«Politica è avere un sogno e tentare di animarlo per uscire da un triste presente». La definizione è di Gianfranco Fini ad un aperitivo organizzato dal Secolo d'Italia al «Caffè Universale» a Roma in occasione della presentazione del libro «In alto a destra», curato da Giuliano Compagno. Parole che sanno di idealismo frammisto ad un romanticismo velleitario. Perché nonostante il richiamo, in bocca al presidente della Camera difficilmente evocano il noto I have a dream.
Fini, il Caronte degli ex fascisti che ha fallito il traghettamento al liberalismo dei suoi camerati, si pone oggi un'altra meta, un altro obiettivo, una mission impossible: riportare la masnada all'etica d'un comportamento politico che coniughi doveri e diritti; ad uno spirito laico che significa «alimentare la cultura del dubbio, mettersi continuamente alla prova, sentirsi sempre in discussione». Per evitare il rischio che la politica diventi autoreferenziale. Del tutto, perché ormai il punto di non ritorno è a due passi. Per dirla insomma con altre parole d'altra ideologia, servire il popolo. Che non è un trasformarsi in «cameriere politico». Un'idea questa più da «festa dell'Unità»; che più si ritaglia a personaggi come il Cesare Botero di Nanni Moretti.
Fini non vuole fare la rivoluzione. Il suo è uno scopo, per così dire minimale: «mettere un po' di sale nella minestra». Niente di più. Ma quanto basta per mettere in agitazione chi ha la pressione alta. Evidentemente.
Fini dice che occorre «essere durissimi con chi non ha l'etica del comportamento politico. L'etica è di destra o di sinistra? Non lo so, ma senza di essa si naviga a vista. Occorre mantenere la capacità di indignarsi di fronte alla degenerazione dei costumi nella politica, occorre saper proporre ancora degli scatti di dignità. altrimenti finiamo per dar ragione a chi ritiene la politica complice del malcostume». Insomma, più che contro Berlusconi è per una sua liberazione dalle tele di ragno del malaffare che lo invischiano. Tant'è che riferendosi al Pdl dice: «Non si tratta tanto di ribadire che occorre un partito libero e aperto al confronto, perché questo è il minimo, è qualcosa che dovrebbe essere scontata. Si tratta, piuttosto, di dar vita a un progetto in grado di fornire risposte a quesiti impegnativi, come deve accasere in un grande soggetto politico nazionale ed europeo. Se noi ci riconosciamo nel Partito popolare europeo, ebbene, questa collocazione ha delle conseguenze. Significa, necessariamente, cercare di essere un soggetto politico votato a costruire la modernità. È incomprensibile, ad esempio, che il tema delle grandi riforme sia scomparso dall'agenda politica». Il problema è che, come li chiama, «i riflessi pavloviani delle vecchie appartenenze» non si connotano più ideologicamente, ma più terra terra. E mostrare cammini di ampio respiro a chi si preoccupa solo della propria bottega, si rischia di fare la fine del grillo parlante. Ed è un po' quello che sta accadendo a Fini, anche se la martellata non è ancora arrivata.
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