenuta, ora Rutelli può tornare ad andare in motorino e Veltroni può andare in Africa”.

Loft: la festa non è qui

In sintesi. Velprodi colpito e affondato. Fallito il nuovo tentativo d’inFinocchiaro l’Italia. L’ultimo prodi portiere, Rutelli, a baluardo della porta (Pia) superato con un tiro loftato da una splendida palombelli di Alemanno. A parte scherzi e giochi di parole, una catastrofe.
L’impressione è che la botta sia stata veramente forte perché ha dimostrato che i cattodiesse sono semplicemente autoreferenziali e credono che il Paese debba sempre e comunque seguirli perché, loro, sono “verità” e “amore”. Ed è, dunque, per essi assolutamente impossibile soltanto immaginare che il Paese abbia autonomia di pensiero e di giudizio e possa cestinare categorie e schemi obsoleti. Ciò che esce sconfitto primariamente dal voto di Roma, ad esempio, è stato il becero richiamo di Rutelli ai vecchi schemi dell’antifascismo veterocomunista per riallineare le truppe arcobaleno dietro la sua sgangherata armata brancaleone, pensando gli alleati talmente fessi da continuare a sostenerlo anche dopo un palese oltraggio alla loro esistenza effettuato da Veltroni e soci per non perdere catastroficamente alle politiche.
Ma soprattutto dall’intero quadro esce sconfitta la casta cattodiessina, la vera e sola casta superstite allo sfacelo della prima repubblica, che da tangentopoli in avanti si è fatta strumento degli interessi forti per raggiungere il potere. E, diciamolo, non sarà un caso che già ieri in video i manovratori dei giornali forti, gli abili maghi di Oz della carta stampata, abbiano cercato di rimediare minimizzando l’incidente di percorso e mettendo zeppe per rinsaldare la leadership del “loro” partito per frenare un disgregamento di cui nonostante tutto si intravvedono le prime profonde crepe.
La verità è una sola; per dirla con Grillo, Testa d’asfalto ha asfaltato topo Gigio. Ma il dato più chiaro è che il Paese ha mostrato la propria propensione, proprio per il tipo di risultato registrato, ad una nuova stagione, una stagione che liquidi la fittizia unità politica centralista, ereditata dal colonialismo sabaudo, in una organizzazione più agile macroregionale federale in linea con la prospettiva di un’unione politica europea. E proprio il rifiuto del Pd a ritornare alla forma federativa che era propria, come si ricorderà, del Pci, mostra una volta di più l’incapacità delle sue “mummie”, non a caso autocollocatesi nel “loft”, cioè letteralmente in soffitta, di comprendere il vero nuovo, che non è il “vuovo” (vecchio-nuovo) di Velprodi.

lunedì 28 aprile 2008

Veltroni bocciato due volte

Alle 17:09 le agenzie annunciavano che i municipi rossi avevano abbandonato Rutelli. A un primo esame del voto nei singoli municipi aveva subito colpito non tanto il dato sfavorevole a Rutelli nei municipi più moderati, che era previsto, quanto il risultato molto negativo, vero e proprio tracollo, nei municipi di sinistra della Capitale. Zone, dicevano le agenzie, come il V, il VI, il VII, il IX, il X e l'XI, dove Rutelli doveva e prevedeva di vincere con ampio margine, non solo non segnavano nessun distacco in favore del candidato del centrosinistra, ma addirittura in alcuni casi “Er cipria” era incredibilmente sotto Alemanno.
Alla fine un distacco netto che alle 18.40 era di 7,2 punti percentuali. Un tonfo epocale. Di Rutelli, di Veltroni, del Pd e della sua politica.
Oggi Veltroni, durante l'incontro con i neoeletti del Pd in Parlamento, aveva detto che oltre al “governo ombra” il Pd tenterà di attivare anche una “informazione ombra” per far fronte al monopolio dell'informazione da parte del governo. Mi sa, ma è solo una battuta, che lo stesso Pd stia diventando un’ombra. Ma ha anche detto: “È venuto il tempo che una generazione nuova possa assumere ruoli di responsabilità in tutte le dimensioni del partito. La necessità di favorire l'ingresso nella struttura del partito federale di energie e forze nuove è sentita da tutti”. Dopo due disfatte così incredibilmente madornali e ampie, Veltroni dovrebbe trarre dalle sue stesse parole le conclusioni. Andarsene. Lui e Rutelli.

Il rilancio di Malpensa al decollo

Ho già detto dell’accordo tra Sea e Lufthansa per Malpensa. Nessun interesse invece della compagnia tedesca per Alitalia. “Non c'è nessun interesse di una qualche attività nei confronti di Alitalia”, ha detto il suo portavoce precisando che “il brand [marchio commerciale] è interessante e il mercato è molto interessante”, ma “da parte nostra non c'è nessun interesse e abbiamo deciso per ora di non fare offerte per Alitalia”.
Le agenzie hanno riportato anche il commento del sindaco di Milano, Letizia Moratti: “Sea dimostra con i fatti di poter trovare partners di grande livello. Resta l'amarezza per quanto ha fatto il Governo Prodi che, accettando le condizioni capestro imposte da Air France, si apprestava a svendere l'intero sistema del trasporto aereo italiano. Il mio prossimo obiettivo sarà quello di impegnare il Governo nella liberalizzazione degli accordi bilaterali, per consentire a Sea di sviluppare le nuove alleanze con vettori internazionali potendo disporre dei diritti di traffico necessari a servire il grande mercato del Nord Italia”.

Il costo delle trombature

Le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia hanno rappresentato un terremoto nel Consiglio regionale. Metà degli eletti della nona legislatura esce di scena: trenta consiglieri su sessanta, nove dei quali non si erano ricandidati.
Mensilmente del compenso di ogni consigliere regionale viene trattenuta una cifra che va ad alimentare l’indennità di reinserimento che rappresenta una sorta di liquidazione. La cifra equivale ad un’indennità media all’anno per gli anni della carica, un’indennità media che nell’ultimo mandato oscillava tra 10 e 11 mila euro lordi.
Per un mandato la possibile buonuscita è di circa 50 mila euro lordi (46 mila netti). Ad esempio, Cristiano Degano, Sergio Dressi, Adriano Ritossa, Alessandra Guerra, Isidoro Gottardo (che va in Parlamento), con tre mandati riceveranno 150 mila euro lordi. Tra i consiglieri uscenti, Alessandro Carmi e Maria Cristina Carloni, sono stati in Consiglio solo due anni; ad essi andranno circa 25 mila euro.
Le norme sono naturalmente norme, ma anche il più sprovveduto tra i comuni cittadini forse comincia a capire perché in piazza in tutta Italia con Grillo c’erano 2 milioni di persone anche se “l’informazione di regime non lo dice”.

Accordo con Lufthansa per Malpensa

Già Air One, alla fine di marzo, aveva annunciato nuove rotte aeree nazionali e internazionali dall’aeroporto di Malpensa, che sono quasi tutte già operative, o lo saranno entro l'inizio dell'estate. Oggi è stata annunciata una partnership strategica tra Lufthansa e Sea che hanno firmato una lettera d'intesa per la definizione delle condizioni generali del futuro sviluppo dell'aeroporto di Malpensa.
La Sea ha spiegato che “in un primo tempo saranno per questo posizionati sei nuovi aeromobili dall'inizio del 2009 presso l'aeroporto di Milano Malpensa. Gli aerei saranno operati dalla controllata italiana di Lufthansa, Air Dolomiti, e saranno impiegati su tratte europee. La compagnia tedesca sviluppa così il proprio network di collegamenti da Milano e si appresta ad offrire ai propri passeggeri un numero considerevolmente maggiore di destinazioni europee”. Secondo Bonomi “la partnership costituirà tra l'altro uno degli elementi fondanti” del prossimo Piano Industriale della Sea.
È arrivato anche il commento di Bossi che ha detto: “Questa è la dimostrazione che i miei uomini lavorano sempre e anche che Malpensa, come ho sempre detto, è in grado di attirare operatori. Diciamo che questa è la prima risposta del nuovo governo”.
L’accordo attutisce il danno causato dalle scelte della triplice Prodi-Veltroni-Rutelli indirizzate a soddisfare gli interessi forti romani e, se si vuole aggiungere, mostra una volta di più che il legame territoriale del Nord in termini di prospettive, interessi convergenti e sviluppo economico è con le regioni al di là delle Alpi.

Trieste capitale dell'Alto Adriatico

Riprendo dall’articolo di ieri “Una Regione oltre i confini” di Roberto Morelli da Il Piccolo online di Trieste un brano significativo incentrato sulla questione dell’Euroregione.
Scrive Morelli: «… il fatto che Tondo intenda riservarsi la delega agli affari internazionali, assumendo anche il ruolo chiave da "ministro degli Esteri" del Friuli Venezia Giulia, lascia presumere la volontà di gestire in prima persona almeno due partite strategiche: l'Euroregione (o comunque la si vorrà chiamare) e l'inserimento del Friuli Venezia Giulia nel contesto economico internazionale, che significa poi ulteriore slancio a ricerca, innovazione e conoscenza. Sarebbe infatti veramente delittuoso se due temi chiave per lo sviluppo della regione e di Trieste venissero a inaridirsi per il solo fatto d'essere stati coltivati da presidente e coalizione avversa, nel quinquennio precedente come pure in campagna elettorale. Tanto più che alla semina aveva provveduto lo stesso Tondo nel mandato precedente a quello di Illy, sviluppando la collaborazione nel contesto dell'Iniziativa centroeuropea (allora si chiamava così) e promuovendo una legge sull'innovazione che poi lo stesso Illy ha rafforzato. Non è questione di nomi, ma di sostanza. Uno spazio internazionale che connetta più Regioni fino alla nascita di un'istituzione pluri-statuale leggera, persino impalpabile nella struttura (bastano un ufficio, una sede, cinque nomi e cognomi) ma fattiva e concreta nell'attività di "cucitura" dei servizi territoriali, è nell'interesse nostro e di tutte le comunità che vivono attorno a noi. Se fino a oggi solo Veneto e Carinzia hanno aderito al disegno, va fatto ogni sforzo inclusivo verso la Slovenia e almeno la regione litoraneo-montana della Croazia, promuovendo nel contempo un lotto di opportunità percepibili dal cittadino: la possibilità di cura ovunque e per tutti con la stessa tessera sanitaria, un'offerta turistica congiunta, un sistema dei trasporti integrato, la gestione comune dell'energia. Per i due presidenti regionali Renzo Tondo e Giancarlo Galan, forti dello stesso colore del governo, sarà più facile spiegare al futuro ministro Frattini la valenza geo-politica del progetto, che va al di là della cornice giuridica da ritagliargli attorno. E per Trieste sarà un'occasione tangibile di realizzazione di un ruolo effettivo e riconosciuto da capitale dell'Alto Adriatico, con il quale ci balocchiamo dal tempo che fu senza aver quagliato un risultato che sia uno.»

"La fadiga d'un mortal" di Adolfo Leghissa

“La fadiga d’un mortal” di Adolfo Leghissa, poema in terza rima in lingua triestina, fu pubblicato dalla Casa Editritrice G. Mayländer a Trieste nel 1911. Il libro era arricchito da illustrazioni di Ugo Flumiani. Qui ne riporto la parte introduttiva.
Adolfo Leghissa (Trieste 1895, ivi 1957) come racconta nella sua autobiografia “Un triestino alla ventura” (ed. priv., Trieste 1950) esercitò i più disparati mestieri. Attivo nello spettacolo partecipò nei primi anni Venti in più edizioni dei Concorsi per canzonette vernacole riportandone successi ed in seguito divenne di tali manifestazioni brillante animatore. Ricordo delle sue opere “Trieste che passa (1884-1914)” (ed. priv., Trieste 1955), libro di aneddoti e curiosità storiche, il poemetto “El teatro” (Tip. Bernardis, Trieste 1906) e il libro di poesie “L’anima de Trieste a casa e fora” (Treves-Zanichelli, Trieste 1926).

A chi legi!

Come in autuno, seche, ingrizulide
vien zo le foie, sora de ste carte
zerte idee me casca, mal vestide.

Voria, letor mio caro, aver quel’arte
de vestirle con lusso de colori
che possi almeno l’ocio a contentarte.

Ma za te savarà che in mezo ai fiori,
voler o no, vien su l’erba spinosa
che fa de intrigo e no la manda odori:

Le xe in sostanza la medema cosa!
Pianta che cressi su vaneza incolta
no dà nè fruto bon nè bela rosa.

Ma ti usa pazienza anca sta volta
se, intonando sto vecio mio strumento,
la libertà d’un canto me son ciolta.

Zerto che no pretendo in sto momento
de far ‘na gran svolada nel Parnaso
dove l’oro contorna l’argomento;

Perché te digo, e no sta farghe caso,
co vado carezzar la musa mia
no so che in sto dialeto darghe ‘l baso.

Con questo mandarò la fantasia
un poco a dismisiar zerti argomenti
che anca veci no li buto via.

Con sto dialeto che nei gran momenti
– fato alto linguaggio – ne travasa
da un cor a l’altro i cari sentimenti;

Lui, che de’ pici ne carezza e basa,
e se ‘ndemo lontan fra strana gente
sempre ‘l ne parla de la nostra casa.

Lu ne disi del tempo più fiorente,
quando nel cor se impizza la fiamela
de quel piazer che sbussola la mente.

Con lu se canta nel’età più bela,
con lu ‘l vecieto sfiorizar se inzegna,
con lu ricorda ‘l baso la putela.

E no farò, mi credo, parte indegna
se de cantar me movi un poco l’estro
in sto dialeto, fin che vivi e regna

Quel ideal che me sarà maestro.

"Il canto delle attese" di Tonino Valentini

Ha scritto Arnaldo Colasanti nella presentazione del libro di Tonino Valentini “Il canto delle attese” (Quaderni dello Scettro, 1994): «Tonino Valentini è un mondo chiuso, ferroso, composto in un avvitamento che batte le parole, oscure ed eleganti. I suoi versi però non hanno sporgenze. Nessun espressionismo; nemmeno un attimo di cedimento allo strazio. (…) Il canto delle attese è un libro difficile, complesso, fatto di curve, di righe, di strade che spesso dilatano e si perdono per sempre. Forse alla base di tutto c’è anche il raccapriccio per la vita degli uomini; o un’improvvisa emozione (per il poeta profonde e continue “collisioni”) rispetto alle verità, all’odore pastoso e candido delle illusioni, come delle promesse di ogni essere. (…) Se l’eversione in letteratura è soprattutto l’ossequio della vita ad una ferma richiesta di giustificazione, allora i versi di Tonino Valentini sono e restano poesia eversiva: l’«onore delicato degli ignari», «l’ira totale dei ciechi colpitori d’istinto», la parola che dilegua e perdura, sorvegliata dalle mura terribili della realtà.»
Tonino Valentini, già collaboratore per le pagine culturali del quotidiano “La Repubblica”, redattore del periodico letterario “Veriscolori”, ha pubblicato nelle principali riviste italiane ed è presente in antologie.

Per Che Guevara

Ed intorno nei margini sfuggiti
alle corsie progettuali, nelle schiume
laterali del flusso molto scempio
indecoroso ai piani, calpestio
delle olivastre minoranze e griglie
sul limbo triste dei seminterrati.
Occorre all’andamento l’alto acume
dei proclami efferati stilizzanti
la punta del regime, l’elegante
violenza sul dissenso che raggruma
livore ai nuclei e intese y seguiremos
adelante a la luz
, alla bandiera
opposta ai saldi dèmoni dell’oro,
salvata dalla luce del sorriso,
corta y derecha espada de los niños,
tambièn de las mujeres,

corta e diritta e acuta ai vostri varchi.

Trincee del pomeriggio

Noi dovremmo forzare la penombra
dei giunchi nei salotti coloniali,
noi sapremmo, studiata la cadenza
delle squadre di luce che pattugliano
i ripiani, passare fra le schiere
stupite dei gingilli,
mentre le alte credenze custodiscono
le riserve mai usate, comandate
dai bricchi tronfi nella greca aurea.
E giunti ai corridoi, alla catena
dei possibili varchi noi riavremo
le tecniche istintive, lo spessore
sapido repentino dei programmi.
Questo pensiamo ai tempi meridiani,
nei caposaldi dell’ignavia,
sedimentando strategie, involuti
nel lenzuolo di lino,
con al fianco la moglie madre, l’alito
della poca libidine, il fermaglio
d’osso, le natiche allestite
dalle censure dello scacco.
E scorre il vento delle antiche sedi,
le proprietà sapienti giunte al culmine,
vi imbarcheremo il sonno, demandati
agli specchi venati attentamente,
trascritti nelle patine pazienti,
nella tutela del rumore pratico
che circuisce il futuro.

domenica 27 aprile 2008

25 Aprile il gran rifiuto

La ricorrenza del XXV Aprile ha segnato nel Lodigiano un fatto curioso che merita due righe d’evidenziazione. Mentre a Milano si lamentava la non presenza del sindaco Moratti, forse rammaricandosi per il giocattolo che così veniva rotto – la non possibilità di sfogare le frustrazioni d’un post voto catastrofico contro una donna simbolo dello schieramento vincitore – a Codogno accadeva l’esatto contrario. Qui il sindaco Dossena c’era a sfilare per le vie accanto alla presidente Anpi Viviana Stroher, ma non c’era la sinistra radicale che ha fatto il gran rifiuto a presenziare proprio per la presenza del sindaco. A Codogno, insomma, l’anniversario della Liberazione si prospettava ben diverso da quella sorta di “cosa nostra” che tanto piace agli assenti, le forze più radicali di sinistra, Rifondazione Comunista in primis, e così è stato, anzi scrive il quotidiano “Il Cittadino”: “Ciò nonostante, la manifestazione del 25 Aprile a Codogno quest’anno è parsa, per assurdo, più calata dentro la città. Merito anche del programma predisposto dalla sezione cittadina dell’Associazione partigiani che, al posto dei tradizionali comizi in piazza, ha dato spazio ai giovani, con la lettura sotto la Loggia di piazza XX Settembre di poesie liberamente tratte dalla raccolta del partigiano codognese Franco Galluzzi”.
Così il sindaco: “Nessuno ha voluto escludere nessuno e, del resto, la scelta dell’Aventino non ha mai pagato. Personalmente ritengo sia giusto dividere i fatti dai principi. E valori come quelli di libertà, democrazia e giustizia sociale sono da sempre valori condivisi dal sottoscritto. Non sarà facile ma, con buona volontà e spirito costruttivo, l’obiettivo di un 25 Aprile condiviso potrà essere raggiunto”.
Forse la sinistra codognese ha preferito recarsi qualche chilometro più in là, a Casalpusterlengo, dove il vicepresidente provinciale lodigiano e presidente della sezione casalese “Aldo Mirotti” dell’Anpi, Francesco Cattaneo, nella centrale piazza del Popolo gridava: “La Resistenza non può dirsi conclusa se ancora oggi c’è chi dichiara apertamente di voler revisionare i libri di storia oppure di essere «fascista» e al tempo stesso si candida o siede in parlamento”, ciò che tutti gli sconfitti dal voto popolare insomma si erano preparati dovunque a dire.
Vale come conclusione il commento del segretario cittadino di Casale della Lega Nord Giovanni Bruschi che ha visto nelle urla di dolore del Cattaneo “una politicizzazione dell’evento decisamente non necessaria”: “Sono proprio questo tipo di interventi che allontano le persone da questi momenti celebrativi che assumono connotazioni solo di un certo tipo e colore politico”. Ci sono, insomma, vari modi oggi di essere “fascisti”.

"Al limite del paese fertile" di Renzo Favaron

Renzo Favaron (Cavarzere, 1959) ha pubblicato lo scorso anno, dopo una prima raccolta in lingua, due raccolte in dialetto veneto e due romanzi brevi, la silloge “Al limite del paese fertile”, da cui è tratta la poesia seguente, per i tipi di Book Editore (Isbn 978-88-7232-577-3), nella collana di poesia “Fuoricasa”.




Sagra di fine stagione

I

Dura pochi giorni. Affrettati.
Hai aspettato, ma adesso
si liquida tutto. Di sogno,
maledizione o bene, cos’è rimasto?
A volte si alza un grido
dal baccanale:
“Solo le bugie sono veritiere”.

Hai aspettato, ma invecchia
anche ciò che non ha familiarità
di corpo umano, camicie,
scarpe, pellicce mai provate
a dispetto di chi non può liberarsene
senza pensare a un eventuale danno:
è l’edificio del tempo che invecchia,
soggetto a un’usura precoce,
degradato a ogni principio di stagione
o quando non si ha che per i nuovi arrivi
un attimo a disposizione
e langue glissato nella giacenza
il belletto che appena un mese fa
assaporavi ancora…

II

Precípitati, ogni cosa è accessibile,
corri, se per te non c’è migliore
festa che passare il tempo.
Tutto è già stato liquidato
o messo all’incanto,
la biblioteca,
i mobili divorati dai tarli,
il guardaroba – la casa
dove nessuna ombra cammina.
Ma rallegrati, chiudi il gas.
Continuamente, intorno al giardino
comunale, in cima a un glicine fiorito,
lo spazio aperto imbocca
rondoni vagabondi. Tu li guardi
e ora sai che è questa la tua strada.
Va’, dunque. Getta gli strumenti
e i viveri. Lo slittamento della valle
riavvicinerà la riva che si separa nel mattino,
questa zattera che non è sprofondata…

Risanamento e una nuova Italia

Sembra possibile oggi l’idea, che si può trarre dal risultato elettorale di una decina e passa di giorni fa, che il governo Berlusconi possa rappresentare, proprio per il tipo di consenso esteso a tutto lo Stivale, il ponte verso una nuova Italia organizzata secondo una struttura federale. Se il Cavaliere riuscirà nella prima fase del suo mandato a dare una sterzata sulla via del risanamento del Paese e della riduzione del debito pubblico, nonché dello sviluppo delle due aree Nord e Sud con decisioni tese a favorire la soddisfazione delle necessità primarie in termini di infrastrutture e crescita economica, si potranno porre basi reali per un nuovo assetto statuale federalista. Perché gli squilibri e l’assistenzialismo alimentati nei sessant’anni di repubblica dalle forze politiche dominanti della prima repubblica e dal centrosinistra successivamente sono stati la palla al piede d’una sorta di colonialismo ex sabaudo che ha bloccato al Sud la crescita di una concezione diversa improntata a creare condizioni di sviluppo del territorio, fondate sulle proprie risorse intellettuali ed economiche.
Mentre in queste ore si stanno decidendo i nomi dei membri del futuro governo cercando da quanto si legge forse alchimie per non “scontentare nessuno”, Berlusconi dovrebbe cercare gli uomini, indipendentemente a quale tra le forze politiche del Popolo della libertà oppure alla Lega appartengano, capaci di farsi bandiera del nuovo possibile.
Che il futuro dell’Italia sia una sua organizzazione federale che favorisca al massimo l’assetto pensato di una futura Europa delle Regioni è ormai pensiero che sta prendendo sempre più piede. E lo si nota da prese di posizione sempre più manifeste, particolarmente negli scorsi giorni, a difesa dell’obsoleto da parte di quelle forze politiche, lobbies ed istituzioni che sul centralismo statuale hanno posto le loro passate fortune.
Solo il federalismo può "salvare" l'Italia ed il voto espresso dalle sue genti dimostra che la via è finalmente percorribile.

sabato 26 aprile 2008

"Poesie estreme" di Lina Fritschi

Ha scritto Lina Fritschi nella prefazione al suo “Poesie estreme. 1998-1999” (Edizioni dell’Erba, 2000 – Isbn 88-86888-33-3): “Ho riunito in questa raccolta le mie ultime poesie, quelle che un vecchio poeta militante da cinquant’anni non ha potuto respingere. Essa, la poesia, mi ha assillata e tormentata, ha insistito. E io l’ho tradotta in parole. Non so se coloro che mi leggeranno mi riconosceranno e mi capiranno. Io forse mi sono soltanto liberata da una ossessione, da un prepotente richiamo”. Lina Fritschi, nata a Pinerolo da genitori svizzeri, si avvicinò alla poesia dopo la morte del marito, ufficiale dell’aeronautica militare, deceduto per incidente di volo. Al suo attivo parecchie raccolte di poesia che hanno avuto importanti riconoscimenti. Dal libro riprendo tre poesie che hanno risvolti attuali di questi giorni.

Roma

Ho della città soltanto un amaro
ricordo, l’ultimo giorno di guerra.
Bombardarono Frascati, e i caccia
italiani e tedeschi insieme,
si alzarono a contrastare. Fra quelli
mio marito, e tutti dopo un whisky
e una sigaretta. Quando stravolti
ritornarono, gli italiani furono
addossati al muro, e udirono
la voce del comandante tedesco:
“Cinque minuti di tempo. Fuggite!
Un generale ha parlato da un trono
abbandonato, ha detto nemici
gli amici di ieri. Ma voi siete eroi,
fuggite, non prendo eroi prigionieri”.
L’attenti, uno scatto, il salto
sulle biciclette. E verso Roma
andarono gli eroi, a testa china
in cerca di rifugio.


A Ugo, mio compagno di scuola

Chi ricorda la decima M.A.S.?
Io so di bombe sotto l’acqua
cavalcate da giovani marinai
contro lo scafo della nave
nemica. A quanti metri di distanza
abbandonavano la groppa
bruciante, e tornavano a galla,
già lontani, mentre la nave
nemica nel boato gorgogliando
si inabissava? Io ricordo
la decima M.A.S. e il mio compagno di scuola.
Non tornò a casa, e invano
la madre lo attese. Lo uccisero a settembre,
un settembre mai raccontato.
Dicono gli spararono alle spalle
in un bosco di montagna, al confine.
Il suo corpo non ritrovato,
fu forse gettato nel mare
da quelle rocce alte, lassù.


Mio padre, mia madre

Che cosa, se non l’amore, li spinse
all’incontro? Lui dai fiumi tedeschi,
che vanno dal nord al sud e poi
ancora al nord rombanti fra le rocce.
Lei, estratta a forza, pallida ancora
dal collegio. Lei ritrosa fu spinta
nel grande letto immacolato.
Egli parlava soltanto tedesco,
e lei un mite italiano, preciso.
Ma andarono insieme fino alla morte,
forse cercando sempre
l’uno e l’altra lo sconosciuto.

Chiusura della stagione di concerti al Rossetti

Gran finale, lunedì 28 aprile al Politeama Rossetti, per la stagione della Società dei Concerti di Trieste che festeggia la conclusione del suo 76° cartellone musicale con il concerto del violoncellista Mario Brunello in duo con il pianista Andrea Lucchesini. La serata prevede l’esecuzione di partiture di Janacek (Pohadka), di Brahms (Sonata in fa maggiore Op. 99), di Schumann (Adagio e Allegro) e di Rachmaninov (Sonata in sol min op 19 per pf e cello). Mario Brunello ha vinto nel 1986 il concorso internazionale Čajkovskij, primo europeo nella storia del premio. Da allora suona il suo Maggini del XVII secolo, appartenuto a Franco Rossi, con le più grandi orchestre, nelle sedi più importanti del mondo e con direttori prestigiosi. Con uguale passione coltiva la musica da camera, collaborando con solisti come Andrea Lucchesini, Yuri Bashmet, Gidon Kremer, il Quartetto Alban Berg e Giovanni Sollima. Brunello è anche uno sperimentatore: ha collaborato e collabora con musicisti jazz, attori, scrittori. Nel 1994 ha fondato l'Orchestra d'Archi Italiana ed è stato nominato Accademico di Santa Cecilia, più giovane tra tutti. [Fonte Adnkronos]

Quattromila alla Risiera

Quattromila persone hanno visitato ieri, nell'anniversario della Liberazione, la Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista in Italia. Il complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso, costruito nel rione di San Sabba nel 1913, fu usato dopo l’8 settembre 1943 come campo provvisorio di prigionia per i militari italiani catturati, ma già alla fine di ottobre di quell’anno era stato strutturato come campo di detenzione di polizia, destinato allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia ed alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Le vittime della Risiera sono stimate tra le tremila e le cinquemila, ma ben più numerosi i prigionieri passati da lì per essere smistati nei lager o al lavoro obbligatorio. Nella Risiera furono eliminati triestini, friulani, istriani sloveni e croati, militari, ebrei e tra essi alcuni dei più significativi esponenti della Resistenza e dell’Antifascismo. Al processo per i crimini della Risiera di San Sabba il banco degli imputati è rimasto vuoto: parecchi di essi erano stati giustiziati dai partigiani, altri deceduti per cause naturali. Il comandante della Risiera, Joseph Oberhauser, condannato all’ergastolo, è rimasto a vendere birra a Monaco fino alla sua morte a 65 anni il 22 novembre 1979.

venerdì 25 aprile 2008

Chi c'era, chi era meglio che non ci fosse

Chi c’era e chi era meglio che non ci fosse. Premesso che di alcuni, come il sindaco di Milano Moratti o il presidente della Regione Lombardia Formigoni, l’assenza da giorni era stata annunciata, l’elenco alla rinfusa, che segue, è fatto raccogliendo le informazioni dalle agenzie.
Meglio che non ci fossero le scritte contro Confindustria, una delle tante “Libertà per i compagni, morte alla Confindustria”, apparse sui muri dell'arcivescovado, nei pressi di piazza Duomo a Milano, dopo il corteo del 25 aprile, che ha visto la partecipazione d i giovani di diversi centri sociali di Milano e altre città italiane.
Non c’era Roberto Maroni di cui si riporta il virgolettato: “È una giornata molto impegnativa che sto passando a tagliare il prato”. Meglio che non ci fosse la bordata di fischi, che ha soverchiato gli applausi, e qualche "buuu" che hanno accolto l'arcivescovo di Genova cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, al suo arrivo al Palazzo Ducale di Genova per la celebrazione della ricorrenza.
Meglio che non ci fosse una nota di Rosy Bindi, in cui ha detto: "Anche Grillo contribuisce all'opera di rimozione e inquinamento culturale del 25 aprile, come parte della destra, con le sortite di Dell'Utri e Ciarrapico e l'indifferenza della Moratti e Berlusconi che non sentono il dovere di partecipare alle celebrazioni. Anche il suo [quello di Grillo] è un modo di continuare a dividere il Paese". Lo unisce lei e il suo partito ovviamente. Ma meglio che non ci fosse pure quest’ultimo mio commento.
Era meglio che non ci fossero le affermazioni di Anna Finocchiaro: “È avvilente che in una giornata importante come questa Berlusconi non trovi di meglio che ricevere Ciarrapico. Un gesto irriverente nei confronti della memoria e della storia del nostro Paese. Oggi si celebra il giorno del riscatto dell'Italia dalla barbarie”. E non sono barbarie anche simili esternazioni?
Era meglio che non ci fossero le svastiche e i volantini con croci celtiche, che definiscono il 25 aprile “Giornata di lutto nazionale”, con cui nella notte, a Lodi, sono stati imbrattati diversi punti della città. Era meglio che non ci fossero i commenti di Vendola e Ferrero sulla Moratti. Sempre facile prendersela con le donne. Il primo: “Lo spartito lo aveva scritto Dell'Utri e gli attuali direttori d'orchestra evidentemente si sottraggono a un calendario imbarazzante, perché il 25 aprile è lo spartiacque della storia della libertà. Da tanti lati si vede un enstabilishment che tenta di depotenziare il valore simbolico del 25 aprile”, non immaginando neppure di contribuire così a svuotarne ulteriormente il significato originale. Il secondo almeno sembra si sia limitato a un “L'assenza della Moratti è gravissima”, visto che altro non è stato riportato.
C’era l’avversione di qualche giornalista a riportare correttamente i virgolettati di Berlusconi, nel senso che in qualche caso errori materiali stravolgono la storia più del demonizzato revisionismo (ad es. su Repubblica: 15:18 Berlusconi: “Purtroppo a 25 aprile seguì guerra civile”). Berlusconi c’era con il suo commento: per lui il XXV Aprile “indica il ritorno alla democrazie a alla libertà”. “Credo che ci siano le condizioni storiche e politiche perché questo 25 aprile rappresenti un salto di qualità verso la definitiva pacificazione nazionale, non per cancellare la memoria, le ragioni e i torti, ma perché chi ha combattuto per la Patria sia considerato figlio di questa nazione”. “Capire le ragioni dei ragazzi di Salò, come hanno sostenuto in passato anche diversi esponenti della sinistra, e saldare il debito contratto con gli esuli istriano-dalmati è la strada giusta”, la quale non “può in qualche modo ledere l'orgoglio di chi combatté per la libertà contro la tirannia. Non c'è revisione storica che possa cambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti che posero le basi per la libertà delle generazioni”. Al XXV Aprile “purtroppo seguì la guerra civile, l'occupazione da parte dei tedeschi, che creò un segno di sangue nella memoria italiana. Generò un odio tra vincitori e vinti che segnò la coscienza del Paese. Ormai tutto questo è storia e adesso è tempo di dare al 25 aprile un senso italiano popolare e nazionale, un senso di libertà e di pace”.
C’era Veltroni, ma era meglio che le sue parole non ci fossero: "Mi dicono che Berlusconi ha ricevuto Ciarrapico, che non ha mai preso le distanze dal ventennio fascista, a Palazzo Grazioli, nel momento in cui gli italiani festeggiano il 25 aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo. È un segnale politico che segna profondamente la distanza tra un gesto di questo genere e tutti gli italiani che festeggiano una grande festa di libertà. Spero che per molti elettori significhi qualcosa. Un atto di spregio nei confronti della democrazia". Cui non sono tardate le repliche di Bonaiuti e Cicchitto: “Dall'alto di quale pulpito Veltroni impartisce lezioni di democrazia al presidente Berlusconi che ha ricevuto almeno 30 persone in una mattinata di lavoro intenso? La polemica di Veltroni nei confronti di un senatore democraticamente eletto, la stessa persona ricevuta con tutti gli onori dal coordinatore Goffredo Bettini alla prima assise del Pd, è meschina e volgare. Veltroni è un uomo stordito dalla sconfitta, senza argomenti e qualità, che tenta di replicare una polemica elettorale di basso livello già fallita in precedenza”.
C’era, naturalmente come s’è detto, in piazza San Carlo a Torino Beppe Grillo, che forse unico nel Paese ha fatto un atto consono allo spirito della ricorrenza: raccogliere le firme per i tre referendum, l'abolizione dell'ordine dei giornalisti, della legge Gasparri e del finaziamento pubblico all'editoria.
E c’era “Er cipria” con l’occhio al confronto con Alemanno: “È la festa di chi ha capito che c'era una parte giusta in quei giorni del 1945, quella celebrata oggi dal Presidente della Repubblica con le onorificenze alle vittime delle atrocità naziste e a tutti quelli che ci hanno consentito oggi di percorrere liberi queste strade. Se avessero prevalso gli altri, oggi non ci sarebbe la democrazia”, tanto per allontanare dopo il primo babau che di lui ha fatto nel 2001 un sol boccone, l’altro che potrebbe per la seconda volta portargli via una sedia.
C’era per fortuna Bonanni: “La cosa migliore è sottolineare i valori della Resistenza e la cultura della tolleranza e dell'unità. La Resistenza è stata costruita attraverso il valore dell'unità per la libertà: non c'è libertà né democrazia senza unità”.
C’era “Bella Ciao” nonostante i divieti del sindaco Marco Tedde di Alghero, c’era il no-global Caruso che non si smentisce mai: “Dopo l'assoluzione, abbiamo un motivo in più per scendere tutti in piazza a Roma per ricordare la Liberazione di allora e organizzare la Resistenza di oggi, perché ci lascino cospirare e sovvertire in santa pace contro questo stato di cose presenti”. Il casino per il casino, insomma, la nuova parola d’ordine. E a Terni c’era qualche deficiente evidentemente analfabeta, che era meglio che non c’era, il quale, senza scritta alcuna, s’e deliziato a imbrattare la scorsa notte con bombolette spray il monumento ai caduti in piazza Briccialdi.
C’era Gianni Alemanno, a Palidoro per ricordare il vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D'Acquisto: “Bisogna smetterla di fare del 25 aprile una festa di parte. Questa deve essere la festa di tutto il popolo italiano che si è liberato da tutti i totalitarismi. Deve essere la festa non di una parte ma di tutta la nazione”.
C’era a Milano l’Anpi, ma non poteva non esserci: “Il sindaco deve sapere che con la sua assenza non può cancellare i nostri valori”. Che carisma incredibile ha questa donna, una sorta quasi di irraggiungibile “oggetto” di desiderio. E c’era Francesco Storace nel suo blog: “Il mio 25 aprile è iniziato con una bellissima telefonata di Giampaolo Pansa. Revisionismo, credo, non significa negazionismo, ma necessità di rileggere la storia attraverso una meticolosa opera di ricerca. E Pansa, che certo non è un uomo di destra, continua a farlo con onestà e rispetto della verità. Al contrario di chi trasforma il 25 aprile in un festa di parte e rinuncia a lavorare per la pacificazione nazionale”.
E ci sono stati applausi scroscianti per il capo dello Stato Giorgio Napolitano, tiepidi per il premier Romano Prodi. Forse perché tutti si erano dimenticati che ancora per qualche giorno è il capo del governo, dopo che Veltroni lo aveva nascosto nella soffitta [se c’è una soffitta] del loft.
E ancora val la pena di ricordare Parisi e di nuovo Cicchitto. Così il primo: “Il rilassamento morale può divenire una malattia delle coscienze. Un virus che ci fa ripiegare su noi stessi riducendo talvolta la politica a una lotta di parte nella quale è difficile riconoscere la preoccupazione per la convivenza comune”; così il secondo: “Oggi ci sono due tipi di celebrazioni della Resistenza: quella di chi, senza odio di parte, la rievoca come data storica del ritorno della libertà e quella di chi, invece, la usa per demonizzare l'avversario politico di oggi. Noi non vogliamo avere nulla a che fare con il secondo tipo di manifestazione”.
A Trieste c’era la celebrazione alla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista in Italia con forno crematorio. Un ricordo degli ebrei, degli sloveni, croati, italiani, triestini e istriani sterminati là dai nazisti e dai collaborazionisti fascisti.

giovedì 24 aprile 2008

XXV Aprile e revanscismo

Domani c'è chi nelle terre al confine orientale vivrà il XXV Aprile all'insegna del revanscismo anticomunista e antislavo

Se in precedenti post ho, per così dire, esternato le impressioni di possibili, quando non probabili, strumentalizzazioni, domani, della ricorrenza della Liberazione, non posso tacere su un’altra strumentalizzazione, questa volta, con finalità diverse, di rafforzamento di un revanscismo ottuso, sterile e obsoleto nelle terre al confine orientale, le cui barriere peraltro sono state abbattute di recente con l’entrata della Slovenia nella Ue, e di espressione di un fanatismo visceralmente anticomunista e antislavo che continua ancora a manifestarsi e a trovare megafoni. A strumentalizzare in questo caso è di scena l’Anvgd di Gorizia che ha diffuso un comunicato firmato dal suo presidente Rodolfo Ziberna titolato nella newsletter nazionale “Il 25/4 non è festa nella Venezia Giulia”.
Recita il testo: «Il 25 aprile, festività nazionale per ricordare la liberazione dal fascismo e dal nazismo, nemmeno in ambito nazionale viene vissuta come un vero e proprio anniversario che accomuna tutti gli italiani. Nella Venezia Giulia, addirittura, la ritirata dei nazisti ha coinciso non con una liberazione bensì con una brutale occupazione delle truppe comuniste del maresciallo Tito.
Che la volontà non fosse quella di liberare Gorizia dalle truppe naziste ma di annettere alla Jugoslavia tutta quella che Tito chiamava Slavia Veneta, ovvero il Friuli Venezia Giulia sino al Tagliamento, era evidente e dichiarata. Se non fossero entrate le truppe titine, infatti, sarebbero entrate quelle neozelandesi, che invece furono rallentate dai titini proprio per poter vantare diritti di occupazione.
Per snazionalizzare rapidamente Gorizia e per soffocare sul nascere ogni tentativo di ribellione dal 2 maggio iniziò il rastrellamento di tutti coloro che potevano rappresentare un pericolo per le aspirazioni annessionistiche. Tra questi la burocrazia goriziana e chi aveva manifestato con eccessivo entusiasmo la propria italianità.
Oltre 650 goriziani pagarono con la deportazione – avvenute dopo il 25 aprile! – e la vita il loro amore per Gorizia e l'Italia.
Questo rappresenta per i goriziani l'entrata dei titini a Gorizia, altro che liberazione dal giogo nazista o fascista! Questo è per i goriziani il 25 aprile!
Rispettiamo i sentimenti di tutti coloro che, in diversa misura, hanno subito torti o violenze dai regimi. In primo luogo la comunità ebraica, che ha pagato duramente con milioni di vittime la ferocia dell'uomo sull'uomo. Ma anche la comunità slovena che ha subito la snazionalizzazione in questa area di confine, anche con atti di violenza e soprusi.
Rispettiamo tutti coloro che individuano nel 25 aprile la festa della liberazione, ma parimenti va rispettato chi continua – come noi – ad associare il 25 aprile non già ad una liberazione, bensì alla brutale occupazione slavo-comunista, che rappresenta, per tempi e modalità con cui è avvenuta, la pagina più nera della storia della nostra città: consumata a guerra finita e come vittime inermi degli innocenti.»


Domani nelle piazze

La Resistenza e la Liberazione si prestano a strumentalizzazioni. Da sempre, dal dopoguerra ad oggi. Innanzitutto spacciando la resistenza partigiana come un fatto interessante tutto lo stivale, quando essa fu lotta armata contro l'esercito d'occupazione tedesco e contro il regime di Benito Mussolini concretato dalla Repubblica di Salò.
In un certo senso essa fu il frutto dell’antifascismo degli anni Trenta che si concretizzò negli scioperi che paralizzarono le fabbriche del Nord tra l'aprile e il marzo del 1943 e che ebbero tra i principali organizzatori gruppi di comunisti che diffondevano le ragioni dell'antifascismo. Ma la Resistenza armata al nazifascismo si organizzò solo dopo l'armistizio dell'8 settembre, quando dalle fila dell'esercito lasciato allo sbando uscirono i primi gruppi di volontari combattenti, reclutati dalle nascenti formazioni partigiane.
Il movimento partigiano si sviluppò sostanzialmente nell’Italia del Nord e, in parte, nell’Italia centrale. I raggruppamenti più numerosi furono quelli organizzati dai comunisti nelle Brigate Garibaldi; gli uomini del Partito d'azione formarono le brigate di Giustizia e Libertà, i socialisti le Matteotti. Operarono anche altre formazioni di diversa impronta ideologica: da quella cattolica, a quella liberale, a quella nazionalista e a quella monarchica. Praticamente assente fu la Resistenza nell’Italia meridionale, che peraltro già al 12 ottobre 1943 era stata occupata dalle forze angloamericane fino alla linea Gustav, fronte difensivo tedesco che tagliava la penisola dalle foci del Volturno, sul Tirreno, fino a Termoli, sul litorale Adriatico. Roma, dichiarata “città aperta”, fu presidiata dalle forze tedesche dal settembre 1943 fino al maggio 1944, quando il generale Kesselring ordinò la ritirata di fronte all'avanzata degli Alleati che si concluse con la liberazione della città il 4 giugno 1944. Nel periodo dell'occupazione, Roma fu un centro di attività di guerriglia antitedesca: la più clamorosa azione fu l'attentato di via Rasella del 23 marzo 1944 a una colonna tedesca, che portò alla rappresaglia dell'eccidio delle Fosse Ardeatine in cui perirono 335 ostaggi.
I partigiani del Nord operarono prevalentemente nelle montagne e nelle campagne, ma la loro azione si saldò anche agli imponenti scioperi operai che nel marzo del 1944 paralizzarono le maggiori città industriali (Torino, Milano, Genova). Nelle fabbriche e nelle città, soprattutto per opera dei militanti comunisti clandestini, si organizzarono nuclei partigiani, i Gap, Gruppi d'azione patriottica, formati ciascuno da tre o quattro militanti, che svolgevano operazioni di sabotaggio, atti di guerriglia e opera di propaganda politica.
Sfruttare nel dopoguerra l’esistenza di un movimento partigiano di liberazione fu la mossa di De Gasperi per limitare i danni della sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale e per distinguere il nostro stato dall’alleato germanico in modo da ottenere un diverso trattamento. Diverso trattamento che permise in particolare di “salvare” i nostri criminali di guerra in Africa, in Slovenia e nei Balcani da un giusto processo.
Un altro modo di strumentalizzare il movimento di liberazione è quello di continuare a far credere che ancora oggi esista una divisione tra “buoni” e “cattivi” nel nostro orizzonte politico italiano. Al tempo del defunto Pci ciò era usato non solo per demonizzare i missini di Almirante ma addirittura la gran parte della Democrazia Cristiana, cui nonostante tutto va dato il merito di aver garantito l’esistenza, anche in anni difficili, della democrazia in Italia. Oggi gli eredi del Pci, siano essi i neo extraparlamentari che i militanti del Pd, che si sono trovati la porta di palazzo Chigi sbattuta in faccia dal voto popolare, si sentono in “dovere” di continuare la tradizione demonizzando l’antagonista di turno.
Così domani in molte piazze si sentiranno obsoleti discorsi ed appelli a cacciare “l’occupante” quel potere che in una sorta di “viaggio” collettivo continuano a ritenere esclusivamente proprio, in quanto così recita il postulato della “loro” democrazia. E ancora una volta la Resistenza non sarà una pagina della Storia da celebrare ma un randello da usare per dividere animi e coscienze, fregandosene degli ideali e dell’insegnamento di quanti allora sacrificarono la vita per un’Italia migliore.

Paranoie da sconfitta elettorale

Domani ricorrerà l’anniversario del XXV Aprile. Mi dilungherò sulla questione legandola all’ambito nazionale in un prossimo post. Qui mi limito al locale, che senza voler troppo generalizzare mi fa comunque ritenere che sarà un leitmotiv annunciato un po’ dovunque.
PD Demonews è un “fotocopiato” – una volta si diceva “ciclostilato – periodico del Pd di Brembio. Nel n. 4 “Speciale 25 Aprile 2008” si pubblica un editoriale firmato dal sindaco Giuseppe Sozzi che sembra routine in vista dell’occasione, ma bada ben bada ben così non è. Tanto è che mi son permesso il lusso di buttare un po’ del mio tempo per farne l’esegesi, non solo a beneficio degli elettori di Brembio, ma di quanti vogliano comprendere nelle sfumature cosa rappresenti oggi il contenitore di Veltroni.
Cominciamo subito con i primi tre periodi dell’editoriale:

«Il 25 Aprile mi dà occasione per ricordare alla nostra Comunità l’importanza di celebrare questa ricorrenza, soprattutto in un anno particolare: quest’anno celebriamo infatti il sessantesimo anniversario della Nostra Costituzione che del 25 Aprile è figlia diretta. Siamo reduci da un voto che democraticamente ha sancito che per i prossimi cinque anni i problemi dell’Italia saranno affrontati dalla coalizione politica guidata da Silvio Berlusconi. Questa semplice osservazione è possibile perché nel 1945 la Germania Nazista e l’Italia Fascista furono sconfitte in una sanguinosissima guerra nella quale avevano volutamente trascinato non solo l’Italia e la Germania ma l’intero pianeta.»

Detta così lascia intendere questo significato: il voto che a portato a vincere Berlusconi, un governo che sarà esiziale per il Paese, è stato possibile solo grazie al fatto che in Italia dal 1945 c’è la democrazia. Cioè la democrazia è tale buona cosa che permette anche a chi – si lascia capire con la costruzione del discorso – allo sconfitto regime fascista è vicino, di vincere le elezioni. Ma proprio per ciò quel bene conquistato nel lontano 1945 oggi è in pericolo:

«Celebrare il 25 Aprile significa quindi ricordare a tutti noi, soprattutto ai più giovani, che la possibilità di vivere in un Paese dove si svolgono libere elezioni per scegliere i propri rappresentanti ai quali si affida la soluzione dei problemi di tutti i giorni non è scontata.»

Così continua, dunque, il testo. Cosa significa? Significa che la vittoria del Popolo della libertà, della Lega e del Movimento di Lombardo “potrebbe” cancellare quella democrazia che nel 2006 ha portato al governo del Paese il disastro Prodi e un domani i suoi eredi. Si dà spazio insomma al sospetto che il Berlusca sia un Mussolini in pectore e che tra le sue preoccupazioni di governo vi possa essere l’instaurazione della dittatura. Nel suo piccolo il piccolo sindaco di Brembio è fedele alla direttiva di Veltroni rappresentata da quella sua iniqua e spregevole lettera in cui si chiedeva al Cavaliere di garantire la sua lealtà repubblicana. Ed i timori di non poter più governare un domani neppure i piccoli luoghi si lasciano esplicitare col proprio esempio personale:

«Durante il famoso Ventennio del resto anche nei piccoli paesi come Brembio non si potevano scegliere i propri rappresentanti: i Sindaci erano stati aboliti ed il Comune veniva gestito dal Podestà, figura scelta dal Partito Unico, cioè dal Partito Fascista; anche se il Podestà non avesse avuto il consenso dei cittadini, questi non potevano mandarlo via.»

E si rincara la dose della assurda tesi paranoica dell’incertezza del sopravvivere della democrazia, oggi dopo che l’eroe Veltroni avvolto nel tricolore è stato sconfitto dal Cavaliere nero e dai Lanzichenecchi leghisti:

«Vedete, celebrare il 25 Aprile e ricordare queste semplici cose non significa voler far prevalere con arroganza una verità storica su un’altra; significa più semplicemente prendere atto di quello che è accaduto per capire perché oggi è importante e mai scontato ricordare che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro nella quale il popolo sceglie i propri rappresentanti con libere elezioni.»

Ciò che sconcerta, leggendo le parole del sindaco di un piccolo comune, com’è Brembio, è la reale convinzione di un possibile pericolo per la democrazia proveniente da un voto popolare che ha interessato in ugual misura tutto lo Stivale, portando per la terza volta al governo Berlusconi. Lo spettro del golpe da sempre agitato è una sorta di malattia psicologica d’un infantilismo politico che viene da lontano. Invece di chiedersi il perché la gente abbia votato altri nonostante i militanti si siano prodigati “in banchetti, volantinaggi porta-a-porta, riunioni e stesura” del giornalino – come si legge altrove nello stesso periodico – portando Pdl e Lega ad un solo voto al Senato e 20 alla Camera dallo strapotere “rosso” che domina a Brembio grazie alla democrazia dal 1970, si cerca di demonizzare ciò che non si capisce. Perché si è vecchi, vecchi nelle categorie con cui si rappresenta il mondo che non aspetta, che ha tempi ben più rapidi di mutamento.

«Ai nostri giovani, che amano esprimere liberamente le proprie opinioni, che si arrabbiano giustamente quando pensano che qualcuno li privi delle loro libertà di fare quello che gli è più caro, chiedo il 25 Aprile di pensare per qualche minuto a come sarebbe oggi la loro vita se tanti anni fa avessero vinto Mussolini ed Hitler anziché gli Americani ed i Partigiani, come raccontato in un bellissimo libro di fantascienza (La Svastica sul sole di F. Dick).»

Ci si butta nella fantascienza politica perché la politica di oggi pare fantascienza: la vita è un romanzo perché solo in un romanzo di un autore che ama i paradossi si può giustificare il risultato che ha bocciato Veltroni e il suo “Si può fare”, preferendogli un orwelliano grande fratello in nuce.

«Avere memoria di un periodo storico determinante per la nostra idea di democrazia, civiltà, modernità, giustizia, libertà è quanto di più formativo possiamo insegnare loro.»

Vero, peccato che di ciò ci si ricordi in genere solo il 25 Aprile seguente a sconfitte elettorali.

«Buon 25 Aprile a tutti voi, anche a quelli che ancora si ostinano a non volerlo festeggiare ma che da allora ne beneficiano vivendo in un paese libero e democratico.»

E che tale con assoluta certezza continuerà ad essere a dispetto delle tante cassandre “pro domo mea”.

mercoledì 23 aprile 2008

Prove di "degna" accoglienza

Non c’è Genova col suo G8. In assenza di un’occasione così ghiotta come quella d’allora, ci si arrabatta come si può per preparare una “degna” accoglienza al nuovo governo del Cavaliere che ancora non c’è.
Ci sono le elezioni romane che travalicano l’interesse locale, perché la capitale è ancora la capitale del Paese. E, dunque, la grancassa dei giornali dei poteri forti nazionali che dal 2006 appoggiano senza più pudore alcuno Prodi e discendenti politici va alla grande strombazzando ogni minimo motivo di sberleffo pur di lasciare al lettore un retrogusto di discredito della compagine scelta a grande maggioranza dagli italiani il 13 e 14 aprile.
Così oggi apprendiamo che il comitato del candidato sindaco di Roma in competizione con “Er cipria” tenterebbe di raccogliere voti per il ballottaggio con telefonate sconcertanti: “Signora, non ha paura di essere violentata?”. E ancora, il Comandante Provinciale dei carabinieri, Colonnello Vittorio Tomasone, violando la normativa militare, avrebbe consentito a Gianni Alemanno di svolgere campagna elettorale all'interno della sua caserma. L'episodio sarebbe accaduto lunedì mattina nella sede del Comando Provinciale, a Piazza San Lorenzo in Lucina, dove Alemanno avrebbe incontrato i rappresentanti “sindacali dell'Arma” di Roma. A denunciarlo è il Sinacc, il Sindacato Nazionale Carabinieri in congedo che nella denuncia tra l’altro ostenta “grande rispetto” per le stesse proprie istituzioni: “Considerando la vittoria della destra al governo e la campagna elettorale che si sta svolgendo all'interno delle caserme, a favore del Popolo della Libertà nutriamo forti dubbi sulla punizione del manchevole”. Il manchevole sarebbe il citato colonnello. Poco giova nell’economia dell’articolo che alla fine si dia voce al comitato elettorale chiamato in causa che così precisi: ”Le visite dei parlamentari alle strutture militari sono consentite dalla legge n. 206 del 1998, pertanto l'onorevole Alemanno era nel suo pieno diritto nel momento in cui, nel rispetto del dettato della normativa citata, ha preannunciato e poi svolto una visita alla sede del Comando provinciale dei carabinieri in piazza San Lorenzo in Lucina a Roma. Ovviamente l'incontro è stato sollecitato per acquisire informazioni utili all'attività parlamentare sul versante della sicurezza e soltanto una persona in malafede può assimilare un'iniziativa di questo genere a un comizio elettorale”. Perché, è superfluo aggiungerlo, bastano piccole sfumature per sollecitare riprovazione.
E tanto per gradire si offre una piccola galleria fotografica dedicata a Fini con questa didascalia: “Mancano pochi giorni al ballottaggio per il Comune di Roma e Gianfranco Fini sceglie il quartiere di Boccea per appoggiare Gianni Alemanno passeggiando fra i cittadini. Ma stavolta il presidente della Camera in pectore non si limita a stringere mani e ad ascoltare i passanti ma, nella insolita veste di pubblico ufficiale, chiede in due occasioni il permesso di soggiorno ad alcuni immigrati, per verificarne la regolarità”.
E infine, chi si tira in ballo? Mediaset! Così Repubblica online presenta la cosa: “Fedele Confalonieri sarà processato per frode fiscale. Lo ha stabilito oggi il gup di Milano Gloria Gambitta, che ha rinviato a giudizio il presidente di Mediaset. Il processo prenderà il via a partire dal 21 ottobre prossimo davanti ai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Milano”. Naturalmente poi si precisa: “La procura contesta a Confalonieri presunti reati commessi in un periodo compreso tra il 2001 al 2003. Una contestazione suppletiva mossa dal pm Fabio De Pasquale nell'ambito del procedimento, già in fase dibattimentale, sui presunti fondi neri nella compravendita di diritti televisivi e cinematografici”. E alla fine si dà spazio alla parte chiamata in causa che meglio precisa: “Il dottor Confalonieri non è mai stato indagato per le presunte frodi fiscali tra il 1995 e il 2000. Improvvisamente il pm formula una contestazione suppletiva per fatti dal 2001 al 2003 per i quali il dottor Confalonieri c'entra ancor meno. Siamo fiduciosi del fatto che il Tribunale riconoscerà la sua estraneità ai fatti”. Ma intanto ciò che resta è: “Fedele Confalonieri sarà processato per frode fiscale”. Mezzucci.
C’è infine il XXV Aprile da strumentalizzare. Oggi così Liberazione con nel titolo d’apertura questo singolare appello “Adesso andiamo in piazza e, per favore, votate Rutelli”: “Dopodomani è il 25 aprile. C'è chi vorrebbe cancellare la memoria del fascismo. Rispondiamo con i cortei e le manifestazioni. E, a Roma, bocciamo Alemanno”.

"Il corpo - Gli elementi" di Liliana Ugolini

“Il corpo – Gli elementi” è un libro di poesia di Liliana Ugolini del 1996, pubblicato da Masso delle Fate Edizioni. “Non è di oggi – scriveva Anna Ventura nella presentazione – la scoperta del valore del corpo, anche se il proliferare di palestre, saune, scuole di danza e di aerobica, sembra volerlo suggerire; sappiamo tutti, in realtà, che il mondo classico, prima e meglio di noi, tenne in gran conto il corpo, sentito come tramite tra l’uomo e gli dei (non a caso immaginati antropomorfi) e avvertì il profondo legame che intercorre tra l’entità fisica umana e le grandi forze della natura: una simbiosi che le civiltà nordiche, più tardi, svilupparono fino a farne il cardine di una religione e di una ispirazione artistica. Anche Liliana Ugolini, in questo libro di poesia così originale e accattivante, sottolinea la stretta connessione che intercorre tra il corpo umano e i principali elementi della natura (acqua, fuoco, aria, terra), seguendo l’impulso di una ispirazione fiabesca e arguta, lessicalmente personalissima la stessa che ha mosso i precedenti Flores e Bestiario, capace di annullare la distanza che esiste tra l’uomo e le altre creature, l’uomo e le forze primordiali che alitano nei boschi e nei torrenti, nelle nebbie e tra le fiamme del camino”.
Liliana Ugolini (Firenze, 1934) ha pubblicato nel 1980 la sua prima raccolta di poesie (Il punto), cui sono seguiti numerosi volumi di versi.
Quanto segue è un piccolo esempio delle composizioni contenute nel libro, arricchito tra l’altro con opere di grafica al computer di Marco Zoli.

Acqua-caso

Acqua alta, acqua di giacimento
Acqua morta, acqua di cava.
Di fusione e selvaggia, fossile,
giovanile, incanalata, ipogeica.
Litosferica acqua, la valdosa,
marina, meteorica, l’acqua
minerale, la termale, gocce
cellule, concatenazioni. S’esalta
e salta cavalloni d’infranto,
geo (caso?) perché.


Cervello

L’enigma verticizza
l’evolversi complesso
pentagramma volume
di supporto.
Milletrecento grammi
d’encefalo compresso
esploso in due emisferi,
(m/isterocosmo)
avvento in divenire
dell’attimo successo
motivo telegrafico fili
d’un messaggio


Acqua del dire

La bollita di Malva e d’Orzo,
l’urinare, diamante di bell’acqua,
prendere e passare, l’Angelica,
Antisterica, Benedetta, Battesimo,
l’acqua innocenza e l’acqua
che si cheta ad infangare,
l’acqua cattiva in essere e acqua
in bocca, fare un buco nell’acqua.
Affogare in un bicchiere,
non friggere con l’acqua, portar
l’acqua al suo mulino e non sapere, che acqua bere


Linguaggio

Velazione di suoni,
vocalità, emozioni,
che non muta al mutismo.
Lingua di mano,
altra comunicanza, ad oltranza
si batte dove duole e linguaggio
miriade che percuote tam-tam
soffia di tromba corda di violino
e si rimuove nell’onda che richiama
dialettiche e allusioni (alluvioni)
di doppi. La verità
del perdersi.

"Caput mundi": un voto tra rinascita e degrado

Non è un caso che ieri, nel faccia a faccia con Rutelli, Alemanno abbia concluso l’evento mediatico con una cinquantina di secondi di credito. Cioè che abbia usato un tempo sensibilmente minore di quello di Rutelli tenendo conto che l’impressione (più volte d’altro canto sottolineata da Floris) che di Alemanno si tenesse conto anche dei sospiri e dei respiri per riuscire a pareggiare il conto col "piacione" d’Italia. Nessuna congiura di “Ballarò”, anche se Floris di tanto in tanto sembrava dare una mano al candidato pidino con i propri movimenti peripatetici per lo studio che talvolta finivano con l’oscurare nel piccolo schermo l’immagine dell’avversario mentre esponeva le sue ragioni. La spiegazione banalmente è un’altra.
La sostanziale differenza tra i due sta nei contenuti offerti all’attenzione dei telespettatori. Da una parte (Rutelli) gran chiacchiere sul niente, con un aggrapparsi alla minima briciola di discorso che poteva offrire uno spunto polemico, con l’evocare spauracchi, come la Lega che tali più non sono nell’immaginario collettivo come il recente voto ha dimostrato, con l’uso di argomenti di politica generale che possono, sì, richiamare l’attenzione di un distratto, ma non certo soddisfare chi si fa spettatore per cercare di capire quale candidato possa portare maggior beneficio alla sua quotidianità di cittadino. Chiacchiere e divagazioni che sprecano tempo e lasciano l’impressione in chi ascolta di stringere nel pugno nient’altro che sabbia. Dall’altra (Alemanno) un discorso incentrato sui problemi reali e su indicazioni di soluzione, un discorso stringato su cose concrete che i romani toccano con mano ogni giorno. Perché per indicare problemi e soluzioni non occorre molto tempo né grande eloquenza, e, dunque, tutto qui il fatto che alla fine il candidato del Popolo della libertà ha parlato di meno, come Floris in conclusione ha confermato.
Poiché tra i due c’era una asimmetria fondamentale, cioè il fatto che Rutelli non fosse un “nuovo” avendo già fatto il sindaco della città eterna, ci si aspettava da parte sua un’esposizione consapevole sui problemi concreti e le urgenze reali di Roma. Ha invece lasciato in chi da lontano guardava, la sensazione che nelle cose di quei problemi e di quelle urgenze proprio proprio non avesse altro che l’infarinatura sufficiente a sostenere un dibattito elettorale. Che più che approfondire le questioni delle periferie, personalmente si sia preoccupato piuttosto di coltivarsi nell’arco dei suoi mandati l’immagine. Così del resto si legge in una datata pagina di PMLI, dedicata alla biografia di Rutelli: “La vittoria alle amministrative '93 fu risicata ma è da lì che inizia la maratona di Rutelli alla conquista dei consensi e degli appoggi giusti non solo per consolidare il suo potere locale e giungere alla rielezione nel '97, ma mirando a Palazzo Chigi”. Corsa andata male che però gli offrì successivamente altre possibilità di carriera politica, fino ad essere ministro dei Beni Culturali di Prodi.
Che Rutelli pensasse di avere di fronte ieri uno “sprovveduto” da liquidare facilmente con la presunta “superiorità” mediatica del suo “io”, lo si è capito da subito con quella infelice replica polemica ad Alemanno “Eh no tesoro” cui l’altro ha ribattuto fermo "No, tesoro mai". Si è invece trovato di fronte un avversario tosto che ha saputo ribattere ad ogni spunto tendenzioso con argomenti validi. Giocare tutto sulla tattica e la polemica, sugli “amici” di Alemanno usati come babau o come sberleffo, la Lega (“Noi dobbiamo pretendere dai principali alleati di Alemanno lo stesso rispetto per Roma, che è la capitale di tutti. Il che non vuol dire sottovalutare problemi gravi, come la sicurezza, su cui bisogna mettere in campo cose nuove. Ci vuole una strategia decisa in difesa dei più deboli”), Storace (con la sfida a rifiutare i voti della Destra), persino Putin (“È Putin vostra la cordata italiana”, parlando di Alitalia) per Rutelli era la strada giusta per sviare il discorso dalla sua gestione del Campidoglio, un argomento scomodo.
Leggendo sempre dalla citata pagina: “Uno dei suoi primi atti da sindaco fu quello di quadruplicare gli stipendi ai presidenti e ai consiglieri d'amministrazione delle aziende municipalizzate, poi vi piazza i suoi uomini di fiducia. Si crea una vera e propria corte attraverso una schiera di 35 consulenti e professionisti esterni pagati a peso d'oro che sono costati a Rutelli e alla sua giunta… una condanna della Corte dei Conti e una richiesta di risarcimento di 3 miliardi e 329 milioni di lire. Legale, ma non certo morale, è l'essersi aumentato lo stipendio, suo e quello dei suoi assessori, di un bel 30 per cento, … portando l'“indennità di funzione” mensile del sindaco a 21.004.000 lire e quella degli assessori a 13.652.665 lire. Ha provveduto a soddisfare gli appetiti di imprenditori, costruttori e cooperative gestendo miliardi e miliardi per il restauro di monumenti e la costruzione di nuove opere pubbliche (3.500 miliardi solo quelli assegnati a Roma dalla legge speciale del Giubileo), svendendo e privatizzando i gioielli della macchina comunale: azienda elettrica municipale, Acea e Centrale del latte (venduta alla Cirio del suo amico Cragnotti per 106 miliardi e rivenduta poi da questo alla Parmalat di Tanzi per 765)”.
La pagina citata, che è stata scritta prima al momento della candidatura di Rutelli a premier nella corsa elettorale con Berlusconi del 2001, elenca gli “amici” dell’allora sindaco di Roma. Si legge: “Così fra i suoi sostenitori ora si annoverano Raffaello Fellah, esponente della comunità ebraica di Roma ma soprattutto plenipotenziario della “Compagnia delle opere” di “Comunione e liberazione”. Raffaele Ranucci, commissario dell'Ente Eur. Andrea Mondello, oggi tra i vicepresidenti della Confindustria. Luigi Abete, presidente della Bnl e di Cinecittà. Paolo Buzzetti, al vertice dell'Acer, l'associazione dei costruttori edili. Alfio Marchini, finanziere vicino al DS. Giancarlo Elia Valori capo della Società Autostrade. Cesare Romiti, che con la Gemina si è aggiudicato gli Aeroporti di Roma”.
Il “capolavoro” della giunta di Rutelli è stato il piano regolatore, entrato anche ieri sera nella polemica del dibattito. Nella pagina Web citata in proposito si legge: “L'ultimo regalo di Rutelli ai potentati economici è stato il nuovo piano regolatore approvato dalla giunta capitolina il 20 ottobre, proprio alla vigilia della convention di Milano che lo ha investito ufficialmente a candidato premier. Una decisione che venendo meno all'impegno preso all'inizio del mandato di sottoporre il piano regolatore al giudizio della città attraverso una consultazione dei cittadini e delle associazioni, ha suscitato anche le dimissioni del presidente della Commissione urbanistica del comune di Roma e consigliere Verde, Fabrizio Panecaldo”.
La Repubblica, che da sempre ha un occhio benevolo verso l’area politica di cui Rutelli è il candidato, nella sua versione online, generosa di virgolettati accomodanti, “a tesi”, stamane pontifica dell’incontro televisivo: “Senza trionfatori o perdenti”. Se fossi cittadino romano indeciso propenderei oggi non per chi ha detto arricciando il naso “Dite che a Roma fa tutto schifo, non avete rispetto per questa città” quanto piuttosto per chi ha detto, concludendo, "Critichiamo voi, non i romani. Vogliamo debellare la paura”.

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