Giampaolo Pansa ci spiega oggi su Libero perché si odia Berlusconi. Almeno crede di spiegare.
Comincia con un aneddoto sul ministro Rotondi, perché chiamarlo «fatto di cronaca» pare proprio eccessivo. Che però eleva ad emblema di quell'aria brutta che tira in Italia, di cui scrive da tempo bontà sua per rendercene edotti, «aria di scontro cattivo, aria di odio politico che diventa odio personale». «Aria che spira», naturalmente, «quasi tutta per un verso solo: da sinistra verso destra». Aneddoto che gli dà conferma «di aver visto giusto».
Sarà un caso che oggi è il giorno dello sciopero contro il bavaglio? Sarà, non sarà... tant'è che il nostro inizia il pezzo con una denuncia: «Il sistema dei media ha ignorato quasi del tutto quanto è accaduto a Gianfranco Rotondi». E non si sa bene se per il dubbio che i lettori possano porsi il problema, alla don Abbondio per capirci, di chi sia tal Rotondi, oppure solo per dare un peso alla vicenda, s'affretta ad aggiungere: «Parlo del ministro senza portafoglio del governo Berlusconi per l'Attuazione del programma». Per inciso molte righe dopo è lui stesso a rafforzare la mia chiosa con un «Rotondi sarà poco conosciuto come ministro». Comunque, che volesse dire che si trattava non del primo che passa per strada, lo abbiamo capito. Ma cosa sarà capitato poi di tanto tremendo al ministro che l'informazione ha volutamente ignorato?
Pansa racconta: «Martedì 6 luglio, Rotondi si trovava di passaggio a Firenze. Si è fermato in viale Spartaco Lavagnini per un'operazione a un Bancomat». Embè? Pazienza, i particolari hanno la loro importanza. Fanno colore, il grande viale di Firenze, per dire, inizialmente era intitolato alla regina Margherita, ma nel Dopoguerra venne dedicato a Spartaco Lavagnini, il giornalista e sindacalista comunista ucciso dai fascisti nel 1921 nella sede fiorentina del sindacato dei ferrovieri. Uno che scrisse: «Il Partito Comunista soltanto potrà guidare il proletariato verso i suoi immancabili destini». Bene, e che succede in questo luogo? Succede che Rotondi «se ne stava andando quando venne fermato da un signore in bicicletta, un tizio distinto con la barba rossiccia. Lo sconosciuto gli domandò: "Lei è quello lì?" (...) Il ministro rispose: "Presumo di sì"». I puntini che indicano omissis stanno per la supposizione di Pansa: «intendendo accertarsi se era davvero Rotondi».
Scrive Pansa: «Allora il Barbarossa in bicicletta [una sfumatura che muta il signore distinto in un Bakunin velocipedista] gli comunicò una sentenza capitale, articolata nel modo seguente: "Volevo solo dirle che le auguro di morire. La disprezzo molto, come disprezzo tutti voi che governate. Il mio odio è lucido. Le auguro di nuovo di morire"». Una dialettica a corto di argomenti, non c'è che dire. E infine: «"E adesso andate a pregare in chiesa". Rotondi replicò: "Certo, pregherò per lei e per me"». Un dialogo tra credenti, cosa rara.
Pansa sa che qualcuno potrebbe scrivere un pezzo come questo, magari con molti più punti interrogativi, per cui si affretta a dire: «Ricavo questi particolari dal "Giornale della Toscana", sempre preciso nelle cronache». Ed ecco che viene fuori il vecchio giornalista d'inchiesta che c'è in lui, nonostante tutto. «E mi domando chi fosse il Barbarossa mortuario. Di lui Rotondi non ha potuto dire altro, tranne che gli è parso avesse "un accento del nord"». Ma dai, vuoi vedere che allora era un leghista di passaggio che ce l'aveva con Roma ladrona?! E in fin dei conti Pansa smentisce l'ipotesi d'un rosso toscanaccio: «Del resto, i fiorentini sono gente astuta. Di solito non aggrediscono i ministri che escono da un Bancomat [che per Pansa con tutta evidenza è invece lo sport più praticato da tutti gli altri italiani]. Caso mai, preferiscono il veleno alla spada». Mamma mia, fiorentini contentissimi.
Taglio il panegirico pro Rotondi che segue, e associandomi al lunga vita, vengo al punto dell'articolo di Pansa: la denuncia delle «cinque, stupide, ragioni» che costituiscono «le radici dell'odio contro Berlusconi. Perché stante il fattaccio di Firenze, la sua sublimazione obbliga Pansa a chiedersi «quali siano i motivi che spingono tante persone, per altri versi perbene, a tramutarsi in odiatori indefessi, funerei e senza tregua».
Tutti e cinque i motivi elencati nell'articolo sono follemente interessanti. Qui mi soffermo sul più iperbolico, il terzo, riservandomi di tornare sopra agli altri perché l'incubo che tormenta Pansa è troppo, troppo interessante.
Scrive Pansa: «La terza fonte dell'odio è la delusione profonda per l'attentato fallito dal Tartaglia». Sic! Capisco che vi siano cadute le... le... le braccia. «Ricordiamo tutti che cosa è accaduto nel dicembre scorso a Milano. Mezza Italia ha sperato che il Cavaliere crepasse». Tutto quello che vi è caduto lo raccoglierete dopo, fatemi proseguire. Pansa continua: «Ma poiché non è morto, la stessa metà dell'Italia ha imprecato contro il destino cinico e baro». Siamo al... si può dire delirio? Perché mica finisce qui, continua: «Volevano un funerale di Stato, per poi tentare l'assedio al governo. In mancanza del morto, hanno subito giurato che l'attentato era finto. L'aveva organizzato il diabolico Berlusconi nella speranza di rianimare una popolarità avvizzita». E tutto questo a pensarlo non qualche esaltato isolato, ma la metà degli italiani? «Ci hanno persino scritto un libro sul falso assalto del Tartaglia». La metà degli italiani? Certo, c'è un precedente, dice Pansa: «Del resto, dopo l'attentato alle Torri Gemelle, uscirono tomi per dimostrare che era stata la Cia a farle crollare».
Sì, le teorie del complotto fioriscono su eventi opachi che hanno una forte ripercussione sull'umanità o su una nazione. Ma il fattaccio di dicembre non è tale, per caratteristiche. È come dire che lo stesso Pansa e i suoi mutamenti potrebbero essere un soggetto interessante. Chiudo confessando d'aver letto (e di possedere) alcuni suoi libri, ma ora mi chiedo che cosa in realtà abbia io letto.
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