lunedì 5 luglio 2010

L'alieno

Il numero oggi in edicola de La Repubblica contiene una lettera di Sandro Bondi, ministro della Cultura e coordinatore del Pdl. «Sì, il Cavaliere è politicamente solo perché estraneo alla cultura dominante», titola il quotidiano e precisa, poiché si potrebbe anche non capire essendo Berlusconi il «padrone» in buona sostanza della televisione italiana ed il magnate della più grande industria culturale, il Gruppo Mondadori, «La sua solitudine non è calo di consenso popolare ma diversità dalla nomenclatura». Insomma un dio nei bagni di folla, un paria nei salotti buoni. Ma la lettera di Bondi non punta a reclamare, spostando l'accento, parìa per il Cavaliere, quanto piuttosto come il Battista per annunciare un evangelo. Ma andiamo dall'inizio.
«Sì, è difficile negare la solitudine politica del presidente del Consiglio», dice Bondi. Non ci prova, anzi da subito tende a sublimarla, quasi da innamorato. «Berlusconi è un leader politico che registra un altissimo indice di consenso nell'opinione pubblica, tanto più significativo se paragonato a quello degli altri capi di Stato e di governo degli altri Paesi europei, e nello stesso tempo viene descritta una sua presunta solitudine. Questa presunta solitudine non deriva dalla mancanza o dalla diminuzione della fiducia e di consenso da parte degli elettori. E siccome la forza di un leader politico deriva dal consenso degli elettori, questa supposta solitudine di Berlusconi non equivale ad una debolezza politica». Avrete notato due volte l'uso dell'aggettivo «presunta» rafforzato poi da un «supposta». L'idea è quella di accreditare per la solitudine l'identificazione con una sorta di sindrome da brutto anatroccolo. Dovuta nel caso della fiaba ad esser nato da un uovo che d'anatra non era. Scrive infatti Bondi: «La mia opinione è che questa solitudine rappresenti una profonda estraneità di Berlusconi al mondo politico, istituzionale e culturale dominante in questo Paese». Una questione di uovo, appunto. E con quello stagno, pardon, quel mondo Bondi va giù duro nella sua descrizione: «Un mondo quello formato dalle alte magistrature istituzionali, dagli instancabili professionisti della politica, da una parte della magistratura e dalla stragrande maggioranza della cultura fanatizzata, che è totalmente avulso dalla realtà del Paese, ma che continua ad esercitare un potere di veto derivante da una architettura istituzionale, dalla sedimentazione di norme burocratiche e da privilegi medievali superati dalla storia».
Ma attenzione, non è tutta propaganda contro il «nemico». Come dargli totalmente torto quando più avanti dice: «L'Italia è l'unico Paese in cui agisce e prospera una nomenclatura politica, istituzionale e culturale, simile a quella di certi regimi comunisti nella loro fase di declino»? Una nomenclatura «capace di accreditarsi come la vera e più autentica rappresentante dell'Italia», checché ne dica la gente in «tutte le libere consultazioni democratiche».
È evidente che lo «sfogo» di Bondi ha un motivo, il fatto che «parte della stampa e dei poteri dominanti» faccia passare la legge sulle intercettazioni «come un attentato alla libertà e alla democrazia»; rischio di dittatura una legge che assegni maggiori poteri al premier; un attacco alla Costituzione una riforma della giustizia; un attentato a scuola e cultura la riforma delle università e delle fondazioni liriche. Stampa e poteri che «utilizzano l'informazione come una clava contro gli avversari politici». E poi anche lamentano l'assenza di libertà d'informazione. Sono gli ostacoli posti di traverso all'iter di queste leggi a generare la solitudine del premier e «la sua percezione di un mondo in cui non si riconosce», la sua estraneità, dice Bondi. E non è tenero neppure con il suo partito: «Un mondo vecchio, conservatore, venato da grossolane ipocrisie, che purtroppo alligna anche nel partito che, nelle intenzioni di Berlusconi, avrebbe dovuto essere una novità assoluta nel panorama politico italiano».
Bondi ha una fideistica certezza che errori politici non vi siano stati, ma «dell'incompatibilità del suo programma di rinnovamento con tutti i conservatorismi della politica politicante, delle istituzioni reali, della cultura dell'odio e persino di alcuni interessi economici consolidati». E, dunque c'è la necessità di una rivoluzione, «una nuova rivoluzione berlusconiana». La lettera, dunque, è l'evangelo, l'annunzio della buona novella, la rivoluzione.

Nessun commento:

Archivio blog