Nella presentazione al numero 68 della rivista Comunismo, il Partito Comunista Internazionale scrive: «Tra le tante laide menzogne che il regime del Capitale diffonde senza sosta per dimostrare che, alla fine, l'umanità vive in quello che è, o potrebbe essere con un po' di buona volontà, il migliore dei mondi possibili, c'è sicuramente quella dell'economia "verde", e dello sviluppo "sostenibile" che con questa fa coppia obbligata». Caspiterina, per buttare lì un inciso localistico lodigiano, green economy, sostenibilità, proprio le parole simbolo con cui si riempiono la bocca gli amministratori democrat da queste parti. Megafoni e tromboni del Capitale. Chi lo avrebbe mai detto!
«L'ideologia del processo capitalistico "buono", quello che non distrugge l'ambiente ma giova al benessere dell'umanità, ha un modo caratteristico e costante di presentarsi nella sua pratica realizzazione. Individuato il terreno favorevole all'affare, un certo settore della produzione investe nel comparto che promette margini "interessanti" - non certo per il bene dei popoli, ma per una questione di profitto, profitto nobilitato dall'etichetta "in favore dell'ambiente"». Perbacco. E allora lotta di classe, l'inquinamento è contro il profitto, viva l'inquinamento, più ce n'è meglio è, tanto peggio tanto meglio. Siamo impazziti? Ma non basta: «Per dimostrare la ragionevolezza, la convenienza economica e il futuro sereno e sicuro che deriverebbero da queste ricette se praticate con scrupolo e costanza, schiere entusiaste di giovani anime candide sono finanziate e messe al lavoro dalle grandi imprese distruggi-ambiente per produrre studi, elaborare strategie, propugnare le loro utopistiche visioni di un capitalismo dal "volto umano". Ciechi come talpe si illudono di tappare col dito la voragine di rovine e lutti che un modo di produzione senza freni né coscienza di umano benessere semina per il mondo intero». Una consolazione per i mancati fondi per la ricerca: tanti piccoli idioti che tentano di svuotare il mare con un secchiello. Già, perché dice la rivista: «Alla fine il risultato è che i disatri si sommano ai disastri. Dove non arrivano le guerre locali a seminare lutti e distruzioni (faranno la "guerra verde", a "bassa emissione di CO2"?), ci pensa la assoluta paranoica esigenza di profitto ad oltrepassare ogni limite di equilibrio naturale. Al capitalismo giovano le catastrofi, ne ha bisogno e ci si ingrassa». Un mondo senza redenzione, ragazzi? Come mai non vi siete ancora suicidati?
E se credete che tutto questo sia più che sufficiente, vi sbagliate: «Salvo poi a "chiedere i danni". A chi? al Capitale? Giammai! La "giustizia" cerca il "responsabile". Come se questo borghese individuo, ammesso che sia condannato (il che succede quasi mai) abbia scontato la pena (idem) e pagato il civile "risarcimento" (idem, vedi Bophal), potesse eliminare ed annullare come mai accaduti i colpi devastanti inflitti al mondo in cui viviamo e nel quale vivranno le generazioni future. Potenza del denaro nell'economia mercantile: tutto ha un "prezzo", anche la vita, e finanche i più terribili disastri». E naturalmente non manca: «Il tutto è, ovviamente, accompagnato dal controcanto dell'economia sostenibile e del profitto a favore dell'ambiente!». Sconcertante il mix di parole in libertà che viene offerto come analisi e tesi politica. La presentazione prosegue con la metafora della BP nel Golfo del Messico, di cui vi faccio grazia. e veniamo alla conclusione.
«Questo modo di produzione diffuso ormai alla scala mondiale ha nella forma finanziaria senza più limiti il suo vero motore, e non è da essa separabile con una operazione ideologica, o peggio etica. Più la crisi del mondo capitalistico si approfondisce ed estende, mentre questo mostro tenta di sopravvivere con la truffa e l'estorsione per arginarla, moltiplicando in un gioco di specchi senza fine segni di valore, più la finanza distrugge la stessa economia di produzione di beni, più prendono fiato e spazio le imbelli ideologie di un capitalismo depurato dalla tara della finanza "cattiva", che farebbe aggio sulla produzione "buona". Sarebbe tutto così semplice: eliminata o riformata quella, l'altra avrebbe modo di dispiegarsi in tutta la sua salvifica potenza a vantaggio dell'umanità intera. Un capitale finanziario "buono", che sappia accontentarsi di una rendita "equa", un capitale industriale che si dedichi a produzioni "sostenibili" e "sicure" ricavandone un equo profitto è il sogno delle schiere di "riformatori", preti ed opportunisti che rifuggono inorriditi dal marxismo e dal comunismo». Già, perché «perso il lume razionale della scientifica teoria rivoluzionaria, è comodo e facile rifugiarsi nei sogni di un possibile mondo migliore conquistato con buona volontà, buone leggi e banale raziocinio».
Siamo proprio alla conclusione: «Ma tutto questo si scontra con la realtà di un capitalismo che, nonostante sia evidente lo stato comatoso del suo impero globale e proprio per questo, è insofferente ad ogni freno, tanto nel campo della produzione quanto della finanza; un capitalismo che investe energie immense nella produzione di armi mentre costringe miliardi di esseri umani ad un'esistenza di stenti, di fame e malattie; usa le tecniche più avanzate per depredare il pianeta di ogni risorsa senza alcun progetto per il domani dell'umanità. Solo si appresta a distruggere, con una nuova guerra imperialista a scala mondiale, gli immani quantitativi di merci che intasano i mercati globali, compresa la merce forza-lavoro, per tentare di insufflare nuova vita nel suo decrepito organismo». E attenzione, siamo alla frase storica: «Questo lo chiamano progresso». Talvolta sarebbe opportuno salvare qualche albero.
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