giovedì 29 luglio 2010

La targa del Frejus

Ignazio La Russa, almeno non è un ipocrita. Pur non usando mai la parola guerra, descrive uno scenario di guerra nel suo intervento al Senato. L'Italia è in guerra. Lo sottolineo per chi non lo avesse compreso ancora. Non si conoscono bene i motivi veri, gli interessi veri dell'Italia nella guerra, interessi trasversali rispetto ai due schieramenti che costituiscono l'attuale arco parlamentare. Ci si appella alla responsabilità internazionale dell'Italia, ad un intervento necessario per tenere lontano il terrorismo dal «sacro» suolo della «patria», o per dirla con le parole del ministro: «l'azione dei nostri militari [è] votata a contrastare il terrorismo ed a tenere lontani dalle nostre città i pericoli e le conseguenze di un'azione terroristica che potrebbe essere assai più grave di quella che in questi ultimi anni abbiamo dovuto registrare». Insomma l'uso orwelliano del babau dell'Undici Settembre. Ah, naturalmente, non dimentichiamolo, c'è il leit-motiv non ancora dismesso del peace-keeping, tuttavia oggi inteso in modo più sfumato come un fine da raggiungere della guerra guerreggiata: «Il nostro è un impegno teso a raggiungere un obiettivo importante che ci siamo prefissati sin dall'inizio, quello di contrastare il terrorismo e ridare pace e democrazia all'Afghanistan. Ma l'obiettivo immediato, concreto, definitivo e conclusivo è di riuscire, entro la fine del 2013, ad affidare, al termine di questa fase di transizione, al legittimo governo afgano, alle forze armate afgane, alla polizia afgana il controllo del territorio, la governance, il controllo dell'azione militare. In sostanza, di lasciare agli afgani il compito di continuare, con un'efficacia che prima non potevano avere, il contrasto al terrorismo affinché non ne consegua un danno per la loro libertà, ma anche per la sicurezza della nostra Nazione, delle nostre città, della nostra Patria». Siamo italiani, dobbiamo autoconvincerci che l'azione dei nostri militari ha un fine nobile, che l'italiano è il «bono taliano» di sempre.
Ma - ed è ciò che preme affermare - poiché «dal punto di vista operativo tale attentato è diretto a nostro avviso essenzialmente a interferire sulle motivazioni dell'opinione pubblica internazionale, in questo caso italiana in particolare, di sostegno all'azione dei nostri militari», allora «non cambia quindi, neanche a seguito di questo doloroso e luttuoso evento, la natura della nostra missione che rimane coerente con quanto sino ad ora abbiamo fatto per l'Afghanistan, per la stabilità internazionale e per la sicurezza dell'Italia». Lascio la rimanente retorica del ministro. Giusto oggi il Washington Post pubblicava il «total number of U.S. military deaths since 2001 and names of the U.S. troops killed recently in the Afghanistan war, as announced by the Pentagon», cioè il numero totale dei militari americani morti in Afghanistan dal 2001 ad oggi e i nomi di quelli caduti di recente: 1196 in tutto i morti americani di questa guerra che sempre più appare senza senso. Un numero che, se la guerra continua così, rischia di avvicinarsi a quello delle vittime delle Twin Towers.
Anche se nell'arco parlamentare non c'è più la sinistra, da sempre contro l'intervento italiano (nonostante la risposta data a suo tempo in Parlamento con la pistola del ricatto di Prodi e dei Ds puntata alla tempia), c'è comunque chi comincia a sottolineare dubbi, come Caforio (Idv): «Signor Ministro, signor Presidente, da sempre abbiamo sostenuto che questa guerra è iniziata male e prosegue nell'indeterminatezza e insicurezza non solo per i militari inviati nel territorio, ma anche per gli obiettivi preposti. (...) Si diceva che sarebbe stata una missione di pace, adesso siamo - è inutile nasconderlo - nel bel mezzo di una guerra, in balia di attentati e agguati da parte talebana e, direi, anche di altre forze, spinte da indicibili interessi che le potenze alleate non riescono a contrastare. Continuiamo ad osservare minuti di silenzio senza sapere quanti altri, purtroppo, ne saremo chiamati a rispettare. Questa guerra va avanti senza aver più obiettivi, né regole». E ancora più avanti: «È ora che si passi dalle parole alle azioni e che quindi il Governo proceda al ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan. Il gesto di più alta responsabilità che la maggioranza potrebbe compiere oggi, alla luce dell'ennesimo contributo di sangue versato dal nostro Paese, sarebbe quello di ordinare a tutti i contingenti coinvolti nella missione di tornare a casa. Non vogliamo più accogliere nemmeno un singolo corpo in una cassa di zinco».
Perché altro il quadro della situazione enfaticamente ottimista del ministro: «I 92.000 rapporti redatti dal Pentagono tra il 2004 e il 2009 raccontano di un Paese molto lontano dalla pacificazione e dalla democratizzazione. L'Afghanistan è in balia dei trafficanti di droga e dei talebani sempre più organizzati e tecnologicamente evoluti. Gli studenti coranici, sempre secondo fonti statunitensi, sarebbero persino più forti oggi che nel 2001. Il Governo Karzai, sostenuto dalle forze occidentali, delude ogni giorno di più: non solo fa poco per opporsi ai signori della guerra e dell'oppio, ma risulta alle volte persino connivente con essi e privo di quella legittimazione democratica che dovrebbe spettare ad un Governo regolarmente eletto». Insomma, che ci stiamo a fare lì? Retorica governativa? A che prezzo?
Alla Poli Bortone (Udc) piacciono invece le favole: «Siamo tutti consapevoli della crescente pericolosità della situazione nell'area dell'Afghanistan e del vicino Pakistan, ma la nostra presenza, che non è mai stata quella di controllare il Paese o di dettarne il futuro bensì di combattere un nemico comune, Al Qaeda e i suoi alleati, resta ancora purtroppo necessaria». Così scopriamo che stiamo combattendo la guerra che si è inventato Bush. Con Obama a caccia di Osama perché «raggiunto questo obiettivo ci auguriamo che quelle popolazioni possano finalmente vivere libere». E veniamo alla Lega, discorso di cieca collateralità al partito del premier. Per il resto una sola frase da annotare. Torri: «Soprattutto non mi sembra corretto pensare, come è apparso su alcune agenzie, anche se a nome di qualcuno che fortunatamente non fa più parte dell'arco costituzionale, che l'Afghanistan diventi un Vietnam per l'Italia». Già, non siamo l'America. Ah, la fortuna di essere marginali.
Per il Pd è intervenuto Marcenaro che ha tentato un discorso in stile «sovietico», della serie, ovviamente traslando, «gli eroi del socialismo»: «Quelle di questi due militari non sono vite sprecate. E non sono vite sprecate in primo luogo se la politica è in grado di fare il proprio dovere, di assumersi le proprie responsabilità, perché l'uso della forza, anche in una situazione difficile come quella dell'Afghanistan, è per rendere possibile alla politica di svolgere il proprio ruolo, per rendere possibile il negoziato e la costruzione di un futuro diverso, per dare alla pace una possibilità. Se qualcuno di voi attraversasse il traforo del Frejus, troverebbe scolpita davanti all'entrata della galleria una lapide con i nomi degli operai e dei tecnici che sono morti nella costruzione di questa galleria. Se domani noi riuscissimo nella difficile e complessa operazione di costruire un nuovo edificio della comunità internazionale, penso che su quell'edificio saranno scolpiti, insieme a quelli di tutte le altre vittime e di tutti gli altri caduti, anche i nomi di questi due sminatori che sono morti nei giorni scorsi a Herat». Ma venendo al nocciolo della questione: «Noi, signor Ministro, come lei sa, lunedì prossimo discuteremo e approveremo, io spero con un voto unanime, il rinnovo delle nostre missioni internazionali». E dopo qualche altra frase chiude così: «Io concludo, signor Ministro, chiedendo al Governo di essere presente lunedì e di essere rappresentato a questa discussione in modo adeguato, attraverso la partecipazione dei Ministri della difesa e degli esteri, per contribuire, in quella sede, che è la sede giusta, alla discussione politica che su questi problemi è necessaria. Io penso che questo sia il modo in cui noi possiamo rafforzare l'impegno comune, che su questi temi e su questi problemi ha, fortunatamente, a differenza di altri campi, unito il Parlamento italiano». E giù tutti ad applaudire, centrosinistra, centro , centrodestra.
Il dibattito è stato chiuso per il Pdl da Cantoni che ha svolto un pacato intervento esplicitando le motivazioni di politica internazionale che portano la maggioranza di centrodestra a sostenere l'intervento armato in Afghanistan del governo Berlusconi.
Io credo che se i nostri politici in Parlamento, dopo la rituale informativa del governo su fatti di sangue come questo, evitassero di cercare dei distinguo inesistenti sul problema (oltretutto ormai è difficile essere non ripetitivi, originali), ma osservassero un minuto di silenzio, forse rispetterebbero in maniera più consona il sacrificio della vita di quanti hanno mandato a morire in Afghanistan.

Nessun commento:

Archivio blog