È indubbio che Nichi Vendola appaia e sia l'unico possibile leader offerto oggi dal panorama politico della sinistra. L'unico in grado di rifocalizzare l'attenzione del popolo della sinistra in un progetto di governo del paese del dopo-Berlusconi. L'unico ad offrire una via per una rinascita possibile di un'idea di progresso fondato sulla solidarietà verso il più debole e sul suo antisfruttamento. «Bisogna prenderla di petto e costruire comunità di solidarietà contro quelle di rancore. Il centrosinistra deve smettere di avere paura di confrontarsi con la destra sul terreno culturale e politico. Deve vincere per l’anziano e per l’operaio di Pomigliano, perchè se vincere significa che mi tolgo io dal potere e ti metti tu è una vittoria che non affascina», ha detto Vendola ai giornalisti a Piacenza.
E ha aggiunto: «Se la leadership contiene un racconto di trasformazione e capovolge l’egemonia culturale della destra, allora si può battere Berlusconi. La sinistra ha paura delle proprie ragioni. Siamo apparsi una coalizione di piccole conservazioni. Noi dobbiamo essere quelli che interpretano il coraggio dei tempi nuovi». Parole che non si sentono spesso di questi tempi. Ed il perché lo spiega lo stesso Vendola: «Io non sono impegnato nella costruzione di correnti e di trame all’interno dei palazzi del centrosinistra. Io voglio uscire dai quei palazzi». Il problema è qua. Il problema è il Pd che calamita acriticamente un voto maggioritario nella sinistra che gli permette di continuare giochi e giochini di potere. Che fanno definire ad un Bersani ieri la decisione della Fiat «sorprendente» e chiedere l'immediata convocazione di un tavolo sulla Fiat perché «c'è una dispersione delle risorse industriali del nostro Paese». A furia di frequentare tavoli e tavolini qualche spirito alla fine è riuscito a suggerirgli l'idea che per l'industria nostrana non siano rose e fiori! E il massimo della risposta è l'ironia: «Chi lo apre questo tavolo? Vogliamo con l'occasione fare uno straccio di ministro dello Sviluppo economico?». Insomma, senza questo Pd non ci sono voti bastanti, con questo Pd si perde. Il dilemma di Amleto era più banale.
Già, perché c'è un'altra frase di Vendola su cui riflettere: «La Lega ha goduto molto del leghismo che è stato cavalcato anche a sinistra». Cioè il Pd scegliendo come politica di potere la rincorsa a destra, si è messo a fare il «cinese», a vendere - si pensi qui in Lombardia a Penati - merce taroccata sperando in una concorrenza pagante al prodotto originale. E poiché il prezzo era uguale la gente ha scelto ovviamente l'originale. Nei vari passaggi di sigla, ciò che oggi si identifica come Pd, ha cercato il colpo grosso di trasformarsi in termini di potere in ciò che era un tempo la Dc. Ma la realtà italiana nel frattempo è mutata, e piuttosto che cogliere i segni dei tempi, si è preferito proseguire sulla strada intrapresa finendo col perdere motivazioni e obiettivi e soprattutto le «masse». Il loft veltroniano rappresentava simbolicamente la situazione in modo adeguato.
Che fare? Già, che fare? È evidente che la dirigenza piddina ha oltrepassato non da oggi il punto di non ritorno. Una dirigenza di «destra» in un partito che ha una base di «sinistra». Questa la contraddizione. Grave, mortale. Anche una rottura, che prima o poi ci sarà, difficilmente riporterà gli ex diesse alla ragione politica della sinistra. La prospettiva di una lunga agonia, insomma, è quanto si profila. Solo il buonsenso perduto potrebbe suggerire all'attuale screditata classe dirigente democratica l'eutanasia. Ma è pia speranza. E le primarie, di cui Vendola dice «Sono un metodo indispensabile per mettere l’anima nel corpo un po' smorto del centrosinistra», una finzione. Difficile accantonare una prassi consolidata. E l'egemonia è prassi che viene da lontano.
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