Avevo ripreso la notizia ieri della rivolta nel Pd lodigiano sulle nomine ai vertici della Sal, l'azienda lodigiana dell'acqua pubblica, diffusa dal quotidiano di Lodi Il Cittadino, con un articolo di Matteo Brunello. Oggi lo stesso giornale pubblica l'intero documento nelle pagine di «Lettere & opinioni». Lo trascrivo integralmente perché è una fortissima denuncia.
«Care amiche, cari amici, siamo iscritti, dirigenti e rappresentanti istituzionali del Partito Democratico e come tali abbiamo seguito con passione e speranza l’evoluzione politica di questi ultimi anni, partecipando, in prima persona, al percorso che ci ha portato alla nascita del PD, un partito che non ci è mai stato stretto ma nel quale invece crediamo e ci impegniamo quotidianamente.
A due anni dalla nascita del PD Lodigiano non sono per noi venuti meno i fondamenti di quel rinnovamento che abbiamo sostenuto con caparbietà, quell’impegno politico al pieno servizio del bene comune, della giustizia sociale, di un modello di coesione sociale che segna la nostra diversità con la destra. Per questo motivo per noi non è più possibile sottacere i problemi e le difficoltà emersi in questi mesi nella costruzione di questo soggetto politico nel nostro territorio.
In questo contesto intendiamo esprimere le nostre profonde riserve rispetto alla nomina di Antonio Redondi alla Presidenza della Sal, la maggiore azienda pubblica lodigiana, in quanto ci attendevamo delle designazioni che andassero nel segno del rinnovamento e nel rispetto delle competenze professionali, seguendo le indicazioni contenute nello Statuto del nostro partito.
Un ricambio che sottende impegno e sacrificio al bene collettivo e che, come nelle istituzioni, anche nelle indicazioni per le aziende pubbliche deve essere perseguito con forza e con convinzione.
In questo caso riteniamo che tale principio, per noi fondamentale, non sia stato tenuto in considerazione visti i numerosi incarichi pubblici ricoperti negli anni precedenti dal Presidente eletto alla guida di questa società.
Crediamo che il tema del rinnovamento così come il ritorno ad una “politica” vista non come una professione, siano due dei capisaldi per ridurre il distacco fra le forze politiche e i cittadini, disagio manifestato con l’astensione al voto registrato nel corso delle ultime tornate elettorali.
I percorsi per la scelta di chi rappresenta il nostro partito in ogni ambito pubblico deve essere sempre il frutto di una larga partecipazione e condivisione, che veda coinvolti gli organismi dirigenti del partito e gli amministratori iscritti al partito, con la definizione di criteri chiari, i quali rispondono in primis allo spirito per cui è nato il PD.
Pertanto alcune domande cui dare risposta erano necessarie e qualcuno avrebbe dovuto interrogarsi e interrogare senza remore, con quella indispensabile autonomia di scelta che il partito deve darsi nelle indicazioni rispetto ai livelli di governo. Crediamo davvero che il criterio di selezione debba essere quello dell’aver accumulato nel tempo una pluralità di cariche in enti pubblici? Crediamo davvero che la scelta debba essere fatta senza considerare i temi della parità di genere e del ricambio necessario? È corretto per il PD avere sempre i soliti professionisti in campo? È giusto nominare chi è già oggi presente in altri consigli di amministrazione pubblici e parapubblici?
Domande che fanno di questo episodio un chiaro segnale che non si sta percorrendo un nuovo cammino, quella mescolanza di storie, di culture per cui abbiamo dato vita a questa nuova esperienza politica, che non si mettono in primo piano i valori che, come soci fondatori di questo partito, ci siamo dati.
Non dobbiamo però tornar indietro. Le vecchie appartenenze non debbano essere il criterio a cui ci affidiamo in ogni atto della nostra vita interna. Dobbiamo avere la forza e il coraggio di andare oltre, di aprirci a nuove sensibilità, dare spazio e voce al contributo di chi con noi vuole costruire una vera alternativa al centro destra.
Il PD dovrà essere un partito, anche nel lodigiano, in grado di individuare nel riconoscimento dei diritti delle persone, nelle priorità del mondo del lavoro e nella difesa ambientale i punti qualificanti per rilanciare la nostra iniziativa politica. Rivendichiamo una nuova politica, quella di chi si apre alla società, che con essa costruisce nuovi luoghi di incontro in cui ciascuno si senta libero di portare il proprio contributo di idee, di valori e di sensibilità, nello spirito della nostra carta costitutiva.
Questa è la politica che ci piace e che ci appassiona, il destino dei singoli non ci interessa, perché non sarà mai in grado di dare una visione di società diversa da quella oggi prevaricante nel paese. Ridare voce al nostro popolo, ridare fiato e nuova linfa al progetto del Pd, un partito nuovo aperto a tutte le donne e gli uomini, che credono nel cambiamento.
Chiediamo che, da oggi, la dirigenza di questo partito affronti con il coraggio fin qui mancato, il problema di un rinnovamento reale e non propagandato. Superi quell’incertezza nell’elaborazione politica e culturale che costituisce una grave ipoteca sulle nostre possibilità di affermazioni future.»
Un bisogno di pulizia, insomma, per dirla con una parola sola, cui nel Lodigiano, particolarmente nelle roccaforti ereditate dal PCI, si sente proprio il bisogno.
Lo firmano due consiglieri provinciali, Luca Canova e Gianfranco Concordati; quattro assessori comunali, Aldo Arnaldi (Brembio), Luigi Serioli (Senna Lodigiana), Roberto Tantardini (Caselle Landi), Giuliano Zaneletti (Orio Litta); un consigliere comunale, Marco Minoia (Brembio); un membro della direzione provinciale del Pd, Andrea Tantardini; quattro componenti l'assemblea provinciale del Pd, Emmel Cremonesi, Giuseppe Cremonesi, Silvana Lanzi, Monica Moretti; un segretario di circolo, Fabio Gorla (Brembio) e un portavoce di circolo, Mauro Conca (San Rocco al Porto).
Da aggiungere che lo stesso giornale riporta in altra pagina i commenti interni al popolo del Pd sul documento: una parte del Pd ne ha subito condiviso i contenuti, un’altra parte l’ha bollato come qualcosa scritto dal pezzetto di una delle correnti interne al partito. Che dire di quest'ultimo atteggiamento, se non la constatazione d'una tendenza alla straffottenza che non aiuta a raccogliere o a mantenere attorno a sé consenso. Non resta che dire una prece.
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